Sanzioni per infedeli registrazioni a LUL e indennità di trasferta
di Andrea AsnaghiIl Ministero del Lavoro è recentemente intervenuto sul tema del sistema sanzionatorio del LUL con riferimento all’indennità di trasferta. L’interpretazione ministeriale, subito fatta propria anche dall’Inps con messaggio n.2682 del 16 giugno 2016, è importante e fornisce l’occasione per riepilogare le regole di gestione e di esposizione dei dati in argomento sul Libro Unico del Lavoro.
Tuttavia, in qualche aspetto della trattazione il Ministero sembra essere andato oltre le intenzioni del Legislatore, lasciando qualche questione aperta. Appare pertanto utile un riepilogo della materia sulle registrazioni inerenti tali aspetti.
Il concetto di infedele registrazione a Libro Unico e le ultime modifiche normative
Nell’ambito delle attività di semplificazione e razionalizzazione di cui al D.Lgs. n.151/15, l’art.22 ha modificato, fra altre sanzioni, anche la normativa relativa al co.7, art.39, L. n.133/08 (istitutivo del Libro Unico del Lavoro – d’ora in poi LUL), comma che così ora recita (nella parte modificata rispetto all’originale, evidenziata in grassetto): “Salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1, 2 e 3 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero a un periodo superiore a sei mesi la sanzione va da 500 a 3.000 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero a un periodo superiore a dodici mesi la sanzione va da 1.000 a 6.000 euro”.
La norma in questione era già stata oggetto di una prima aggiunta in senso interpretativo, da leggersi di seguito alle righe precedenti, a cura della Riforma Fornero, L. n.92/12.
“Ai fini del primo periodo, la nozione di omessa registrazione si riferisce alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui manchi la registrazione e la nozione di infedele registrazione si riferisce alle scritturazioni dei dati di cui ai commi 1 e 2 diverse rispetto alla qualità o quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme effettivamente erogate”.
Con la modifica, il Legislatore ha inteso mettere fine alla querelle più volte sollevata in sede di contenzioso, in opposizione alla lettura della disposizione sanzionatoria originariamente data dal Ministero (cfr. vademecum LUL, C.7, circ. n.23/11), secondo la quale l’importo sanzionatorio previsto andava moltiplicato per ciascuna mensilità in cui si fosse verificata la violazione (cosa su cui la legge era invece rimasta silente).
Infatti, ora la graduazione fa riferimento ‒ in cifra fissa, a doppio scaglione ‒ sia al numero dei lavoratori coinvolti che ai mesi in cui è stata perpetrata la violazione, risolvendo in tal modo la quantificazione in caso di reiterazione temporale della fattispecie (il Ministero ha peraltro chiarito nella circolare n.26/15, che in caso di violazione di entrambi i parametri o di più fasce la sanzione non si raddoppia né si cumula, dovendosi pertanto prendere in considerazione solamente l’importo maggiore).
Sul concetto di infedele registrazione, come si è visto, il Legislatore è intervenuto a più riprese, ma sin dall’inizio ha ritenuto di adottare una logica differente rispetto a quella ante-LUL, intendendo dare attuazione concreta al principio che sarebbe emerso di lì a poco ‒ e sostanzialmente in contemporanea con la riforma del LUL ‒ nella direttiva Sacconi sulle ispezioni del 18 settembre 2008, in cui esplicitamente si prospettava un’azione di vigilanza “diretta essenzialmente a prevenire gli abusi e a sanzionare i fenomeni di irregolarità sostanziale abbandonando, per contro, ogni residua impostazione di carattere puramente formale e burocratico, che intralcia inutilmente l’efficienza del sistema produttivo senza portare alcun minimo contributo concreto alla tutela della persona”.
Nella propria semplicità, la definizione di irregolarità prevista nella norma originaria voleva proprio creare uno spartiacque ben preciso fra rilievi meramente formali (definiti tali in funzione della non incidenza sugli aspetti cruciali del rapporto di lavoro, sussunti in spettanze del lavoratore e imponibili fisco-previdenziali) e violazioni di carattere sostanziale. Tuttavia, a distanza di tempo e come spesso accade, il contenzioso ha trovato diverse vie di fuga da tale definizione, rendendo necessarie ulteriori precisazioni, che tuttavia non sembrano aver coperto l’ampio spettro delle possibilità esistenti.
Le trasferte (e le altre somme esenti di analoga natura)
Sembra ovvio che l’attenzione della prassi in commento, lettera circolare n.11885 del 14 giugno 2016, si concentri ora su aspetti che, obiettivamente, sono talvolta utilizzati da qualche datore di lavoro in maniera scorretta per elargire compensi al lavoratore tenendoli esenti da qualsiasi imponibilità fiscale e previdenziale secondo le previsioni dell’art.51, Tuir. Si tratta delle indennità di trasferta, ma un discorso analogo potrebbe essere sostenuto per quanto concerne altre voci simili ben note agli operatori e che scontano (a causa della loro identica esenzione imponibile, a mente del medesimo articolo del Tuir) talvolta lo stesso uso a finalità elusiva, quali rimborsi spese a piè di lista e indennità chilometriche.
Per lo più, e con varie diversificazioni da settore a settore, tali voci sono legate agli spostamenti del lavoratore dalla propria sede abituale di lavoro e alle spese o ai disagi dallo stesso sostenuti a causa di tali spostamenti (purché effettuati in un territorio comunale diverso da quello in cui vi è la sede di lavoro), per cui in genere mal si adattano a mansioni del tutto “stanziali” e che non richiedono alcuna mobilità dei dipendenti.
È curioso che il Ministero dia per scontato e non colga l’occasione per ribadire un aspetto più volte sollevato dall’entrata in vigore del LUL e non completamente risolto, ovvero se sia sanzionabile la mancata esposizione a LUL di importi esenti (quali appunto quelli in argomento): secondo alcune prospettazioni, infatti, la mancata annotazione non realizzerebbe né un disvalore sotto un profilo retributivo (trattandosi di importi di natura risarcitoria) né sotto l’aspetto fisco-previdenziale (in ragione della loro esenzione) e, quindi, non potrebbe essere punibile. Se è pur vero che l’obbligatorietà dell’annotazione di tali elementi era stata puntualmente prevista dal vademecum LUL (risposta B.11) è altrettanto vero che, in forza della valenza di mera prassi del suddetto documento, ben potrebbero sorgere interpretazioni differenti sul piano giuridico.
A parere di chi scrive, tuttavia, non solo l’annotazione di queste poste va fatta, ma il datore di lavoro (e il consulente) accorto provvederà a un’annotazione puntuale dei valori e degli importi così determinati, con la realizzazione di un brogliaccio mensile riepilogativo (per quanto semplice), controfirmato dal lavoratore, che contenga anche una sintetica motivazione o riferimento alla causa della trasferta.
Tale prospetto, infatti, permette di giustificare e documentare analiticamente gli importi che vengono erogati per le voci suddette e costituisce un’importante elemento di difesa contro ingiusti sospetti, nel senso che di fronte a tale puntuale documentazione sarebbe onere del personale di vigilanza metterne in discussione la veridicità (quasi una sorta di inversione dell’onere della prova) e l’autenticità: un motivo importante per sobbarcarsi una documentazione talvolta laboriosa, ma che peraltro corrisponde anche a normali esigenze gestionali e di controllo.
È ovvio che nel caso di situazioni di alta improbabilità tale documentazione – ancorchè realizzata – non costituirebbe una “prova regina”, tuttavia è ancor più vero il contrario, ovvero che, senza nemmeno uno straccio di documentazione, ciò che sembra anomalo, ma pur sempre possibile, diventerebbe addirittura del tutto insostenibile.
Meglio non fidarsi quindi di sentenze che hanno inteso talvolta alleviare l’onere di documentazione (es. Cass. n.2419/12, relativamente ai rimborsi chilometrici), anche per i motivi che esporremo nel paragrafo successivo.
L’interpretazione ministeriale: luci e ombre
Resta del tutto condivisibile l’assunto principale da cui parte il Ministero, ovvero la piena sanzionabilità, ai fini dell’infedele registrazione, di due casistiche (riferite alla trasferta, ma estensibili per analogia anche ad altre voci esenti, come quelle in precedenza ricordate), peraltro speculari:
- l’inesistenza di un’effettiva mobilità del lavoratore (nel senso che la trasferta non c’è proprio stata e quindi tali importi sono evidentemente dati ad altro titolo, utilizzando in modo fraudolento una voce che consente la non assoggettabilità delle somme);
- l’utilizzo della trasferta per retribuire emolumenti imponibili (tipicamente, ma non solo, straordinari).
Risulta invece del tutto tramontata l’ipotesi avanzata alcuni anni fa dal Ministero del Lavoro (interpello n.14/10), secondo cui un’indennità di trasferta riconosciuta al lavoratore per importi superiori a quelli dettati dalla disciplina della contrattazione collettiva risulterebbe una sorta di “superminimo” e, pertanto, assoggettabile; lo stesso Ministero, solo pochi giorni dopo (“precisazione” con nota DGAI del 21 aprile 2010) ha compiuto un immediato revirement, riconducendo un’eventuale imponibilità della trasferta solo al superamento dei limiti di esenzione fiscale.
Ritornando al concetto di infedele registrazione, il Ministero, senz’altro opportunamente, ricorda ancora come – non trattandosi di registrazione di dati non conformi al vero, ovverosia alla “realtà fattuale” – non siano sanzionabili né le annotazioni a LUL, in caso di successiva diversa qualificazione del rapporto, né la mancata annotazione (e mancata corresponsione) di somme previste dalla contrattazione collettiva.
In tali casi, infatti, le annotazioni rispettano quanto effettivamente avvenuto.
Tuttavia, proprio sulla scia di tali argomentazioni, nella medesima circolare n.11885/16 si riscontrano affermazioni meno convincenti, riguardanti il tema dell’indennità trasfertisti; secondo il Ministero, infatti, la diversa qualificazione (non come trasferta, completamente esente, ma come indennità trasfertisti, imponibile al 50%, quindi con riflessi sul piano fisco-previdenziale) determinerebbe la punibilità quale infedele registrazione qualora tali importi fossero stati originariamente annotati (e trattati) come trasferta.
A parere di chi scrive, tuttavia, questa affermazione contrasta logicamente con le correttissime osservazioni ministeriali precedenti.
Prendiamo il caso di un lavoratore a cui siano stati erogate indennità di trasferta, mentre, in sede ispettiva, si accerti invece la natura di trasfertista del dipendente. Obiettivamente, sul punto, la definizione fiscale e gli orientamenti giuridici oscillano con soluzioni interpretative difformi e che ancora, a parere dello scrivente, non hanno trovato un punto di equilibrio; ipotizziamo pertanto che la qualificazione di trasfertista “sorprenda” l’azienda (non così sarebbe in caso di conclamata volontarietà di elusione, ad esempio due lavoratori in medesima situazione, ma uno trattato come trasfertista e l’altro no).
Chiediamoci: è stata commessa da parte di tale datore un’omissione o un’infedele registrazione?
Si deve rispondere in tutta linearità in senso negativo.
Per quanto concerne la prima ipotesi (omissione) nessun dato è stato evidentemente omesso: la contestazione si baserebbe infatti su dati tutti analiticamente inseriti a Libro Unico dall’azienda.
Ma anche per quanto concerne la seconda ipotesi (infedele registrazione) la risposta appare negativa.
Ripercorriamo a tal proposito anzitutto il testo normativo. Quali sono le condizioni per considerare realizzata la violazione relativa alla infedeltà delle registrazioni?
Esse sono due, distinte anche se correlate:
- una registrazione non veritiera (e perciò infedele);
- un’incidenza della stessa sotto l’aspetto retributivo, fiscale o previdenziale.
Si analizzi, a tal fine, il punto C.6 del LUL, richiamato dallo stesso Ministero, secondo cui: “Le registrazioni sono da intendersi infedeli quando il dato registrato risulta gravemente non veritiero, e perciò infedele, rispetto alla effettiva consistenza della prestazione lavorativa con riguardo ai profili retributivi, previdenziali e fiscali”.
Non basta, pertanto, rilevare soltanto che una determinata scritturazione, avvenuta, possa avere riflessi fiscali o previdenziali differenti da quelli esposti a Libro Unico, bensì occorre primariamente che si sia verificato l’elemento soggettivo consistente nella dolosa o colpevole alterazione del dato registrato (“gravemente non veritiero”) rispetto al dato effettivo della prestazione (che poi, in un secondo momento, abbia determinato differenti esiti sotto i profili retributivi o fisco-previdenziali).
Anche senza voler citare le modifiche legislative sopra esaminate, lo stesso interpello n.47/01 del Ministero del Lavoro ha sancito molto chiaramente come “l’illecito di infedele registrazione dei dati si configura ogni qualvolta la quantificazione della durata della prestazione o la retribuzione effettivamente erogata non corrisponda a quella formalizzata sul Libro unico”.
Si vuole pertanto qui avanzare un principio giuridico secondo cui il mero errato assoggettamento fiscale (e/o previdenziale) di determinate poste retributive, che certamente potrebbe determinare una ripresa sotto il profilo fiscale (e/o previdenziale), non necessariamente realizza la violazione dell’art.39, co.2, L. n.133/08; e ciò in particolar modo quando la ripresa si basi unicamente sui medesimi dati registrati a LUL (e pertanto veritieri nella loro descrizione), eventualmente integrati dalla documentazione aziendale.
Né pare convincente la disquisizione sulla diversa “qualità” delle somme erogate (la norma infatti fa riferimento alla qualità della prestazione, non delle somme).
E lo stesso potrebbe dirsi per la ripresa a carattere fiscale e/o contributivo di altre somme, non solo quelle relative a trasferta o altri rimborsi spese, ma a proposito di questi ultimi, acquisterebbe ancora maggior valore l’elaborazione del brogliaccio mensile anzidetto: se, infatti, una qualsiasi ripresa dovesse discendere dagli stessi elementi di annotazione e documentazione realizzati esibiti dal datore di lavoro, come si potrebbe sostenere che si tratti di una registrazione infedele (e quindi di un comportamento volontariamente commissivo in senso elusivo)?
Per concludere, sembra a chi scrive che il Ministero (e in parte anche il Legislatore, con una modifica a tutto campo), sotto il profilo sanzionatorio di cui trattasi, dovrebbe sciogliere il nodo e scegliere fra la trasparenza e la mera contrapposizione: scegliendo per la trasparenza, andrebbe a pretendere dal datore di lavoro l’esposizione a LUL e la documentazione più adeguata possibile, ciò che consentirebbe agli organi di vigilanza un’ampia possibilità di effettuare i rilievi del caso rispetto all’imponibilità di alcune somme, ma sanzionando ulteriormente come infedeli solo le registrazioni o le operazioni volutamente fasulle o i comportamenti (anche sul piano della documentazione) realmente omissivi.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.