17 Dicembre 2015

Relazioni sindacali … o relazioni pericolose?

di Marco Frisoni

 

L’attuale congiuntura economica ha certamente lasciato segni tangibili anche all’interno del c.d. ordinamento intersindacale, che, in considerazione del mutare delle esigenze del mercato del lavoro, ha manifestato, in maniera ripetuta e reiterata, i propri profili di debolezza e vulnerabilità.

Anche recentemente si riscontrano vicende della contrattazione collettiva che, per taluni aspetti, confermano tale considerazione; infatti, in data 9 novembre 2015 si è conclusa, almeno in apparenza, la questione del comparto dei tessili vari. Giova rammentare che la questione era sorta a seguito della conclusione burrascosa del rapporto associativo fra Confindustria e, per l’appunto, la Federazione dei Tessili Vari, che, in prima battuta, aveva portato all’accordo del 27 maggio 2015, attraverso il quale SMI con Femca Cisl, Filctem Cgil e Uiltec Uil avevano peraltro fornito una disciplina contrattuale per le aziende che applicavano il Ccnl 2 settembre 2010, Tessili – Aziende industriali, e che intendevano aderire al Ccnl 4 febbraio 2014, Abbigliamento e confezioni – Aziende industriali, creando non poco disagio operativo e interpretativo, soprattutto per i datori di lavoro non aderenti ad alcuna associazione di categoria.

L’ultimo tassello di tale complesso mosaico si radica nell’intesa del 9 novembre 2015, dopo che la Federazione dei Tessili Vari era entrata a fare parte di Confapi, dopo la fuoriuscita da Confindustria.

In effetti, Uniontessile Confapi con Femca Cisl, Filctem Cgil e Uiltec Uil hanno definito le modalità di confluenza del Ccnl 2 settembre 2010, Tessili – Aziende industriali nel Ccnl 7 ottobre 2013, Tessili e Abbigliamento – Piccola e media industria.

Siamo in presenza dunque di un altro settore merceologico di notevole rilievo per l’economia nazionale, che sarà caratterizzato per il futuro da un’intensa polverizzazione contrattuale collettiva e, di conseguenza, vi è da attendersi, da parte di molte imprese non legate da vincoli associativi categoriali, adesioni all’uno ovvero all’altro accordo in funzione di valutazioni meramente speculative basate sul costo del lavoro.

Tutto ciò, al di là delle dinamiche dei fatti sinteticamente illustrati, denota l’incapacità (e l’impossibilità) per le parti sociali di definire regole certe ed esigibili fra loro stesse, favorendo peraltro la genesi, sempre più rilevante sul piano quantitativo, di organizzazioni sindacali di base sui luoghi di lavoro che cavalcano egregiamente la crisi del sindacato tradizionale e la nascita di molteplici contratti collettivi “al ribasso” che, seppure con molti rischi per i datori di lavoro che li applicano, alterano la concorrenza genuina fra aziende, abbattendo il costo del lavoro.

Di fatto, emerge prepotente l’esigenza indifferibile di potere contare su un sistema sindacale e su meccanismi di contrattazione collettiva connotati da solidità delle regole, di riflesso, dei comportamenti conseguenti e, stante l’obiettiva irrealizzabilità di siffatti obiettivi da parte dei soggetti protagonisti di questo circuito, l’unica soluzione percorribile è costituita dall’attuazione, da parte del Legislatore, dei co.2 ss. dell’art.39 della Costituzione, al cui interno è scolpito un cammino ben cadenzato attraverso il quale alla contrattazione collettiva viene attribuita efficacia generalizzata e, quindi, munita di idonei elementi di resistenza, robustezza e, più di ogni altra cosa, di impermeabilità alle mutevoli correnti dell’attuale panorama sindacale.