La settimana finanziaria
di Mediobanca S.p.A.IL PUNTO DELLA SETTIMANA: cosa farà la BCE per alzare i tassi più velocemente e tenere sotto controllo i rischi di frammentazione?
- La riunione emergenziale della BCE del 15 giugno suggerisce che un rendimento del BTP a 10 anni superiore al 4% preoccupa il Consiglio Direttivo.
- Il solo reinvestimento flessibile dei titoli a scadenza del PEPP è insufficiente ad assicurare che l’imminente stretta monetaria non causi fenomeni di tensione sui titoli periferici
- La qualità del debito pubblico italiano è comunque migliorata negli ultimi anni (diversa proprietà del debito, maggior scadenza media, crescita prospettica più elevata sostenuta dal PNRR).
Il piano illustrato da Christine Lagarde durante la riunione di politica monetaria di giugno ad Amsterdam non ha offerto una soluzione tangibile sul tema della frammentazione del mercato dei titoli sovrani dell’Area Euro, tanto che, nei giorni successivi, il rendimento sui titoli italiani a 10 anni ha superato il 4% e il differenziale rispetto ai titoli governativi tedeschi ha raggiunto il picco di 253 punti base. La fissazione di una riunione straordinaria il successivo 15 giugno suggerisce che un rendimento del BTP a 10 anni superiore al 4% preoccupa il Consiglio Direttivo.
Due sono gli strumenti annunciati dalla BCE per contenere il rischio di frammentazione: il reinvestimento flessibile dei titoli a scadenza del PEPP e uno strumento ad hoc, a cui la BCE ha dichiarato di star lavorando.
La BCE ha verbalmente dichiarato la volontà di evitare una frammentazione del mercato dei titoli sovrani e del credito dell’Area Euro. Isabel Schnabel, membro del Consiglio Direttivo della BCE, nell’intervista all’Università di Parigi-Sorbona il 14 giugno, ha ribadito che il primo programma a disposizione contro la frammentazione consiste nel reinvestire in modo flessibile i titoli in scadenza nell’ambito del PEPP, che “possono essere regolati in modo flessibile nel tempo, nelle classi di attività e nelle giurisdizioni”, sottolineando che “anche se l’allocazione flessibile dei reinvestimenti del PEPP è un modo per affrontare la frammentazione, il nostro (BCE) impegno è più forte di qualsiasi strumento specifico. Il nostro impegno nei confronti dell’euro è il nostro strumento anti-frammentazione. Questo impegno non ha limiti”.
Il primo strumento è quindi rappresentato dalla flessibilità dei reinvestimenti del PEPP, che potrebbe declinarsi in termini di tempistica degli acquisti, di ripartizione tra le varie classi di attività (obbligazioni del settore pubblico vs. obbligazioni societarie vs. obbligazioni garantite) e di ripartizione tra le varie giurisdizioni (ad esempio, obbligazioni tedesche vs. italiane). Giocando sulla flessibilità temporale, la BCE potrebbe anticipare i reinvestimenti dovuti dalla periferia fino a 12 mesi usufruendo, così, di una potenza di fuoco a breve termine di circa 45 miliardi di euro nei paesi periferici. Applicando, invece una flessibilità temporale e per giurisdizione, la BCE potrebbe, per esempio, ritardare i reinvestimenti nelle obbligazioni core, smettendo di reinvestire nelle obbligazioni di questi paesi, e continuare a comprare titoli obbligazionari dei paesi periferici. Ciò conterrebbe la pressione al rialzo sui rendimenti dei titoli dei paesi periferici, ma con una maggiore pressione al rialzo sui rendimenti core, pur senza dover aumentare la dotazione totale degli acquisti. Forzando invece la flessibilità per giurisdizione (e quindi deviando significativamente dalla capital key) la BCE potrebbe decidere di spostare i reinvestimenti dai paesi core a quelli periferici (cioè utilizzare la liquidità proveniente dalle obbligazioni core in scadenza per acquistare obbligazioni periferiche). Questa ipotesi farebbe confluire nuovo denaro netto negli acquisti dei paesi periferici (senza un ulteriore aumento del portafoglio PEPP) e si configurerebbe come una sorta di contemporanea stretta monetaria nei paesi core e lenta normalizzazione nei paesi periferici, nell’attuale contesto di aumento significativo dell’inflazione.
Il solo reinvestimento del PEPP potrebbe non essere sufficiente a controllare l’aumento dei rendimenti dei titoli dei paesi periferici in una fase di inasprimento della politica monetaria, anche a parità di spread. L’effetto “snowball” (ovvero la differenza tra il tasso di crescita nominale del PIL, pari alla somma tra il tasso di crescita reale e il tasso d’inflazione, e il tasso d’interesse implicito del debito, identificabile solitamente nel rendimento medio e che cattura la combinazione degli effetti negativi del pagamento degli interessi sul debito pregresso e dell’incapacità di produrre crescita) dipende non tanto dal livello dello spread ma dal livello assoluto dei rendimenti dei titoli pubblici.
La BCE deve avere disposizione uno strumento più ampio dei soli investimenti PEPP flessibile data l’incertezza sulle condizioni a cui mercati saranno disposti ad assorbire il debito di nuova emissione, in un contesto di inasprimento monetario e di progressiva riduzione degli acquisti netti di attività da parte dell’Eurosistema: il rallentamento economico generato dall’inasprimento della politica monetaria potrebbe spostare la domanda degli investitori e destabilizzare il profilo di sostenibilità del debito. La tabella seguente riporta un elenco delle principali variabili che determinano quali siano i paesi dell’Area Euro più vulnerabili alla stretta monetaria. Le variabili relative al debito, all’inflazione e alla crescita indicano l’Italia come il Paese che probabilmente ha ancora bisogno di condizioni di politica monetaria agevolate. Il livello del nostro debito pubblico è significativamente maggiore di quello degli altri paesi.
Tab. 1: Variabili macro e resilienza all’inasprimento della politica monetaria
La BCE ha annunciato, nel comunicato del 15 giugno, l’impegno a costruire un secondo strumento, volto ad evitare la frammentazione nell’Area Euro. In molti auspicano che questo strumento segni il passaggio da rimedi emergenziali a soluzioni più strutturali e stabili di gestione del debito pubblico all’interno dell’Area Euro. La logica potrebbe essere simile a quella delle flessibilità del PEPP, in modo da permettere una differenziazione, almeno parziale, della politica monetaria per paese all’interno dell’Area stessa, dato che paesi con profili macro più vulnerabili (come l’Italia) potrebbero non essere pronti a sopportare la stretta monetaria nello stesso momento dei paesi core. Lo strumento potrebbe prevedere alcuni elementi di condizionalità, in quanto la BCE ha mostrato di volersi allontanare dall’idea di un programma di quantitative easing flessibile e senza condizioni, che ha caratterizzato gli anni della deflazione e del Covid.
La situazione italiana non è paragonabile a quella del 2011 sia perché la qualità del debito pubblico è migliorata sia perché le riforme messe in atto dal PNRR dovrebbero aumentare gli investimenti e la crescita economica
Il debito pubblico italiano può contare oggi sul persistente sostegno fiscale europeo (Recovery Fund e, più recentemente, REPowerEU), che dovrebbe aver un effetto su numeratore e denominatore del rapporto debito/PIL. Le riforme dovrebbero aiutare la riduzione del debito mentre i nuovi investimenti dovrebbero tradursi in crescita del PIL. Ma è soprattutto la qualità del debito pubblico italiano ad essere migliorata, come mostra anche la tabella 1. In particolare, i detentori sono oggi investitori meno sensibili ai prezzi (Fig. 1) e la scadenza media del debito pubblico si è allungata.
Fig.1: Debito lordo: settori detentori (in % – Fonte banca di Italia) | Tab. 2: Variazione della spesa per interessi in seguito a un incremento di 100 pb e della curva dei tassi a partire dal 2023
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Man mano che la struttura di detenzione del debito italiano si è spostata verso la Banca d’Italia, gli altri investitori hanno ridotto la loro esposizione. Soprattutto gli investitori esteri hanno ridotto la loro esposizione al debito pubblico italiano dopo la Grande Recessione, e la riduzione ha accelerato durante la crisi dell’euro. All’inizio dell’Unione valutaria, circa il 50% del debito italiano era detenuto da controparti estere, mentre nel terzo trimestre del 2021 questa quota si è ridotta al 30%. Anche le famiglie hanno ridotto la loro esposizione nel tempo: prima della Grande Recessione la loro quota era pari a oltre il 20% – recentemente le famiglie detenevano appena il 5% del debito pubblico italiano. Durante la crisi dell’euro, l’esposizione delle banche nazionali, delle compagnie di assicurazione, dei fondi pensione e della Banca d’Italia è aumentata. Con l’avvio del PSPP (Public sector purchase programme) nel 2015, la struttura delle partecipazioni è cambiata di nuovo in modo significativo, poiché la quota della Banca d’Italia è passata dal 5% a quasi il 28% nel terzo trimestre del 2021. Il rapporto bid-to-cover di una recente asta di debito pubblico a 10 anni (BTP) con un rendimento del 3,1% si aggira intorno all’1,59, cioè l’importo offerto è stato sovrasottoscritto del 59% (Dipartimento del Tesoro 2022), quindi attualmente sembra esserci una domanda sufficiente per collocare nuovi titoli di debito.
Anche la scadenza media del debito pubblico si è allungata (7,11anni a fine 2021 contro i 6,8 anni del 2014) e consente una trasmissione fluida dei tassi di mercato ai conti delle finanze pubbliche. Questo contribuisce ad attenuare l’impatto a breve termine dell’aumento dei rendimenti sul costo del debito e a rallentare il passaggio al deficit di bilancio dei rendimenti di mercato, passaggio che è al ritmo più lento dal 2000, data l’attuale struttura del debito e la scadenza media residua. L’ufficio pubblico di bilancio ha stimato, ad aprile, l’impatto sulle proiezioni della spesa per interessi di un incremento permanente di 100 punti base sulla curva dei rendimenti dei titoli di Stato italiani a partire dal 2023. I risultati mostrano che in questo scenario si registrerebbe un incremento del livello degli interessi passivi, rispetto allo scenario base, di circa 2,5 miliardi nel 2023, 6,7 miliardi nel 2024 e 10,1 miliardi nel 2025. In rapporto al PIL, l’aumento della spesa per interessi sarebbe pari allo 0,13% nel primo anno (2023), 0,33% nel secondo anno e 0,48% nel terzo anno (Tab. 2, prima riga). Quindi, l’impatto sulla spesa per interessi di uno shock inatteso e permanente sulla curva dei rendimenti si distribuisce gradualmente nel tempo. Tale risultato è dovuto alla vita media residua dei titoli di Stato relativamente elevata (pari a 7,11 anni a fine 2021), confermando anche in questo caso una situazione migliore del nostro debito rispetto al 2011.
A cura di Teresa Sardena, Mediobanca SGR
SETTIMANA APPENA TRASCORSA
EUROPA: PMI area euro: in calo più delle attese a giugno
ASIA: rimbalza l’indice PMI dei servizi in Giappone
USA: Powell ha dichiarato di avere un impegno “incondizionato” a riportare l’inflazione verso l’obiettivo, mentre i PMI di giugno rallentano
LA PROSSIMA SETTIMANA: quali dati?
- Europa: la settimana si aprirà con il Summit annuale della BCE a Sintra poi l’attenzione sarà rivolta alla pubblicazione dei dati relativi alla stima preliminare dell’inflazione di giugno.
- Stati Uniti: la settimana sarà ricca di dati anche negli Stati Uniti dove verranno inoltre pubblicati l’indice che misura la fiducia dei consumatori al dato relativo agli ordinativi di beni durevoli, le spese e i guadagni personali.
- Asia: in Giappone saranno resi disponibili i valori preliminari, su base mensile, sulla produzione industriale ed il valore finale del PMI manifatturiero e dei servizi del paese. Sarà inoltre pubblicata la survey Tankan sull’andamento delle imprese. In Cina saranno pubblicati l’indice PMI manifatturiero e dei servizi per il mese di giugno e i profitti industriali su base annua.
A cura della Funzione Asset Allocation
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