15 Gennaio 2019

Somministrare o non somministrare? Al contratto collettivo l’ardua risposta!! 

di Marco Frisoni

Dalla venuta del c.d. Decreto Dignità (e annessa legge di conversione, con le ineluttabili modificazioni del caso, peraltro in parte del tutto disomogenee rispetto al decreto originario), il nostro Paese si è arricchito di un ulteriore mestiere impopolare e malvisto, oltre che scarsamente favorito.

In effetti, l’intervento operato con il D.L. 87/2018 da parte dell’attuale Esecutivo ha reso improbo lo svolgimento delle attività da parte delle agenzie per il lavoro relativamente alla somministrazione a termine di manodopera, atteso che, da una lettura del testo normativo, traspare con veemenza una modesta simpatia (usando il classico eufemismo) per tale strumento contrattuale, probabilmente considerato come il non plus ultra della precarizzazione dei lavoratori.

Tutto ciò in aperto contrasto con il pensiero (e le normative) comunitari (tuttavia, tale sembra una connotazione ben marcata di questo Governo, in conflitto quasi costante con l’Unione Europea), che, al contrario, hanno sempre individuato nella somministrazione di lavoro un cruciale fattore per favorire un’occupazione sempre crescente per ottenere un adeguato contemperamento delle esigenze di conciliare i tempi di vita con gli impegni di lavoro.

Invece, come oramai noto, il decreto in parola non solo ha comportato una stringente compressione sulla disciplina del contratto a termine, in quanto la furia riformatrice si è abbattuta in maniera fragorosa sulla somministrazione a tempo determinato attraverso l’inesorabile (ma discutibile) principio in forza del quale ciò che vale per il rapporto a termine trova pedissequa cittadinanza anche per la somministrazione a termine. Di talché, si è appiattita e depauperata la funzione propria della somministrazione a tempo determinato e, nel contempo, rendendo detto istituto contrattuale scarsamente appetibile e, di fatto, difficilmente utilizzabile in combinazione e commistione con il contratto a termine diretto fra datore di lavoro e lavoratore.

Una siffatta (opinabile) tecnica legislativa acuisce la propria drastica efficacia anche in considerazione che, non raramente, il Legislatore (forse volutamente) non sembra distinguere le differenze fra il contratto commerciale di somministrazione (stipulato fra agenzia e utilizzatore) e il contratto a termine (o a tempo indeterminato) fra agenzia medesima e lavoratore inviato in missione.

Va da sé che il D.L. 87/2018 preservava alcune peculiari eccezioni per il contratto di somministrazione, riservando (o conservando) talune deleghe di completamento e/o deroga della norma di legge alla contrattazione collettiva (purché leader, ai sensi dell’articolo 51, D.Lgs. 81/2015) propria dell’utilizzatore, piuttosto che delle agenzie del lavoro stesse.

Vi era, quindi, grande attesa per capire come le parti sociali si sarebbero mosse in tal senso e, per la verità, una prima risposta significativa sembra provenire (Enti ispettivi permettendo) dall’ipotesi di rinnovo del 21 dicembre 2018 del Ccnl per le agenzie di somministrazione di lavoro, che, soprattutto nell’articolo 1 (immediatamente vigente, unitamente all’articolo 2, mentre la parte restante del verbale rimane subordinata, in termini di efficacia, al vaglio delle assemblee dei lavoratori), tenta di adempiere al ruolo assegnato dal Legislatore in maniera concreta e incisiva e di ridurre, per quanto possibile, il rigore del Decreto Dignità.

Invero, le parti sociali, pur fra 1.000 dubbi interpretativi, di certo non risolti dalla circolare ministeriale n. 17/2018, intervengono sulla durata massima e sulla successione di contratti, sul sistema delle proroghe e sul regime transitorio, tentando di sterilizzare l’impatto (fra l’atro infrannuale) del D.L. 87/2018.

Si tratta di soluzioni che, in concreto, parrebbero garantire una maggiore flessibilità al contratto di somministrazione, pur tuttavia appare l’esigenza di scolpire, nel tempo, una forma di virtuosa osmosi con la contrattazione collettiva di lavoro applicata dall’utilizzatore e, su taluni aspetti ancora ammantati da notevole incertezza interpretativa, sono fatte salve (articolo 23, comma 4, ipotesi di accordo in parola) eventuali indicazioni che dovessero provenire da fonte ministeriale e/o ispettiva.

In conclusione, non si può che apprezzare il lodevole sforzo dei soggetti firmatari di ricercare un fisiologico spazio di manovra per la somministrazione a tempo determinato all’interno delle ristrette maglie della normativa di riferimento, dopo l’avvento del citato Decreto Dignità, al fine di ridare “dignità” a una forma contrattuale che, in una situazione congiunturale tutt’altro che florida, potrebbe continuare a rappresentare un imprescindibile strumento per conseguire e perseguire buoni livelli occupazionali.

 

Segnaliamo ai lettori che è possibile inviare i propri commenti tramite il form sottostante.

 

Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:

Principi e disciplina del contratto di lavoro subordinato