22 Marzo 2017

Le visite personali di controllo

di Marco Bellumore

Con nota n. 20542 dell’8 novembre 2016, il Ministero del lavoro, in risposta a un quesito proposto da un ufficio territoriale, ha fornito indicazioni su una questione particolarmente delicata nell’ambito del rapporto di lavoro, rappresentata dalla possibilità per il datore di lavoro di effettuare visite personali di controllo sul contenuto delle borse dei dipendenti e visitatori e di ispezionare gli armadietti negli spogliatoi aziendali. La risposta ministeriale costituisce occasione utile per esaminare la fattispecie disciplinata dall’articolo 6, St.Lav., nella sua portata giuridica, cercando di individuare le condizioni necessarie per l’esercizio del potere di controllo da parte del datore di lavoro e i limiti cui questo è assoggettato.

 

Potere di controllo del datore di lavoro: i riferimenti normativi

Il rapporto di lavoro subordinato è connotato dalla presenza, accanto alle obbligazioni principali delle parti (prestazione di lavoro e prestazione retributiva), di una serie di reciproci obblighi e doveri che configurano posizioni attive e passive per entrambe, nel quadro di una complessiva situazione di preminenza del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, tenuto a collaborare alle dipendenze e sotto la direzione del primo (articolo 2094 cod. civ.).

Tra i poteri del datore di lavoro rientra anche quello di controllare l’esatta esecuzione della prestazione lavorativa dedotta in contratto, verificando se il dipendente usi la prescritta diligenza (articolo 2104, comma 1, cod. civ.) e osservi le disposizioni impartitegli (articolo 2104, comma 2, cod. civ.), anche al fine dell’eventuale esercizio del potere disciplinare (articolo 2106 cod. civ.; articolo 7 St.Lav.) rispetto al quale il potere di controllo risulta finalizzato.

Ovviamente, l’esercizio del potere di controllo, per essere considerato legittimo, deve essere contemperato con le libertà fondamentali del lavoratore, aventi dignità giuridica pari alle contrapposte esigenze datoriali.

A tal fine il Legislatore, dando attuazione alle previsioni costituzionali e per garantire la concreta operatività dei diritti costituzionali nei rapporti tra privati, ha emanato nel corso del tempo un’ampia normativa a tutela della personalità individuale del lavoratore, individuando, in particolare, una serie di limiti all’esercizio del poteri di controllo del datore di lavoro.

In tal senso la disciplina statutaria (L. 300/1970), proprio in considerazione dell’implicazione della persona del lavoratore nello svolgimento della prestazione dedotta nel contratto di lavoro, dedica l’intero Titolo I alla tutela della libertà e dignità del lavoratore, mediante la previsione di limiti specifici al potere di vigilanza e controllo del datore di lavoro sull’attività lavorativa e delimitando le ipotesi e le modalità in cui il datore di lavoro può eseguire detti controlli, tra cui rientrano le visite personali di controllo disciplinate dall’articolo 6 della menzionata legge (c.d. Statuto dei Lavoratori).

 

L’articolo 6 dello Statuto dei Lavoratori: visite personali di controllo

In generale

La norma prevede il divieto, penalmente sanzionato, del datore di lavoro di effettuare visite personali di controllo sul lavoratore, ad eccezione dei casi in cui siano indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro, o delle materie prime o dei prodotti (comma 1).

In tali casi la norma (comma 2) aggiunge alcune limitazioni di carattere generale, in quanto i controlli personali possono essere effettuati soltanto a condizione che:

  • siano eseguiti all’uscita del luogo di lavoro;
  • siano salvaguardate la dignità e riservatezza del lavoratore;
  • avvengano con l’ausilio di sistemi di selezione automatica casuale rispetto alla collettività o a gruppi di lavoratori.

A tali vincoli si aggiunge, peraltro, una garanzia di carattere procedurale volta a far sì che le ipotesi e le modalità delle visite personali siano concordate con le rappresentanze sindacali aziendali (Rsa/Rsu) o, in loro mancanza o nell’ipotesi di mancato accordo, su istanza del datore di lavoro, siano definite da parte dell’Ispettorato territoriale competente (comma 3) attraverso il rilascio di apposita autorizzazione.

La norma in questione ha dato origine a varie questioni interpretative, rispetto alle quali le giurisprudenza è più volte intervenuta, a dir la verità non sempre in modo uniforme, quantomeno per quanto riguarda quella di merito. Ma andiamo con ordine.

 

Questione di legittimità

L’articolo 6 tenta di contemperare le esigenze del datore di lavoro di effettuare controlli sulla persona del lavoratore con le esigenze di salvaguardia della libertà e dignità del lavoratore stesso, prevedendo a tal fine modalità dirette a dare carattere impersonale alle visite, salvaguardando la serenità dell’ambiente lavorativo. In tal senso, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 99/1980, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’articolo 6 St.Lav., per violazione degli articoli 2, 3, 13 e 14, Costituzione, in quanto la norma è supportata da obiettive giustificazioni e garanzie per i lavoratori, i quali possono sempre rifiutare la perquisizione, salvo esporsi a responsabilità disciplinare.

In particolare il giudice delle leggi ha ritenuto i controlli in esso previsti in certa misura inevitabili in quanto “presupposto necessario dell’organizzazione aziendale è la regolamentazione del complesso aziendale, il quale, come quello di qualsivoglia gruppo umano avente uno scopo economico comune, non può attuarsi senza i necessari controlli, i quali, per quanto attiene alle visite personali, devono svolgersi all’uscita dei luoghi di lavoro, con il rispetto della dignità e della riservatezza del lavoratore e con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori”.

L’articolo 6 prende dunque atto di una realtà necessaria e la regolamenta determinando i fini ai quali devono essere dirette le visite personali di controllo, cioè la tutela del patrimonio aziendale in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti, precisando che esse devono svolgersi all’uscita dei luoghi di lavoro, con il rispetto della dignità e della riservatezza del lavoratore e con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.

Per tali motivi, la Consulta ha ritenuto che la norma denunziata non contrasta con l’articolo 13, Costituzione, e non lede l’autonomia dell’individuo e la disponibilità della propria persona.

 

Il requisito dell’indispensabilità della visita personale

Attesa la delicatezza dei beni da proteggere, la norma statutaria pone un divieto generale, cui è consentito derogare soltanto per quelle viste che siano “indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti”.

L’aggettivo “indispensabili” indica che non è sufficiente che il controllo rivesta il carattere della necessarietà, ma che esso deve essere l’unico strumento per tutelare il patrimonio aziendale, non esistendo soluzioni alternative, quali per esempio registrazioni dei movimenti delle merci, misure dirette a disincentivare gli ammanchi o sistemi di rilevazione.

Ciò sta a significare che questo tipo di controllo non può considerarsi legittimo in tutti i casi in cui il datore di lavoro abbia a disposizione altri mezzi per proteggere adeguatamente il proprio patrimonio: dai più semplici, quali quello di vietare l’introduzione di borse nel luogo di lavoro ovvero controllare alla fine del turno di lavoro il materiale aziendale affidato al lavoratore, ai più sofisticati, quali i metal detectors o i rilevatori magnetici. In definitiva, le visite personali di controllo devono costituire la c.d. ultima spiaggia, dopo aver valutato tutti gli alternativi mezzi di controllo tecnicamente e legalmente attuabili.

 

Modalità di effettuazione delle visite personali

Al fine di prevenire possibili abusi o eccessi nei casi ammessi, la norma prescrive le modalità con cui le visite personali devono essere eseguite.

In primo luogo, stante la finalità di tutela del patrimonio, il controllo può avvenire soltanto “all’uscita dei luoghi di lavoro”. Analizzando la previsione normativa, vanno segnalati 2 aspetti:

  1. il primo riguarda il momento in cui la perquisizione può essere eseguita, che è quello dell’uscita dai luoghi di lavoro, con la conseguenza che sono vietate le visite personali effettuate nel luogo di lavoro e durante l’esecuzione della prestazione lavorativa, così come sono esclusi i controlli in entrata, che in epoca precedente allo Statuto dei Lavoratori avvenivano non per esigenze di tutela del patrimonio aziendale, ma per impedire l’introduzione in azienda di materiale di propaganda sindacale o politica; d’altra parte, se l’esigenza primaria è quella di tutelare il patrimonio aziendale, non è ravvisabile una ragione legittima che giustifichi i controlli in questione all’ingresso;
  2. il secondo aspetto attiene al fatto che la locuzione “luoghi di lavoro” fa ritenere che per luogo di lavoro possa intendersi anche il singolo reparto, con la conseguenza che se il pericolo per il patrimonio aziendale emerge solo in alcuni settori o reparti dello stabilimento, sarà possibile effettuare i controlli all’uscita del singolo reparto a rischio e non necessariamente all’uscita del perimetro aziendale.

La disposizione però più rilevante a tutela della privacy del lavoratore è rappresentata dalla previsione che le modalità con cui eseguire i controlli non devono ledere la “dignità” e la “riservatezza” del lavoratore.

Il riferimento alla “dignità” del lavoratore impone che le modalità di controllo debbano essere rispettose della persona e limitate a quanto strettamente necessario, non potendo in nessun caso essere consentite modalità invasive dell’intimità fisica del soggetto (ad esempio palpazione) o in pubblico, tali da creare nello stesso un senso di particolare disagio e anche di degradazione psicologica. È stato ritenuto rispettoso di tali canoni e non vessatorio il comportamento dell’addetto alla sorveglianza che invita il lavoratore a recarsi in una saletta attigua ovvero in luogo riservato. Al contrario, è stato censurato dalla Suprema Corte il caso in cui, per prevenire la sottrazione di articoli di biancheria intima, erano previsti controlli, anche se effettuati in ambienti separati per uomini e donne e in presenza di un controllore dello stesso sesso dei controllati, che comportavano la denudazione quasi totale dei lavoratori, che potevano mantenere addosso solo i propri indumenti intimi. Pertanto, tra le cautele a tutela della dignità del lavoratore che si ritiene debbano essere adottate, vanno tenute presenti le seguenti:

  • il personale addetto alla visita personale dovrebbe tenere un comportamento corretto nei confronti del lavoratore, astenendosi da qualsiasi apprezzamento, domanda o commento non strettamente necessario;
  • l’ispezione dovrebbe essere effettuata da soggetti dello stesso sesso del lavoratore o della lavoratrice perquisiti;
  • al lavoratore ispezionato dovrebbe essere consentito di farsi accompagnare al controllo da compagni di lavoro o delegati sindacali, che assistano all’ispezione per poter testimoniare su eventuali scorrettezze commesse dal personale addetto all’ispezione;
  • il controllo dovrebbe avvenire in luogo riservato, senza la presenza di terzi, diversi ovviamente da quelli indicati al punto precedente.

Per quanto attiene invece all’altro limite al potere di controllo del datore di lavoro, rappresentato dalla “riservatezza” del lavoratore, lo stesso è strettamente connesso al campo di operatività della norma dello Statuto ovvero se per visite personali debbano intendersi solo le visite sul corpo del dipendente o anche quelle sugli effetti personali e di immediata pertinenza dello stesso (quali l’abbigliamento, borse, marsupi, zaini e simili). Indubbiamente questo è il profilo di maggiore interesse e più discusso in dottrina e giurisprudenza, anche in considerazione della delicatezza della questione, se solo si consideri che facendo rientrare nell’ambito delle visite personali anche gli effetti personali, questi possono essere oggetto di ispezione solo se ricorrono i requisiti di cui all’articolo 6 St.Lav..

Un orientamento basato su una lettura più restrittiva della norma, peraltro l’unico che abbia trovato conferma nelle pronunce della Suprema Corte, ritiene che l’articolo 6 St.Lav. debba applicarsi unicamente alle ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore (borse, valige, zaini etc.), atteso che la norma citata, da interpretarsi letteralmente, prevede solo la “visita personale”, che nell’ordinamento processuale sia civile (articoli 118 e 258 c.p.c.) che penale (articolo 309 c.p.p.) è tenuta distinta dall’ispezione di cose e luoghi. Secondo tale orientamento, solo rispetto alle perquisizioni sulla persona sussistono le prevalenti esigenze di tutela della riservatezza del dipendente, tali da richiedere l’applicazione della procedura prevista dall’articolo 6 St.Lav.. Al contrario, le perquisizioni degli accessori e degli altri spazi che accompagnano la persona del lavoratore come una sorta di prolungamento del domicilio possono essere effettuate senza subire i vincoli procedurali e operativi dall’articolo 6, L. 300/1970.

In contrapposizione a tali pronunce, si pone, tuttavia, l’orientamento della giurisprudenza di merito, che, in virtù della progressiva estensione dell’area dei diritti della personalità, nonché sulla base di un’interpretazione letterale (utilizzo della locuzione visite personali anziché visite sulla persona) e della distinzione tra perquisizioni e ispezione, ha ampliato il concetto di visite personali, di cui all’articolo 6 St.Lav., anche alle ispezioni che riguardano quegli oggetti ed effetti personali (quali borse, borsette, zaini, portafogli, etc.) che possono essere considerati come diretta pertinenza della persona ovvero su quegli oggetti che, sulla base delle generali abitudini e mode, o delle specifiche circostanze di tempo e luogo, possono ritenersi normali accessori dell’abbigliamento. In tale ottica sono stati ricompresi nell’alveo della norma statutaria anche i sacchetti per la spesa, intendendo con l’aggettivo “personali” non solo la persona fisica, ma tutti i beni afferenti alla persona e, come tali, personali.

Il Ministero del lavoro ha sposato quest’ultima interpretazione estensiva in occasione del parere fornito l’8 novembre 2016, oggetto di analisi nel prosieguo del presente contributo.

Sempre in ordine alle modalità, le visite personali di controllo devono avvenire “con applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori”.

L’interpretazione letterale della norma, coerentemente con la ratio garantista della stessa, tesa a proteggere il lavoratore da comportamenti datoriali vessatori e discriminatori, fanno ritenere che la norma voglia evitare che tutti i lavoratori di un’azienda o di un reparto siano sottoposti indistintamente a controlli, ma che, invece, il controllo avvenga a seguito di selezione casuale, con la scelta dei soggetti da verificare, sottratta alla discrezionalità del datore di lavoro.

 

Accordo sindacale o autorizzazione amministrativa

L’articolo 6 St.Lav., oltre ai requisiti sostanziali di legittimità appena analizzati, ne pone uno di carattere procedurale identico a quello previsto dall’articolo 4 per l’installazione di apparecchiature di controllo a distanza, cosicché molte questioni risultano analoghe. Il comma 3, infatti, dispone che nelle singole realtà aziendali le ipotesi e le modalità di esecuzione delle visite devono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) o unitarie (Rsu) e, in difetto di accordo, il datore di lavoro può richiedere il rilascio dell’autorizzazione alla Direzione territoriale del lavoro, oggi Ispettorato territoriale.

L’accordo o l’autorizzazione costituiscono presupposto di legittimità dei controlli, cosicché, in difetto dell’uno o dell’altra, non potrà essere attuata alcuna visita di controllo, pur se teoricamente indispensabile.

A tal riguardo va segnalato come non vi sia giurisprudenza concorde sugli effetti dell’eventuale inerzia tenuta dai lavoratori o dai sindacati nel caso di controlli effettuati in difetto di formale accordo scritto. Secondo la recente sentenza della Corte d’Appello di Potenza, la prassi aziendale consistente nel controllo accettato dalla comunità dei lavoratori configura un accordo sindacale, mentre per altra risalente sentenza la tolleranza da parte dei sindacati dell’utilizzo di un’apparecchiatura per la selezione automatica dei lavoratori di per sé non è qualificabile come accordo sindacale, essendo onere del datore di lavoro dimostrare l’esistenza di un vero e proprio accordo autorizzatorio.

Ciò non toglie, comunque, che, pur in presenza di un accordo sindacale che regolamenti le ipotesi e le modalità di esecuzione delle visite, il medesimo accordo possa essere sempre sottoposto al vaglio dell’Autorità giudiziaria e il lavoratore potrà sempre contestare il controllo in concreto attuato.

È da ritenere valido anche per l’articolo in commento quanto sostenuto per l’analoga procedura di cui all’articolo 4 St.Lav. dalla dottrina dominante di considerare il tentativo di accordo con le Rsa/Rsu condizione di ammissibilità per presentare l’istanza di autorizzazione; ciò sul presupposto che l’avvio di una trattativa sindacale si configurerebbe quale onere, con la conseguenza che al datore di lavoro resterebbe inibita la possibilità di chiedere l’intervento ministeriale se non in caso di fallimento del tentativo. D’altra parte, ritenendo valido anche per l’articolo 6 St.Lav. quanto sostenuto dalla giurisprudenza consolidata in materia di controlli a distanza ex articoli St.Lav., è da ritenere che quando il Legislatore ha interessato le Rsa/Rsu lo ha fatto per garantire i lavoratori da un uso distorto di sistemi di controllo, attraverso le rappresentanze degli stessi lavoratori coinvolti nei controlli. Ma, in mancanza di Rsa/Rsu o accordo, la stessa garanzia è assicurata ai lavoratori dall’intervento della DTL, ora Ispettorato territoriale del lavoro, che accerta la conformità al dettato legislativo della richiesta e autorizza l’uso di sistemi di controllo.

Sempre sul punto, è da ritenere valido anche per la fattispecie in commento quanto affermato dal Ministero del lavoro nell’interpello n. 2975/2005 in materia di controlli a distanza, a proposito dei soggetti sindacali titolati a siglare l’eventuale accordo autorizzatorio, da individuarsi esclusivamente in quelli tassativamente indicati dalla disposizione di legge. Ciò sul presupposto, come affermato dal Ministero, che il coinvolgimento del soggetto sindacale “più vicino” si giustificherebbe in ragione della natura dei diritti coinvolti assolutamente personali.

 

Consenso del lavoratore

Le visite personali in argomento, sia pure rispondenti ai requisiti e alle condizioni esposte, necessitano pur sempre del consenso dell’interessato, indispensabile per l’effettuazione del singolo controllo, perché neppure la perquisizione lecita può essere imposta coattivamente al lavoratore dissenziente; il rifiuto potrà essere eventualmente considerato violazione di un obbligo che trova la sua fonte nel contratto di lavoro e come tale, quindi, esporre il lavoratore a responsabilità e a conseguenti sanzioni disciplinari.

D’altra parte, se il datore di lavoro dovesse decidere di effettuare il controllo anche in assenza di consenso, rischierebbe di incorrere nel reato di violenza privata (articolo 610 c.p.).

Diversamente, invece, nell’ipotesi di controllo illegittimo perché effettuato con modalità che non soddisfano i criteri fissati dall’articolo 6, comma 2, St.Lav., e di quelli procedurali di cui al comma 3 del medesimo articolo, il lavoratore può sottrarsi senza conseguenze al controllo e gli eventuali esiti di quest’ultimo sono inutilizzabili in giudizio nei confronti del prestatore di lavoro.

 

Sanzioni

L’effettuazione di visite personali di controllo effettuate senza il rispetto dei presupposti sostanziali e procedurali di cui all’articolo 6 St.Lav. è sanzionata penalmente a mezzo dell’articolo 38 dello stesso Statuto con l’ammenda da 154 a 1.549 euro, o l’arresto da 15 giorni a un anno. Qualora la fattispecie integri gli estremi dei più gravi reati di ingiuria, violenza privata, sequestro di persona, le relative sanzioni penali si sostituiscono a quelle previste dall’articolo 38 St.Lav..

Sono punibili le fattispecie di seguito riportate, in quanto il datore di lavoro ha effettuato visite personali di controllo sui lavoratori:

  • non indispensabili alla tutela aziendale;
  • non all’uscita dei luoghi di lavoro;
  • senza accordo sindacale o provvedimento autorizzatorio;
  • senza salvaguardia delle dignità e della riservatezza dei lavoratori;
  • senza applicare criteri di selezione automatica.

In tutti i casi è applicabile la prescrizione obbligatoria ex articolo 15, D.Lgs. 124/2004, per cui al datore di lavoro viene prescritta la cessazione della condotta illecita e, in caso di esito positivo, lo stesso viene ammesso al pagamento di una sanzione pari a 387,25 euro.

 

Il parere del Ministero del lavoro

Il Ministero del lavoro, con il parere n. 20542 dell’8 novembre 2016, risponde all’ufficio territoriale di Venezia rispetto a un’istanza di un’azienda sulla corretta applicazione della procedura ex articolo 6, L. 300/1970, intenzionata a implementare la policy aziendale sulle visite personali di controllo. L’azienda chiede in particolare un parere sulla sussistenza dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione delle seguenti procedure legate all’esigenza di tutela del patrimonio aziendale e contro illeciti:

  1. l’esecuzione di controlli a campione sul contenuto delle borse dei dipendenti e visitatori dei negozi attraverso sistemi di selezione imparziale che rendano casuale l’individuazione del soggetto da controllare;
  2. la possibilità da parte del responsabile del negozio di ispezionare gli armadietti siti negli spogliatoi aziendali che per tale ragione, a ogni fine turno, dovranno essere lasciati aperti.

Rispetto alle misure di controllo proposte dall’azienda, il Ministero ritiene preliminarmente necessario verificare la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi delle singole fattispecie e cioè se le modalità di controllo proposte dall’azienda rispettino le condizioni previste dall’articolo 6, L. 300/1970.

A tal proposito il dicastero di Via Flavia ricorda come la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1461/1988) abbia affermato che un accordo sindacale è necessario per stabilire le regole per perquisire la persona del dipendente e non è richiesto per sottoporre a perquisizione i suo effetti personali, come borse o bagaglio in genere, nell’assunto che solo nel primo caso sussisterebbero le prevalenti esigenze di tutela della riservatezza e intimità della persona.

Una lettura evolutiva della norma ha portato negli anni la giurisprudenza di merito (Pretura di Milano, 22 gennaio 1987; Pretura Penale di Pordenone, 8 febbraio 1997) a superare questo indirizzo e a ricomprendere nella procedura autorizzatoria per le visite personali di controllo anche l’ispezione degli oggetti di proprietà del lavoratore, quali borse, zaini e accessori simili.

Il Ministero, nella nota in commento, fa propria l’interpretazione estensiva del concetto di visite personali, ricomprendendovi anche gli accessori personali dei singoli (borse, bagagli e simili); conseguentemente, conclude il Ministero, il controllo sul contenuto delle borse di dipendenti può essere effettuato solo in seguito alla procedura di autorizzazione prevista dalla norma, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali, e mediante opportuni meccanismi di selezione imparziale specificatamente richiesti dalla norma e predisposti dall’azienda, in modo da rendere del tutto casuale l’individuazione del soggetto da ispezionare.

Viene altresì evidenziato che la disciplina di cui all’articolo 6 riguarda unicamente i controlli nei confronti dei soli lavoratori, e non si estende ai controlli nei confronti dei visitatori, già oggetto di tutela generale garantita dall’articolo 13, Costituzione.

Naturalmente ai fini del provvedimento autorizzatorio è dirimente il giudizio sull’“indispensabilità” delle misure per le quali si chiede l’autorizzazione a derogare il generale divieto delle visite di controllo “ai fini della tutela del patrimonio aziendale in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti”. Il Ministero ricorda che l’indagine sulla sussistenza di tale requisito per la giurisprudenza prevalente deve essere svolta in maniera particolarmente rigorosa, con attenta considerazione circa la ricorrenza di due condizioni:

  1. l’intrinseca qualità (con diverse possibili valenze: segretezza, pericolosità, elevato valore economico e/o agevole asportabilità) degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti;
  2. l’impossibilità di prevenire i furti se non attraverso le perquisizioni personali (laddove, ad esempio, non sia possibile ricorrere ad adeguate registrazioni dei movimenti delle merci ovvero all’adozione di misure atte a disincentivare gli ammanchi stessi e a favorire, invece la condotta diligente e fedele dei dipendenti).

Nella valutazione istruttoria preordinata all’emissione del provvedimento autorizzatorio, secondo il Ministero, l’Ufficio è tenuto a verificare anche che detta esigenza di tutela non possa essere soddisfatta attraverso il ricorso a modalità di controllo alternative e meno invasive; ciò evidenzia il carattere di extrema ratio delle visite in argomento (dal semplice divieto di introduzione di borse nei reparti di lavoro, alla sorveglianza dell’uscita dei lavoratori dai reparti, ai più sofisticati rilevatori magnetici).

Un cenno particolare merita senz’altro l’altra questione posta dall’azienda istante, circa la possibilità da parte del responsabile del negozio di ispezionare gli armadietti collocati negli spogliatoi aziendali che, per tale motivo, dovranno essere lasciati aperti a ogni fine turno. Sul punto il Ministero, facendo proprio l’orientamento già assunto dalla giurisprudenza, ritiene che debba essere negata la necessità dell’accordo sindacale o, in alternativa dell’autorizzazione da parte della Direzione territoriale del lavoro, ora Ispettorato territoriale. Ciò sull’assunto che è oggettivamente difficoltoso ricondurre l’ispezione in parola alla fattispecie della “visita personale”, anche accogliendo un’accezione molto ampia della nozione tale da ricomprendervi gli effetti personali del lavoratore e tenendo altresì conto del fatto che gli armadietti, essendo di proprietà aziendale, sebbene posti nell’esclusiva disponibilità del lavoratore, non rientrano tra gli oggetti di proprietà del lavoratore tutelati dall’articolo 6 St.Lav..

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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