23 Gennaio 2018

La soluzione che non ti aspetti: tertium datur

di Evangelista Basile

Con la recente sentenza n. 30985/2017, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è espressa sul regime sanzionatorio applicabile in caso di illegittimità del licenziamento disciplinare per violazione del principio di immediatezza. Nel caso di specie, un funzionario bancario era stato licenziato a distanza di circa 2 anni dalla commissione dell’illecito. Al termine del rito Fornero, l’impugnazione del lavoratore era stata accolta, ma il giudice di primo grado si era limitato ad applicare la tutela indennitaria c.d. “debole” ex articolo 18, comma 6, L. 300/1970.

Tale statuizione era stata poi riformata in sede di Appello, la cui Corte disponeva la reintegra del lavoratore ritenendo il licenziamento nullo per la mancanza della contestazione immediata, che avrebbe comportato l’estinzione del diritto potestativo di recesso in capo al datore di lavoro. A seguito del ricorso per Cassazione, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite, affinché redimesse il conflitto fra i 2 orientamenti giurisprudenziali creatisi sulla questione: il primo, teso a negare il carattere sostanziale del vizio di intempestività, con conseguente applicazione della tutela indennitaria, e il secondo, invece, che reputava l’immediatezza della contestazione un elemento costitutivo del licenziamento, con consequenziale applicazione della tutela reintegratoria.

Le Sezioni Unite hanno dapprima escluso che la tardività del licenziamento possa costituire una causa di nullità, poiché si tratta di un vizio funzionale e non genetico della fattispecie sanzionatoria, che si concretizza in un inadempimento da parte datoriale dei generali canoni di buona fede e correttezza.

Esclusa l’applicazione del comma 1, la Corte ne ha analizzato il possibile inquadramento nella tutela reintegratoria c.d. “attenuata” ex articolo 18, comma 4, L. 300/1970. Orbene, afferma la Corte, il caso non può essere riconducibile neppure a tale previsione normativa, per la semplice ragione che, nella fattispecie in esame, il fatto posto a base dell’addebito contestato, seppur con notevole ritardo, era stato accertato e, dunque, non poteva ritenersi “insussistente”.

Esclusa, dunque, la tutela reale in tutte le sue forme, la Corte ha proceduto all’analisi delle diverse tutele indennitarie previste a seguito della riforma introdotta dalla L. 92/2012. La soluzione del problema – dice la Corte – risiede sostanzialmente nella valenza che si intende attribuire al principio di immediatezza della contestazione: ovvero se lo si consideri un vizio procedurale (con conseguente applicazione della tutela indennitaria “debole”, ex articolo 18, comma 6) o sostanziale. Nel caso in cui la violazione assuma, come nel caso di specie, il carattere di ritardo notevole e non giustificato, secondo la Corte, esso configura un evidente affievolimento della garanzia del lavoratore di espletare al meglio le proprie difese e, di contro, un comportamento del datore di lavoro contrario al rispetto dei principi di buona fede e correttezza ex articoli 1175 e 1375 cod. civ..

Ma se così è, conclude la Corte, non ci troviamo più di fronte a una semplice violazione della procedura ex articolo 7, L.300/1970, quanto piuttosto a una violazione della buona fede nell’esecuzione del contratto. L’inerzia consapevole del datore di lavoro può, infatti, essere considerata quale dichiarazione implicita, per facta concludentia, dell’insussistenza di una lesione del proprio interesse.

Pertanto, sussistendo il fatto posto alla base del licenziamento, ma non essendo il provvedimento espulsivo preceduto da una tempestiva contestazione a causa del solo comportamento del datore di lavoro contrario ai canoni di buona fede e correttezza, non potrà che applicarsi l’indennità prevista ex articolo 18, comma 5, L. 300/1970.

È evidente, quindi, che le Sezioni Unite si siano attestate su una “terza via” rispetto ai precedenti orientamenti giurisprudenziali, oscillanti fra tutela reintegratoria e indennitaria debole, sulla base di un semplice assunto: se “colpevole”, il ritardo nella contestazione è una violazione del principio di buona fede e, come tale, rientra nella tutela prevista residualmente dalla nuova riforma per tutte le violazioni non esplicitamente previste: la tutela indennitaria c.d. forte.

A questo punto, c’è da chiedersi che conseguenze ha tale orientamento nelle tutele crescenti. Ebbene, siccome anche nei licenziamenti a tutele crescenti la questione può porsi negli stessi termini, l’eventuale intempestività porterà non alla reintegra, ma al pagamento a favore del dipendente dell’indennizzo di cui all’articolo 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015.

 

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