Della somministrazione e di altre questioni controverse del tempo determinato all’epoca del Decreto Dignità
di Michele DonatiNel corso del presente articolo andremo a esaminare come il Decreto Dignità, successivamente convertito in L. 96/2018, ha impattato sul contratto a termine relativamente alle attività stagionali, con particolare focus in materia di somministrazione.
Introduzione: un viaggio tra le pieghe del Decreto Dignità in materia di lavoro a termine stagionale
Con un colpo quasi a sorpresa, uno dei primi interventi incisivi e concreti dell’attuale Esecutivo ha riguardato la revisione del contratto a termine, inserita nel più ampio contesto del Decreto Dignità.
La tecnica legislativa utilizzata appare onestamente lacunosa e non tarata adeguatamente rispetto alla portata e all’impatto normativo auspicato dal Legislatore.
Non è questa la sede per fare tale appunto, ma proprio la considerazione testé fatta è funzionale alla trattazione che seguirà; declinare in un unico provvedimento il concetto di dignità appare operazione assai delicata, specie se si vogliono andare a toccare temi così nevralgici e lontani al tempo stesso, quali il lavoro a tempo determinato, il lavoro nella scuola, il gioco d’azzardo e possibili agevolazioni fiscali.
Non aiuta poi, entrando nel merito della tecnica normativa, il ricorso alla novella, la quale, se da un lato lascia inalterato l’impianto normativo, dall’altro rischia di creare falle laddove non sia prevista una correlata copertura legislativa a tutte le fattispecie concrete affrontate.
Se vogliamo, questo è un po’ quello che accade per la somministrazione all’interno del lavoro stagionale. Vediamo perché.
La somministrazione nei rapporti di lavoro stagionali
Già con il D.Lgs. 81/2015, il Legislatore aveva inteso porre un argine al dilagare del ricorso alla somministrazione in assenza di precisi paletti e linee guida, stabilendo limiti normativi e quantitativi, con un preciso e pedissequo rimando alla sezione dedicata al contratto a termine.
In buona sostanza, la norma sopra richiamata andava a considerare in maniera unitaria i lavoratori assunti tramite contratti a termine e quelli nei confronti dei quali intercorrono rapporti somministrati in seno alla medesima azienda.
Chiara volontà del Legislatore era quella di limitare il ricorso a forme di lavoro ritenute precarie, ferma restando la classica locuzione che fa salve clausole contrattuali di miglior favore (locuzione che ormai fa parte del linguaggio quotidiano degli operatori, anche se non sempre è semplice capire a chi siano riferite, e quindi come debbano essere considerate, le condizioni di miglior favore… ma andremmo ad aprire un mare magno).
Nel D.Lgs. 81/2015 era chiara e inconfutabile la volontà di dare al comparto dei rapporti di lavoro rientranti nell’alveo della stagionalità un trattamento differenziato e particolare, trattamento derivante dalla peculiare causa di apposizione del termine.
Il carattere di stagionalità inteso dal Legislatore del D.Lgs. 81/2015 era sia quello sancito dal D.P.R. 1525/1963, sia quello individuato dalla contrattazione collettiva di settore.
Tramite il meccanismo combinato tra fonti normative e contrattazione collettiva, il Legislatore (come anche le parti sociali nel secondo caso) ha quindi dato vita a un sistema che ha consentito alle attività stagionali di godere, giustamente, di un regime normativo di favore.
Di seguito andremo ad analizzare i risvolti concreti e i diversi scenari che possono concretizzarsi in ipotesi di rapporto a termine diretto e contratto a tempo determinato all’interno di una somministrazione.
Il dato di partenza che maggiormente può trarre in inganno è legato alle continue applicazioni per analogia alle quali il Legislatore del D.L. 87/2018 fa riferimento quando tratta l’istituto della somministrazione a tempo determinato, rispetto alle disposizioni di cui agli articoli 19 ss., D.Lgs. 81/2015.
In questo senso c’è un rimando specifico che rischia di essere fuorviante, ma che in realtà può essere il fulcro da cui partire per operare un’analisi obbiettiva e scevra da fronzoli e interpretazioni, nonché, se vogliamo, molto concreta.
Si tratta dell’articolo 34, comma 2, D.Lgs. 81/2015, così come novellato dalla L. 96/2018, il quale stabilisce che, in caso di assunzione a tempo determinato, il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al Capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24.
L’articolo 21, comma 2, è proprio quello che rimanda ai rapporti stagionali, sebbene in un’ottica più ad ampio raggio; il rimando a tale contesto, infatti, è successivo alla deroga della disciplina degli intervalli tra contratti a termine.
Il punto, però, è dato dal fatto che l’articolo 34 non parla di utilizzatore, ma di somministratore, andando quindi a disciplinare quel rapporto.
Torniamo ora al tema del contratto a termine di natura stagionale e facciamo un piccolo passo indietro.
Nella formulazione originaria del Decreto Dignità non c’era traccia di alcuna deroga in merito all’apposizione del termine in contratti a tempo determinato di natura stagionale, probabilmente per una questione di traslazione implicita da parte del Legislatore.
Vista, però, la mole delle considerazioni e dei dubbi sollevati in merito al testo iniziale del D.L. 87/2018, il Legislatore ha pensato bene di colmare tale lacuna con il testo di Legge di conversione, laddove nell’articolo 1, comma 1, lettera b), punto 1, viene previsto che la disciplina del novellato articolo 19, D.Lgs. 81/2015, circa l’apposizione della causale oltre i primi 12 mesi di contratti a tempo determinato (nonché la possibilità di effettuare proroghe e rinnovi) non si applica ai contratti ascrivibili ad attività stagionali, intendendo per tali quelli di cui all’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 81/2015 (quindi sia quelli che fanno riferimento al D.P.R. 1525/1963, sia quelli che sono legati alle previsioni contenute nella contrattazione collettiva).
Tutto chiaro e lineare quindi in materia di lavoro a termine in ambito stagionale, ma come si colloca in tutto ciò la somministrazione?
Pare acclarato che la volontà del Legislatore sia stata quella di parificare in tutto e per tutto il lavoro a tempo determinato[1], ma attraverso l’analisi che seguirà scopriremo (sorprendentemente) quanto può essere rischioso (e probabilmente privo di fondamento), applicare per analogia la disciplina del tempo determinato all’istituto della somministrazione per ciò che riguarda le attività aventi carattere stagionale (sia in quanto rientranti nelle casistiche del D.P.R. 1525/1963, sia in virtù di previsioni sancite dalla contrattazione collettiva).
Cerchiamo ora di capire come si colloca la somministrazione nei rapporti di lavoro rientranti nelle ragioni di stagionalità.
Tale analisi appare fondamentale anche alla luce del percorso intrapreso con il D.Lgs. 81/2015, che muove nella direzione di una condanna sempre più ferma degli utilizzi distorti dell’istituto della somministrazione, anche in relazione ai limiti stabiliti dalla vigente normativa; in questo senso l’articolo 38, comma 2, dello stesso Decreto stabilisce che, in ipotesi di somministrazione irregolare, intendendo per tale anche quella costituita al di fuori dei limiti posti dall’articolo 31, commi 1 e 2, D.Lgs. 81/2015, il lavoratore irregolarmente somministrato possa chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro presso l’utilizzatore a decorrere dall’inizio della somministrazione stessa.
Ecco: questo è probabilmente il punto centrale di tutta la disamina.
I limiti numerici del rapporto di lavoro a termine sono contenuti nell’articolo 23, D.Lgs. 81/2015 (non novellato), il quale al comma 2, lettera c, stabilisce espressamente che le soglie di contingentamento non si applicano alle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2 (quindi sia di derivazione contrattuale, sia di natura normativa).
Quando si parla di limiti numerici alla somministrazione, si fa invece riferimento all’articolo 31, commi 1 e 2; la grande differenza tra le 2 fonti citate sta nel fatto che nel secondo caso non sono presenti deroghe legate alla stagionalità. Tale assenza sembra generare un corto circuito tra l’applicazione per analogia stabilita dall’articolo 34 in materia di tempo determinato, e l’assenza di deroghe ai limiti di contingentamento numerico che emerge dalla lettura comparata degli articoli 23 e 31.
Conclusioni
Nel dubbio, a parere di chi scrive, appare opportuno non operare alcuna estensione per analogia del ricorso alla somministrazione nelle attività di carattere stagionale, onde evitare dubbi e rischi interpretativi.
A onor del vero, anche se tale ed eventuale limitazione può apparire curiosa (in genere, infatti, è la somministrazione a costituire una potenziale modalità di estensione del ricorso a rapporti a tempo determinato), è bene anche sottolineare come il comparto del turismo, e in particolare le attività classificabili come stagionali, godano già di tante e tali deroghe ed estensioni (contratti a tempo determinato al di fuori di contingentamenti di ogni natura, sia in merito alla durata che al numero di lavoratori, sia dei rinnovi e delle proroghe, ai quali deve poi sommarsi anche un ricorso con minori vincoli ai rapporti di lavoro intermittente, sia in relazione alla gamma delle mansioni definite discontinue dal Regio Decreto, sia dell’assenza del limite delle 400 giornate nel triennio), tali da rendere in ogni caso meno pregiudizievole l’eventuale limitazione “ordinaria” al ricorso alla somministrazione, rispetto a imprese operanti in altri settori (industria, artigianato e terziario).
Operativamente, quindi, può essere prudenzialmente buona cosa, anche in ipotesi di attività stagionali, rispettare i limiti numerici sanciti dall’articolo 31, commi 1 e 2, D.Lgs. 81/2015, fatte salve le clausole di miglior favore contenute nei contratti collettivi di settore, facendo parallelamente ricorso agli altri strumenti di flessibilità messi a disposizione da normativa e contrattazione collettiva per il comparto in oggetto.
In questo impianto, quindi, il fatto che l’attività svolta dal lavoratore presso l’utilizzatore, e/o la particolare natura dell’attività svolta da quest’ultimo incarni ragioni e caratteristiche di stagionalità, funge da causale di apposizione del termine, escludendolo così dai limiti di successione di 24 mesi e di rinnovo, ma non consente anche un superamento dei limiti numerici “ordinari”, giacché di fatto assente nell’impianto normativo di riferimento.
Da ultimo, è interessante rilevare come la vera stortura delle attività caratterizzate da fluttuazioni derivanti dalla stagionalità sia sopravvissuta anche al Decreto Dignità, e cioè l’assenza di disposizioni (sia di natura normativa che contrattuale) che allarghino le maglie del tempo determinato anche a quelle aziende che, sebbene non rientranti nell’ambito del comparto del turismo, sono interessate da picchi di stagionalità conseguenti alla loro particolare collocazione geografica.
[1] In tal senso sembra muoversi anche la L. 96/2018 di conversione, laddove il comma 1-ter dell’articolo 2, D.L. 87/2018, viene integrato con la previsione secondo la quale le condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015 (da intendersi verosimilmente come le clausole che giustificano il ricorso all’apposizione del termine), debbono sussistere anche all’interno di un rapporto di somministrazione, e in capo all’utilizzatore.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.
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