Restaurazione giuslavoristica
di Luca VannoniPer una singolare sincronia di tempi, ad appaiarsi ai deja vu del discusso Decreto Dignità ora abbiamo anche l’incostituzionalità delle regole introdotte dal D.Lgs. 23/2015 in materia di licenziamento, note come tutele crescenti.
Nell’attesa del deposito della sentenza, l’ufficio stampa della Corte Costituzionale ha reso noto, il 26 settembre 2018, l’esito della questione di legittimità costituzionale – posta dal Tribunale di Roma con ordinanza 26 luglio 2017 (fra l’altro, ironia della sorte, la sentenza di rimessione, per un errore materiale, si era dimenticata nel dispositivo dell’articolo 3, tanto che con ordinanza del 2 agosto 2017 si era proceduto con la correzione) – degli articoli 2, 3 e 4, D.Lgs. 23/2015: la norma centrale del nuovo sistema di tutele esclusivamente risarcitorie contro il recesso illegittimo, l’articolo 3, comma 1, l’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore, è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35, Costituzione.
L’incostituzionalità dell’articolo 3, comma 1, crea sicuramente problematiche non semplici di natura sistematica: il D.Lgs. 23/2015, oltre a rendere progressive e predeterminabili le indennità risarcitorie, limitava la reintegra, oltre al licenziamento nullo, discriminatorio e orale (articolo 2), al licenziamento disciplinare illegittimo per insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (articolo 3, comma 2), escludendola in ogni caso di gmo illegittimo, a differenza dell’articolo 18 post legge Fornero, dove la reintegra è prevista anche per il gmo posto a base del licenziamento manifestamente insussistente. Inoltre, introduce (articolo 6) una procedura di conciliazione con corrispettivi vincolati. Questi aspetti dovrebbero aver evitato la scure costituzionale.
Le stringate indicazioni di una prima indiscrezione giornalistica consentono solo ricostruzioni approssimative, ma se venisse confermata la limitata incostituzionalità del solo comma 1 dell’articolo 3, si avrebbe, da un parte, la conseguenza paradossale che rimarrebbero i limiti minimi e massimi, fra l’altro ben più favorevoli rispetto all’articolo 18, ma la determinazione dell’indennità ritornerebbe nelle piene mani dei giudici, ora autorizzati alla valutazione delle circostanze oggettive e anche soggettive del licenziamento per fissare l’indennità. Non più meccanismi predeterminabili – e quanto mai graditi dalle aziende nella valutazione prospettica della forza lavoro – ma l’effettività del danno causato al lavoratore.
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