Quando i vincoli pesano meno
di Riccardo GirottoI campionati più spettacolari ove si confrontano i migliori atleti talvolta impongono ai team che vi partecipano dei limiti di salario massimo, ma anche garanzie di salario minimo.
Mentre il salario massimo tende a dinamiche di fair play finanziario, nonché a creare un certo equilibrio di risultati all’interno della specifica lega, il salario minimo garantisce agli sportivi alle prime esperienze l’accesso agevolato alle franchigie, o agli atleti che hanno minore mercato, una seconda possibilità.
Il salario minimo potrebbe risultare un limite per alcune squadre che paventino interesse a partecipare a leghe esterne, dove poter ingaggiare sportivi senza limiti di compenso e puntare, quindi, a rose più ricche o risultati meno legati alla spesa. Ma tutto questo shopping non avrà modo di esistere, laddove la lega che impone il salario minimo risulti essere la migliore. Pur di parteciparvi, gli investitori sarebbero disposti per competitività, fame e immagine a sostenere i minimi salariali.
Il salario massimo potrebbe, in alcuni casi, risultare insufficiente a soddisfare le aspettative dei migliori talenti, ma il problema verrebbe superato dal fatto che tutte le offerte provenienti dalla lega dovrebbero comunque rispettare il tetto imposto. A questo punto, la vera concorrenza potrebbe arrivare dall’esterno, ma anche questo problema potrebbe essere superato da un concetto molto meritocratico, rendendo quella lega “la lega dei migliori”. Ne deriverebbe che ogni offerta economica, per quanto vantaggiosa, rischierebbe di sopperire a carenze di competitività, immagine, fama, etc..
In una lega chiusa, quindi, tutto funzionerebbe a dovere, a patto che quella lega sostenga non solo la competizione interna, ma assicuri la propria posizione di dominio anche nei confronti di altre leghe.
I concetti fin qui espressi da tempo vengono discussi nel mondo del lavoro: tanto il salario minimo quale garante della dignità per tutti i lavoratori, quanto il salario massimo per questioni etiche di contenimento del gap tra le paghe dei supermanager e quelle di operai e impiegati occupati all’interno della stessa impresa.
Per il salario minimo pare i tempi siano maturi, tra qualche mugugno delle parti sociali e la rassicurazione che tali importi andranno a salvaguardare le aree prive di contrattazione collettiva, anche l’Europa chiede la definizione della questione. Certamente un salario su base oraria spazza ogni pretesa compensazione delle prestazioni di risultato, mentre offre a ogni soggetto la garanzia di un reddito certo rapportato al tempo di lavoro. Resta, quindi, da capire se i lavori che oggi vengono valorizzati tramite salari inferiori rispetto a quelli che saranno i minimi legali continueranno a essere svolti e, in caso positivo, se continueranno a esserlo nei Paesi assoggettati alla soglia minima. Certamente non ci sarà rischio di delocalizzazione per le aziende che identificheranno il nostro Paese come il migliore.
Il tetto salariale ai manager è sicuramente una misura apprezzabile di avvicinamento delle persone nella valorizzazione del loro apporto ai risultati dell’azienda, certo potrebbe rischiare di allontanare i manager verso Paesi non sottoposti a limiti massimi di compensazione dei lavoratori, ove troverebbero una soddisfazione economica maggiore. Opzione, quest’ultima, scongiurata qualora il Paese che fissa le regole ferree fosse migliore.
In un sistema chiuso le regole esprimono effetti sicuramente più apprezzabili rispetto a un sistema aperto, dove anche le migliori regole non realizzeranno mai gli effetti sperati. L’apertura verso l’esterno, infatti, potrebbe rivelarsi una via di fuga. Il problema non è più la concorrenza tra aziende o tra franchigie, in un sistema aperto il problema è la concorrenza tra le diverse leghe, nella globalizzazione è la competizione fra legislazioni a spingere azienda e lavoratore verso soluzioni più convenienti.
Abbiamo scelto la globalizzazione consci della disparità tra le regole, volendo rendere le nostre sempre più stringenti. Per mantenere il lavoro nel nostro Paese resta da capire se possiamo offrire condizioni utili a competere e a garantire un’immagine di valore, resta da capire se possiamo essere i migliori.
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