Un’insidia nei contratti a termine: il diritto di precedenza
di Roberto Lucarini
In tempi di crisi economica, dove le aspettative delle aziende divengono ancor più aleatorie, si assiste alla ricerca costante di flessibilità nelle forme contrattuali di lavoro. Con la recente riforma del Jobs Act, anche su questo profilo, si è cercato di offrire rimedi, pur ribadendo che il contratto a tempo indeterminato resta alla base del nostro ordinamento lavoristico.
Tra le opzioni utilizzabili rientra, appieno, il contratto a tempo determinato. Dopo la sua liberalizzazione da causale, calmierata della durata massima e dal contingentamento quantitativo, il tipo contrattuale viene di fatto parecchio utilizzato dalle imprese, pur se contributivamente un po’ più costoso. Inutile girarci intorno: tale contratto offre una flessibilità in uscita non concessa nel tempo indeterminato, sia pure sotto tutele crescenti; si presenta inoltre, certamente in modo anomalo, quale forma di periodo di prova sui generis, con possibilità anche di proroghe. Il tutto a fronte di un inevitabile contraltare di un diffuso precariato.
Ma l’uso disinvolto del contratto a termine non è certamente una bella pratica; e questo per varie motivazioni, non ultima quella legata al diritto di precedenza. Un tema che talora non è posto in evidenza, almeno rispetto ad altri punti critici, ma che in realtà, sul piano operativo, può porre diversi problemi. Sto parlando del disposto ex art.24 del nuovo Codice dei contratti (D.Lgs n.81/15), dove si pone il diritto di precedenza in capo a un lavoratore che possa vantare un periodo di lavoro a termine con un determinato datore, sia per singolo contratto che per sommatoria di vari rapporti, superiore a 6 mesi. Diritto che la norma sottopone a un doppio termine:
- di decadenza, pari a 6 mesi da cessazione rapporto, periodo nel quale il lavoratore deve manifestare esplicitamente la volontà di avvalersi del diritto, che nel suo silenzio non si attiva;
- di prescrizione, pari a un anno da cessazione rapporto, periodo entro il quale il datore di lavoro si vede costretto a tenere conto di tale precedenza. Ricordo che tale diritto vale per nuove assunzioni effettuate con contratto a tempo indeterminato.
Già con il D.L. n.34/14 è stato richiesto che l’esistenza di tale diritto sia da esplicitare in contratto, al fine di renderlo ancor più chiaro al titolare, lavoratore dipendente. Attenzione quindi anche a tale aspetto, legato alla durata del contratto, se superiore ai 6 mesi, ma anche valido nel caso di sommatoria di ripetuti contratti a termine. Mi spiego: un iniziale contratto di 3 mesi non pone problemi di questo tipo; ma un secondo contratto, poniamo di 7 mesi, porta il totale lavorato a 10 mesi e, quindi, richiede l’esposizione della sussistenza del diritto di precedenza.
C’e tutta una discussione relativamente a cosa potrebbe accadere in caso di mancata esposizione in atto. La norma non pone sanzioni dirette; resta da valutare un’eventuale richiesta di risarcimento danni da parte del lavoratore, cui sia mancata tale comunicazione.
Il nodo cruciale resta, ovviamente, il caso di lesione del diritto di precedenza correttamente attivato dal lavoratore. Anche in questo caso direi che il rischio riguarda il risarcimento del danno e non tanto un’eventuale richiesta di adempimento con costituzione del rapporto di lavoro.
Per brevità devo terminare, ma le questioni sul tema non mancano, si pensi ad esempio alla prelazione nello stagionale. Resta da evidenziare, comunque, di porre la massima attenzione all’eventuale precedenza, considerato il fatto che tale diritto può materializzarsi anche per sommatoria di vari contratti a termine.