Il ruolo della contrattazione collettiva nella regolamentazione del rapporto di lavoro
di Luca Vannoni Scarica in PDFLa legislazione del lavoro riconosce alla contrattazione collettiva un ruolo sempre più attivo, generalmente mediante deleghe su specifiche misure o possibilità di deroghe rispetto a standard normativi minimi, creando una situazione sicuramente paradossale se si pensa alla disciplina della contrattazione collettiva, si fondata su un corpo normativo il cui caposaldo, l’articolo 39 della Costituzione, è rimasto inattuato. La norma costituzionale, si ricorda, prevedeva la registrazione dei sindacati (inattuata), da cui sarebbe derivata l’“efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”. Stesso destino, ma per ragioni diverse, ha incontrato il capo III, Libro Quinto, cod. civ.: in questo caso, a impedire la vigenza delle norme in materia di contrattazione collettiva, è il venir meno della natura corporativa dei sindacati (compatibile, nel 1942, con l’ordinamento fascista, ma non con le disposizioni dell’Italia Repubblicana, vedi articolo 39 Cost. cit.).
Inoltre, al fine di valutare il ruolo attuale della contrattazione collettiva, non possono che ripercorrersi le diverse fasi che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora il nostro ordinamento giuslavoristico, tenuto conto che sono alquanto numerose leggi di altre epoche ancora perfettamente in vigore. Partendo dal Codice civile del 1942, i contratti collettivi erano chiamati a specificare e attuare norme lavoristiche istitutive di determinati diritti, sia per colmare il limite intrinseco della legge, non in grado, neanche volendo, di concretizzare trattamenti (economici o normativi) soggetti a naturali aggiornamenti, sia per modulare la regolazione in rapporto alle diverse caratteristiche dei singoli settori produttivi, come soltanto i contratti collettivi sono in grado di fare.
Segna una nuova fase della legislazione del lavoro la L. 297/1982 che, modificando l’articolo 2120 cod.civ., riconosce alla contrattazione collettiva l’autorizzazione a derogare anche in peius, e non soltanto in melius il trattamento legale
Tale percorso è giunto a completa maturazione con il nuovo millennio, con possibilità di intervento estremamente capillari in materia di orario (D.Lgs. 66/2003) e di contratti di lavoro (D.Lgs. 81/2015), molto più timide in disposizioni legate al riconoscimento di diritti legati alla conciliazione vita lavoro, come ad esempio il recente D.Lgs. 105/2023, per evidenti logiche di effettività delle tutele riconosciute, che non possono essere compresse per esigenze legate all’organizzazione del lavoro, almeno nei loro aspetti essenziali.
Più nello specifico, l’articolo 32 del D.Lgs. 151/2001 si limita a prevedere che “La contrattazione collettiva di settore stabilisce le modalità di fruizione del congedo di cui al comma 1 su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa”.
A tale disposizione si aggiunge poi il passaggio contenuto nel comma 5 dell’articolo 34 del D.Lgs. 151/01, recentemente modificato dal D.Lgs. 105/23, dove si stabilisce che “I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio, salvo quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva”.
Sembravano esserci pochi dubbi sulla portata generale della deroga riconosciuta alla contrattazione collettiva, che sembrava sorreggere l’intero contenuto del comma 5, e non solo gli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio, come sostenuto recentemente dall’INPS con la circolare 39 del 4 aprile 2023: in essa si legge infatti che “Si evidenzia a tale proposito, che eventuali deroghe da parte della contrattazione collettiva potranno riferirsi esclusivamente agli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio. La contrattazione collettiva potrà quindi prevedere, in ordine a tali emolumenti, un trattamento di miglior favore per i lavoratori interessati, in linea con il generale principio della derogabilità solo in melius della normativa giuslavoristica.”
A dir il vero, già in precedenza l’INL, con la nota 6 settembre 2023, n. 9550, aveva ritenuto, in modo assolutamente sbrigativo per l’impatto che ne deriva per la contrattazione collettiva – tenuto conto anche dei contratti collettivi attualmente vigenti – , che la possibilità di intervento si limitasse a “eventuali discipline di maggior favore della contrattazione collettiva”, implicitamente riferendolo alle sole componenti escluse, e cioè gli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio.
Ad ogni modo, fermo restando che la combo INPS – INL merita sicuramente rispetto, non convince nel modo più assoluto il richiamo contenuto nella circolare 39 relativo a un non meglio precisato “generale principio della derogabilità solo in melius della normativa giuslavoristica”: alla fine, essendoci un rinvio alla contrattazione collettiva espresso, la questione è esclusivamente di interpretazione normativa e relativa a cosa si riferisce il “salvo quanto previsto etc.”, a tutta la disciplina ovvero alla sola parte che immediatamente la precede, e cioè il non computo degli elementi accessori legati alla presenza.
Sarà anche per le ampie possibilità di intervento previste in tanti provvedimenti, si pensi anche alla possibilità di deroga in materia di TFR (articolo 2120 cod.civ.), ci si sarebbe aspettato una lettura più estesa in favore della contrattazione collettiva.
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