4 Maggio 2017

Il welfare aziendale tra applicabilità agli amministratori e regolamenti aziendali vincolanti

di Cristian Valsiglio

La spinta del Legislatore verso piani di welfare aziendale amplia la fantasia degli operatori, spesso scontrandosi con rigidismi interpretativi volti ad accentuare una certa prudenza.

L’occasione per ritornare sul tema del welfare aziendale è una risposta dell’Agenzia delle entrate datata 9 febbraio 2017 (DRE Lombardia 29.11.2016 n. 954-14172016), la quale ha trattato 2 temi molto caldi e dibattuti:

  1. l’applicabilità del sistema di defiscalizzazione propria dei servizi di welfare aziendale anche agli amministratori come percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;
  2. la possibilità di piena deduzione ai fini del reddito d’impresa dei servizi di welfare aziendale ex articolo 100, Tuir in presenza di un regolamento aziendale.

Sotto il primo aspetto l’Agenzia delle entrate liquida, forse anche troppo frettolosamente, il dubbio della società istante, affermando che il diverso criterio di attribuzione – l’ammontare della RAL per i dipendenti e la partecipazione al CdA per gli amministratori – non fa venir meno la condizione che il welfare aziendale debba essere rivolto a categorie o alla generalità dei “dipendenti”.

Pur nella condivisione del risultato, tuttavia, è necessario sviluppare una premessa sostanziale.

Ai redditi di lavoro assimilati a quelli di lavoro dipendente ex articolo 50, comma 1, lettera c.bis), Tuir (redditi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative o da cariche di componente di CdA), a mente di quanto previsto dall’articolo 52 Tuir, si applicano le regole di determinazione del reddito di cui all’articolo 51 Tuir.

Motivo per il quale il comma 2, lettera f), articolo 51 Tuir (servizi e opere di utilità sociale di cui all’articolo 100 Tuir) è applicabile in linea teorica anche ai percettori di reddito assimilato.

Sulla condizione della generalità dei “dipendenti” è necessario tuttavia verificare se il termine riconducibile al lavoro subordinato sia un termine atecnico (o fiscalmente orientato) o rigoroso (in senso civilistico).

In base all’interpretazione Ministeriale si deve ritenere che il termine “dipendente”, utilizzato nell’articolo 51 Tuir, è da considerarsi rivolto anche a coloro che producono reddito assimilato, motivo per il quale anche la disciplina di esenzione dei fringe benefit è comunemente applicabile anche ai collaboratori coordinati e continuativi.

L’interpretazione, pur sottesa, è confermata dalla risposta all’interpello in commento.

Anche il tema relativo alla possibilità di piena deducibilità ai fini del reddito d’impresa del welfare aziendale (anche oltre il 5 per mille del costo del lavoro) ha posto i commentatori in una forte incertezza anche alla luce dell’interpretazione proveniente dalla circolare dell’Agenzia delle entrate n. 28/E/2016, la quale affermò che la piena deducibilità era consentita anche in presenza di un “regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale”.

Taluni hanno ritenuto, pertanto, che la presenza di un regolamento aziendale “strutturato” potesse sempre e comunque consentire la piena deducibilità.

Tale interpretazione è contrastata dall’Agenzia delle entrate, la quale afferma che, nel caso concreto, non era rilevabile un obbligo negoziale, vista la clausola di uscita unilaterale da parte del datore di lavoro al piano di welfare aziendale.

Si ritiene di condividere quest’ultima interpretazione, anche se è giusto rilevare che il concetto di “volontariamente”, indicato nell’articolo 100 Tuir come presupposto di deducibilità limitata dal reddito d’impresa, non può essere letto come puro sinonimo del concetto di “regolamento” presente nella lettera f), pur nella consapevolezza che il regolamento aziendale è un atto unilaterale (e quindi volontario) del datore di lavoro. A dire il vero il primo è un avverbio fortemente relazionato alla condizione genetica di un regolamento aziendale costituito “spontaneamente” (di propria volontà).

Qual è la differenza che l’Agenzia delle entrate vuole far rilevare?

Sostanzialmente il discrimine è collegato alla clausola di uscita (tra l’altro facilmente superabile con piani di welfare aziendale a tempo determinato e prorogabili); è pertanto strumento idoneo a ottenere la piena deducibilità il regolamento che costituisce un obbligo contrattuale come se fosse un accordo collettivo ovvero un uso di natura collettiva, e pertanto vincolante, che a dire il vero è opposto al concetto di spontaneo e/o volontario.

Si potrebbe asserire che, a parere dell’Agenzia delle entrate, la volontarietà è un elemento fondamentale al momento della costituzione del regolamento per essere un elemento da abbandonare al momento dell’efficacia dello stesso, il quale diventa vincolante.

A tale impostazione ministeriale si potrebbe ribattere che il regolamento nasce e si esaurisce come atto unilaterale e volontario del datore di lavoro e qualsiasi interpretazione volta a crearne una natura vincolistica produce l’effetto di snaturare la fattispecie. Alla luce di tale impostazione. è regolamento il documento strutturato che l’azienda predispone e ufficializza ai propri dipendenti con “le regole del gioco”, pur nella possibilità, in caso di modifica del contesto, di farlo decadere.

Forse sarebbe una distonia da corregge normativamente, tuttavia, nell’attesa, non resta che prendere atto dell’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, la quale raccomanda una forte prudenza nella linea interpretativa.

 

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