La settimana finanziaria
di Mediobanca S.p.A.IL PUNTO DELLA SETTIMANA: una stima degli impatti sulla crescita mondiale delle misure protezionistiche di Trump
- Le misure protezionistiche finora annunciate non dovrebbero far deragliare la crescita economica mondiale
- Le nostre stime suggeriscono un impatto medio pari a -0.6% sulla crescita mondiale
Dopo l’annuncio dell’amministrazione Trump dell’avvio della valutazione di nuovi dazi pari al 10% su beni di importazione cinese per un controvalore di $200 mld, è aumentato il rischio di un inasprimento delle misure protezionistiche. Sebbene a nostro avviso, l’amministrazione statunitense stia attraverso una politica del “rischio calcolato”, per massimizzare il proprio tornaconto dalle trattative anche a fini elettorali, le tensioni sembrano destinate a perdurare nei prossimi mesi, con potenziali impatti sui mercati finanziari, preoccupati che un’eventuale guerra commerciale possa mettere a repentaglio la crescita mondiale. Ad oggi, la crescita è stata colpita principalmente dagli effetti indiretti (cfr. tab.1) delle tariffe implementate e (per ora) minacciate, comportando un indebolendo negli indicatori di fiducia degli operatori e un rallentamento del commercio internazionale rispetto ai livelli registrati nel 2017. Anche dal Beige Book, rilasciato in settimana in preparazione della riunione del FOMC del primo agosto, emerge che nel settore manifatturiero statunitense, le imprese esprimono preoccupazione per i dazi e in diversi distretti vengono riportati prezzi in rialzo e disagi dal lato dell’offerta derivanti dalle politiche commerciali, mentre sull’altra sponda dell’Atlantico gli indici di fiducia delle imprese tedesche mostrano un trend decrescente da inizio anno.
Questo esercizio conferma che la le misure per ora annunciate e minacciate dagli US non sono tali da far deragliare la crescita mondiale, a meno dell’instaurarsi di “circoli viziosi” tramite effetti indiretti: l’indebolimento della fiducia degli operatori, e il deterioramento delle attese di crescita potrebbero ridurre la preferenza per asset rischiosi, aumentandone il premio al rischio e portando ad un “non voluto” irrigidimento delle condizioni finanziarie.
Nonostante sia aumentato il rischio di una mancata risoluzione consensuale nel breve termine, la probabilità che si arrivi ad una guerra commerciale dichiarata tra Cina e Stati Uniti resta, a nostro avviso, limitata. A controbilanciare le provocazioni dell’amministrazione statunitense, i partner commerciali degli Stati Uniti stanno adottando un atteggiamento cauto e sembrano essere combattuti tra il desiderio di inviare un messaggio forte contro il protezionismo e il desiderio di astenersi dal mettere in campo azioni che possono esacerbare il conflitto, traducendosi in un indebolimento delle loro stesse economie. Gli effetti negativi sui partner commerciali USA variano da paese a paese e dipendono dalla dimensione dell’economia, dal grado di apertura al mercato americano e dalla struttura delle catene del valore, con costi elevati anche per quei paesi meno legati direttamente agli USA, ma più integrati nel processo produttivo mondiale. Tuttavia se le sanzioni minacciate diventassero realtà, il gioco si farebbe pericoloso per i due paesi, gli scambi internazionali e la crescita mondiale. Quindi, se la teoria economica è concorde nel definire una trade war come una lose-losesituation, incerta è la stima degli effetti diretti delle tariffe. Per questo, utilizzando i principali modelli presenti in letteratura Per questo, abbiamo ricostruito una stima dell’ordine di grandezza degli effetti diretti derivanti dalle tariffe annunciate (o programmate) dall’amministrazione statunitense. In T1 2018 sono state annunciate ed implementate tariffe per un controvalore pari a 58 mld di dollari su lavatrici, pannelli solari. Successivamente alla fine di marzo, il presidente Trump ha firmato un decreto che impone dazi all’importazione di acciaio e alluminio, al fine di proteggere l’industria statunitense dalla concorrenza estera, successivamente il 6 luglio sono entrati in vigore i dazi del 25% su 34 mld di dollari di prodotti cinesi (a cui la Cina ha risposto con dazi su 34 mld di import dagli US) e, fra una settimana, si aggiungeranno dazi analoghi su altri 16 mld di dollari. A questi dazi vanno aggiunti i 200 mld minacciati la settimana scorsa, che dovrebbero entrare in vigore in settembre, e i dazi minacciati sul comparto automobilistico. Ipotizzando un’elasticità della tariffa media statunitense ai dazi pari a 0.5% ogni 50 mld di dollari (stima estratta da JPM tramite il modello IMF) di tariffe aggiuntive, si ottiene un innalzamento della tariffa media statunitense pari al 7.3%. Utilizzando questa informazione, i principali modelli di equilibrio economico generale, disponibili in letteratura (cfr. tab 2) stimano un impatto sul PIL mondiale “medio” pari a 0.5%%, quindi di portata modesta.
SETTIMANA TRASCORSA
EUROPA: rivista al ribasso l’inflazione core dell’Area euro di giugno
Nell’Area Euro è stata rilasciata la seconda stima dell’inflazione di giugno, confermandola a 2,0% a/ in larga misura per effetto dell’aumento dell’indice energetico 0(,9% m/m), in parte compensato dal calo dei prezzi degli alimentari, mentre ha rallentato la componente core al netto di energia e alimentari a 0,9% da un precedente 1,1%. L’inflazione di giugno del Regno Unito al 2,4%, invariata rispetto a maggio, al di sotto delle aspettative di un’accelerazione al 2,6%.
USA: confermata la solidità della congiuntura statunitense
La produzione industriale a giugno è aumentata dello 0,6% m/m, dopo -0,5% m/m di maggio (rivisto da -0,1% m/m). Nel settore manifatturiero, l’output è in rialzo di 0,8% m/m, con il dato di maggio rivisto verso il basso a -1% m/m (da -0,7% m/m). Il settore auto segna un rimbalzo di +7,8% m/m, dopo due mesi consecutivi di correzioni; anche al netto delle auto, la produzione manifatturiero cresce (+0,3% m/m). Le utility calano di -1,5% m/m, secondo calo consecutivo, mentre l’estrattivo prosegue sul sentiero di variazioni solide (+1,2% m/m, 12,9% a/a). Nonostante la revisione verso il basso del dato di maggio, la produzione è in aumento solido su base trimestrale fra aprile e giugno (+1,9% t/t ann.), supportando, così, la previsione di crescita solida in T2. L’inizio di nuovi cantieri residenziali è sceso del 12,3% a un minimo di nove mesi a 1.173 destagionalizzato nel mese di giugno dal 1,333 milioni (rivisto da 1,350 milioni), al di sopra delle attese di consenso (1.320 milioni). I permessi di costruzione sono scesi a 1.273 milioni consenso: 1.340 milioni, valore precedente: da 1.301 milioni). I nuovi cantieri unifamiliari sono scese del 9,1% a 858 K SAAR da 944 K a maggio. La debolezza dei cantieri probabilmente riflette indebolimento della domanda per via dei prezzi elevati delle case, sia nuove sia esistenti, e colli di bottiglia l’offerta, a causa della scarsità di forza lavoro specializzata e all’aumento dei costi dei materiali (soprattutto legname) determinato dal rialzo dei dazi. L’indice della Philadelphia Fed a luglio aumenta a 25,7 da 19,9 di giugno, e si riporta in linea con la media a 6 mesi (25,2). Lo spaccato dell’indagine è generalmente positivo, con i nuovi ordini a 31,4 da 17,9 e le consegne a 24,7 da 28,7. In settimana è stato pubblicato il Beige Book, preparato per la riunione del FOMC del 1° agosto, che riporta espansione dell’attività fra “moderata e modesta” in 10 distretti su 12. Mentre le prospettive di crescita a breve termine nel complesso sono rimaste positive, le imprese hanno continuato a esprimere preoccupazioni legate alla politica commerciale. Inoltre nel settore manifatturiero, anche se l’occupazione ha continuato a espandersi, le imprese hanno segnalato carenze di manodopera in una vasta gamma di occupazioni e la continua tenuta al mercato del lavoro ha portato le imprese ad aumentare gli stipendi. Gli aumenti dei prezzi al consumo sono stati moderati tra i distretti, anche se la maggior parte ha registrato aumenti significativi dei prezzi degli input.
ASIA: nuovo rallentamento dell’attività economica in Cina
In Giappone, la bilancia commerciale ha registrato un avanzo pari a 721.4 B di yen (consenso JPY531.2B, deficit del mese precedente JPY580.5B). La principale sorpresa è venuta dalle importazioni, cresciute del 2,5% a/a (consenso 5,3%), guidate da petrolio greggio e metalli non ferrosi, compensati dal calo di computer, carbone. Invece, le esportazioni sono aumentate del 6,7% (consenso: 7,0%), guidate da generatori, semiconduttori e ricambi auto. Tra le continue preoccupazioni per le tensioni commerciali globali, la stampa ha evidenziato che le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite per la prima volta in 17 mesi. L’inflazione core è salito dello 0,8% a/a in giugno, in linea con le attese di consenso, dopo l’aumento dello 0,7% nel mese precedente. Tuttavia, la misura sottostante è inaspettatamente rallentata allo 0,2% (minimo da ottobre) contro il consenso dello 0,4% dallo 0,3% di maggio. Il contributo energetico marginale è stato di + 0,13-ppt da maggio a giugno, in gran parte determinato dai prezzi della benzina. Inoltre, i contributi positivi del turismo e dell’alloggio sono stati superati dall’aumento più lento del cibo non fresco e dal calo più marcato delle tariffe della telefonia mobile. L’indice Reuters Tankan manifatturiero per luglio si attesta a +25 da +26 di giugno, l’indicatore relativo al comparto manifatturiero a +34 da +35.
LA PROSSIMA SETTIMANA: quali dati?
- Europa: poche novità sono attese dalla riunione di politica monetaria della BCE. Sul fronte dei dati, attesa per la pubblicazione dell’IFO di luglio e per la fiducia manifatturiera in Francia e per la pubblicazione degli indici PMI
- Stati Uniti: negli Stati uniti sarà pubblicata la stima preliminare del PIL del secondo trimestre
- Asia: indice di fiducia e produzione industriale in Giappone
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