Le “tutele crescenti” al vaglio di legittimità costituzionale
di Evangelista BasilePer qualche mese il “mondo del lavoro” starà col fiato sospeso, in attesa che la Corte Costituzionale si esprima sulla conformità o meno delle “tutele crescenti” alla nostra Carta Costituzionale. Infatti, dopo aver incassato (ma superato) le critiche di parte del mondo politico e sindacale, adesso è la magistratura del lavoro a dubitare della legittimità delle nuove tutele poste dal Legislatore nazionale rispetto ai licenziamenti illegittimi. Nello specifico, è stato il Tribunale di Roma a ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della nuova disciplina in tema di “tutele crescenti”, sollevata da un dipendente licenziato dalla propria datrice di lavoro per giustificato motivo oggettivo.
Il giudice capitolino, ritenuta la motivazione addotta nella lettera di recesso “estremamente generica e adattabile a qualsivoglia situazione”, ha sostenuto che le tutele contemplate nel D.Lgs. 23/2015 sarebbero insufficienti a ricompensare l’ex dipendente della perdita del posto di lavoro e, soprattutto, non disincentiverebbero la parte datoriale a risolvere immotivatamente un contratto di lavoro. Oltre a ciò, il magistrato ha ritenuto che la nuova disciplina giuslavoristica, a differenza di quella prevista dall’articolo 18 St. Lav. e dall’articolo 8, L. 604/1966, priverebbe il giudice di qualsiasi discrezionalità valutativa in ordine alla tutela da riconoscere al lavoratore. Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale di Roma ha ravvisato nelle nuove “tutele crescenti” un possibile contrasto con gli articoli 3, 4, 35, 117 e 76 della Costituzione. In particolare, le “tutele crescenti” non sarebbero coerenti con l’articolo 3 Cost. nella misura in cui l’indennità risarcitoria, da un lato, non rivestirebbe carattere compensativo e dissuasivo e, dall’altro, comporterebbe conseguenze discriminatorie, differenziando irragionevolmente gli assunti ante e post 7 marzo 2015. Inoltre, l’assenza di discrezionalità giudiziale determinerebbe una disciplina uniforme per casi dissimili tra loro. Gli articoli 4 e 35 Cost. risulterebbero violati, in quanto al bene “lavoro” verrebbe attribuito un controvalore monetario irrisorio e fisso. Infine, la nuova disciplina – poiché non rispetterebbe le fonti sovranazionali come la Carta di Nizza e la Carta Sociale – si porrebbe in contrasto con gli articoli 117 e 76 Cost..
Spetterà ora alla Corte Costituzionale esprimersi in ordine al dubbio sollevato dal giudice di Roma.
Inutile dire che, in caso di declaratoria di incostituzionalità, vi sarebbe un effetto dirompente, visto che anche per gli assunti dopo il 7 marzo 2015 tornerebbe ad applicarsi la precedente disciplina in materia di licenziamento illegittimo e/o nullo.
A parere di chi scrive, il rischio che la Corte Costituzionale possa condividere le osservazioni del Tribunale di Roma appare piuttosto remoto.
I magistrati hanno mantenuto ancora intatta la piena discrezionalità di decidere della legittimità o meno del licenziamento e di quale vizio esso possa essere affetto. È stata sottratta loro solo la discrezionalità sull’entità dell’indennizzo economico, deciso una volta per tutte dal Legislatore in base all’anzianità di servizio. Neppure appare ragionevole la critica al parametro selezionato dal Legislatore per differenziare le tutele, quello appunto dell’anzianità in azienda, atteso che è un criterio utilizzato da sempre da leggi e discipline collettive del lavoro per differenziare i trattamenti dei dipendenti (tutelando proprio i più anziani).
Né, infine, sembrano condivisibili le censure mosse dal Tribunale di Roma all’entità del risarcimento e al diverso trattamento dei dipendenti in base al momento della assunzione: le prime – quali la “non adeguatezza” o l’“irrisorietà” dell’indennità risarcitoria – sembrano risolversi in valutazioni del tutto soggettive del magistrato romano, non corroborate da dati oggettivi; le seconde non considerano l’insegnamento proprio della stessa Corte Costituzionale, secondo cui “il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche” (sentenza n. 254 del 13 novembre 2014).
Ad ogni modo, al di là del “tifo” che si è creato intorno alle tutele crescenti tra fautori e detrattori, adesso la parola passa ai guardiani della nostra Carta Costituzionale, che sapranno certamente sciogliere la questione di costituzionalità con una valutazione tecnica e imparziale.
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19 Settembre 2017 a 9:53
valutazione tecnica ed imparziale? lo spero, ma non ne sono convinto. Se è vero che un giudice può “indirizzare” un’interpretazione della norma per ottenere un risultato conforme alle sue precomprensioni, allora credo lo possa fare anche un collegio giudicante.