12 Settembre 2024

Valore retributivo dell’auto ad uso promiscuo

di Luca Vannoni Scarica in PDF

La concessione dell’auto ad uso promiscuo non può prescindere da una valutazione della componente retributiva che genera, sia per l’incidenza nella retribuzione indiretta, come il TFR, sia nella determinazione del valore retributivo sostitutivo, nel momento in cui si procede alla revoca del fringe benefit.

Da un punto di vista fiscale, come noto, l’articolo 51, comma 4, TUIR fissa una regola di determinazione dell’imponibilità su base forfettaria, prevedendo l’applicazione di una percentuale, oscillante tra il 25% e il 50% in base alle emissioni inquinanti, rispetto al costo chilometrico Tabelle Aci parametrato su una percorrenza media di 15000 km.

Viceversa, nel momento in cui si deve determinare una valorizzazione ai fini retributivi, non vi sono regole definite, come risulta dagli orientamenti giurisprudenziali assolutamente eterogeni in materia.

Prima di addentrarci, una breve premessa relativamente a tali questioni retributive.

Nel momento in cui la concessione dell’auto assume valenza retributiva, come in linea generale nel caso dell’uso promiscuo anche a fini privati, innanzitutto il fringe benefit è tutelato in virtù del principio di irriducibilità della retribuzione, che, come noto, non ammette peggioramenti unilaterali.

Pertanto, nel caso in cui si proceda con la revoca del fringe benefit, dovrà essere riconosciuto un elemento retributivo sostitutiva della retribuzione in natura venuta meno.

La valorizzazione è poi richiesta anche in via ordinaria, nel momento in cui deve essere considerata l’incidenza nel TFR, salvo diversa previsione da parte della contrattazione collettiva (art. 2120 c.c.), in quanto evidentemente elemento retributivo corrisposto non in via occasionale.

Nel voler scandagliare gli esiti giurisprudenziali in materia, non si può che partire dalla recete ordinanza della Cassazione, sez. lav., 26 luglio 2024 n. 20938.

La questione del valore dell’auto ad uso promiscuo si trova incastonata nel contenzioso sorto a seguito delle dimissioni presentate da un dirigente che si era visto modificare la propria attività in modo sostanziale: ipotesi in cui l’art. 16 CCNL dirigenti industriali riconosce al dirigente, oltre al trattamento di fine rapporto, anche ad un trattamento pari all’ indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di licenziamento.

La Corte d’Appello di Firenze, confermando la sentenza del Tribunale della stessa sede, accoglieva il ricorso proposto dal dirigente e condannava il datore di lavoro al pagamento in suo favore della complessiva somma di € 181.545,25.

Il datore di lavoro ricorreva quindi in Cassazione.

La Suprema Corte, in primo luogo, considera sussistente il diritto del dirigente a vedersi riconosciuta l’indennità sostitutiva del preavviso, ritenendo inammissibile il primo motivo di ricorso, che contestava il mutamento dell’attività del dirigente, in quanto si sostanzierebbe in “un accertamento in fatto mediante una sostanziale richiesta di rivalutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità”.

Con il secondo motivo, il datore di lavoro contestava il calcolo dell’incidenza dei fringe benefits sugli istituti retributivi indiretti e differiti, come il TFR, in  quanto il valore del benefit auto aziendale per uso promiscuo era stato parametrato dai giudici di merito ai chilometri annualmente percorsi, considerando l’ammontare dei rimborsi sostenuti per il carburante e i pedaggi autostradali, e valorizzando il costo dell’auto e il fatto che le spese di manutenzione e assicurazione fossero a carico della società datrice di lavoro, senza tener conto del valore utilizzato ai fini fiscali risultante dalle buste paga e determinato in via forfettaria ai sensi dell’articolo 51, TUIR, comma 4.

Nel rigettarlo, la Corte di Cassazione innanzitutto pone sotto la lente la natura retributiva dell’auto ad uso promiscuo, sussistente nel momento in cui è riconosciuta contrattualmente come beneficio in natura e inserita nella struttura sinallagmatica del contratto di lavoro, senza che abbia alcuna rilevanza il fatto che l’auto non sia “ricollegabile a una specifica prestazione” (Cass. n. 16129/2002, n. 19616/2003).

Accertati i presupposti che qualificano l’auto ad uso promiscuo come retribuzione, da cui poi discende l’inclusione nella base di calcolo dell’indennità di preavviso, la Suprema Corte sposta l’attenzione sulla determinazione effettiva del relativo valore monetario, considerando legittimo l’approccio dei giudici di merito, i quali hanno tenuto conto di “una serie di elementi integranti il risparmio di spesa del lavoratore” forniti dalla parte interessata.

Il datore di lavoro, come risulta dalla sentenza in commento, riteneva viceversa doveroso parametrare il valore sulla base della regola fiscale che, come noto, utilizza un parametro forfettario, argomento rigettato, più che nella sostanza, per assenza di spiegazioni a supporto: “la Corte di Firenze ha perciò dato rilievo a una serie di elementi integranti il risparmio di spesa del lavoratore provvisto di autovettura aziendale per uso promiscuo quale base di calcolo, risparmio assimilabile a retribuzione in natura, criterio congruo ed esplicitato in conteggi prodotti dalla parte interessata e ritenuti attendibili in tale ottica; al contrario, la società non ha fornito (quantomeno in questa sede) spiegazioni circa la base di calcolo per il diverso importo inserito per il titolo in questione in busta paga”.

Appare singolare che, proprio la debolezza delle ragioni a supporto di una diversa quantificazione del fringe benefit, abbia dato esito opposto in un precedente recente della Corte di Cassazione, sez. lav., 27 maggio 2019, n.14420.

La questione era molto più diretta, interessando il corrispettivo per la perdita della retribuzione in natura determinato dalla revoca dell’auto adi uso promiscuo: il datore di lavoro aveva infatti quantificato tale importo sulla base del parametro fiscale forfettario, criterio ritenuto congruo nei gradi di merito e confermato in Cassazione, che ha ritenuto di non disattendere tale previsione solo in ragione della deduzione di un trattamento di maggior favore, genericamente allegata e neppure provata dal lavoratore:  in difetto di deduzioni che dessero conto della volontà delle parti di attribuire al bene un maggiore valore, il criterio rispondeva  ad esigenze di certezza ed uniformità.

Non sembra quindi emergere un principio di diritto dirimente a livello di legittimità.

A livello di merito, in parallelo, l’eterogeneità delle pronunce si rafforza ulteriormente, spesso in virtù di regolamentazioni o gestioni particolari legate alla revoca del fringe auto.

Secondo la Corte d’Appello Roma, Sez. lavoro, Sent., 11 novembre 2022, n. 3811, l’incidenza del beneficio dell’auto aziendale sul TFR debba essere quantificata alla luce del suo valore reale, e non sul valore fiscale, “salvo diversa previsione contrattuale”

Il Tribunale Milano, Sez. lavoro, Sent., 11/05/2022, n. 1209 ha considerato, per quantificare la revoca dell’auto, le tabelle ACI, e quindi il valore forfettario ai fini fiscali.

Il Tribunale Milano, Sez. lavoro, Sent., 10/05/2016, n. 1395, ha stabilito che il controvalore dell’uso e della disponibilità, anche ai fini personali, dell’auto concessa contrattualmente dal datore di lavoro, indipendentemente dall’effettiva utilizzazione, ha natura retributiva, natura che può essere esclusa solo quando a carico del lavoratore è previsto un determinato costo per l’uso personale, nell’ambito di un vero e proprio contratto di locazione del veicolo.

 

Welfare aziendale e politiche retributive