Di scadenza in scadenza, il nuovo lavoro agile
di Elena ValcarenghiSiamo a luglio e come al solito ecco il toto rinvii.
I termini per l’invio del 770, tra gli altri, saranno posticipati o no?
Certo che sì, almeno così si vocifera e si legge qua e là con qualche scommessa sulle date. Alla fine arriva il comunicato MEF del 26 luglio 2017, che annuncia il D.P.C.M. con la proroga al 31 ottobre.
Ma alla vigilia della scadenza che senso ha tutto ciò? Come si può immaginare di programmare il lavoro in questo modo? Riorganizzare il calendario degli adempimenti, questo è l’imperativo, ma quando? Sono incombenze annuali, possibile ridursi sempre all’ultimo secondo?
Non ci posso fare conto, quindi devo impormi una pianificazione sulla scadenza originaria, ma poi iniziano i sussurri e sì, come tutti mi faccio tentare, ma non mi posso fidare, quindi lavoro come se nulla fosse e, anziché dedicarmi ai passatempi estivi, mi rinchiudo in studio in buona compagnia per rispettare le scadenze, perché qualche responsabilità ce l’ho. Tutti di corsa, imbarazzati sulle priorità da attribuire nell’ingorgo degli adempimenti. In fondo è abitudine, quasi consolante. La rincorsa ai documenti che non arrivano, i solleciti continui, le nuove istruzioni da comprendere, i clienti che si assentano per le loro meritate vacanze e che non sono raggiungibili, gli aggiornamenti in corsa, i confronti con i colleghi.
Mi mancherebbe tutto ciò?
Proprio no. Sono una professionista, non mi piacciono le improvvisazioni, così come non mi piace imporre ai miei collaboratori tanta elasticità di necessità. Vorrei poter concedere loro orari più consoni alla stagione, qualche diversa possibilità di organizzare il godimento delle loro ferie, insomma una qualità di vita differente, o come va di moda adesso una miglior conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma no, non posso. Dobbiamo sempre essere pronti ad assorbire novità e mutamenti repentini, comprenderli, spiegarli, renderli operativi, adattarli, assimilarli, renderli compatibili con sistemi telematici di altri che non sempre funzionano in maniera fluida. Ottimo esercizio per la mente, consoliamoci.
E poi, in fondo, perché preoccuparsi?
Tanto è da fare e la salvezza in zona Cesarini arriverà: troppo tardi per chi, responsabilmente, ha già provveduto, ottimo per chi qualche problema ha avuto o già l’aveva messa in conto. Dimenticavo, se sposteranno la scadenza dovrò ricontattare tutti i clienti che, non avendo versato per intero il dovuto, potrebbero volerlo fare approfittando della dilazione, così aggiungerò altro lavoro per aver rispettato i tempi previsti.
Questo non è lavoro agile?
Certo, ma non nel modo in cui la norma lo intende, giusto alla rovescia, un po’ come le semplificazioni. Altro che adattamento alle esigenze di vita! Qui pare di adattarsi al non senso. Sembra che “agile”, di derivazione latina, significhi “facile da condurre”, che si muove con facilità, scioltezza, maneggevole, facile, agevole, ma anche, in senso figurativo, vivace e pronto, che ha pregi di chiarezza, brevità, concisione. Nulla di tutto ciò ritrovo in ciò che devo fare, piuttosto il contrario. Come altri non sono il genio della lampada, non ho soluzioni magiche, ma vorrei proprio poter lavorare bene, con qualche certezza in più e con un calendario ragionevole e che non necessiti in continuazione di adeguamenti, senza più scuse per nessuno. Allora forse potrò anche pensare a come ammorbidire le condizioni di lavoro dei miei collaboratori e, perché no, le mie e il mio lavoro, come il loro, sarà più agile, nel senso proprio del termine.
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