Quali documenti chiedere al lavoratore in sede di assunzione e perché
di Marco TuscanoIn sede di assunzione è fondamentale che il datore di lavoro, o la figura da lui incaricata, richieda al lavoratore la documentazione corretta e completa. La fase assuntiva rappresenta, infatti, un momento fondamentale del rapporto di lavoro, che influisce su tutto lo svolgimento dello stesso.
Premessa
La fase assuntiva è un momento cruciale del rapporto di lavoro. In questa circostanza, infatti, le parti coinvolte decidono di instaurare tra loro un rapporto giuridico che comporta la nascita di obbligazioni che si protraggono nel tempo, ovvero per tutta la durata del contratto. Questa fase deve essere, quindi, esperita correttamente e, comunque, considerando tutti i dettagli possibili, poiché da essa dipende, in buona sostanza, lo svolgimento dell’intero rapporto di lavoro. Per questo motivo è necessario che il datore di lavoro valuti attentamente quale sia la documentazione da richiedere al lavoratore all’atto dell’assunzione, ricordando che parte di questa documentazione è imprescindibile per poter instaurare il rapporto di lavoro, e che, viceversa, alcuni documenti possono essere richiesti anche solo per una mera convenienza.
Nel prosieguo si metterà, quindi, a fuoco buona parte di questi documenti, che trovano l’utilità della loro esibizione in una serie di motivi eterogenei.
Documentazione ai fini contrattuali
Parte della documentazione che il datore di lavoro deve chiedere al lavoratore in fase assuntiva è assolutamente necessaria per l’assolvimento di quanto prescritto dalla Legge in materia di contratti di lavoro. Tra questa documentazione rientra certamente il documento di identità, come la carta d’identità o documento equipollente, ai sensi dell’articolo 35, comma 2, D.P.R. 445/2000.
Lo stesso deve essere accompagnato dal codice fiscale, per il quale, si ricorda, non è possibile l’omocodia.
Il motivo alla base di questa richiesta è da individuare nel quadro normativo dettato, principalmente, dall’articolo 1325, cod. civ., e dall’articolo 4-bis, comma 2, D.Lgs. 181/2000, che, in buona sostanza, impongono, per la conclusione del contratto lavorativo, un accordo tra parti esplicitamente individuate.
Il rapporto di lavoro è, peraltro, un rapporto caratterizzato dall’intuitus personae, espressione che sta ad indicare il carattere personale di una data prestazione e, conseguentemente, del contratto. Il contratto lavorativo è, quindi, un contratto personale e, come tale, l’individuazione dell’identità del contraente (o delle sue qualità personali) è determinante ai fini del consenso.
Il documento di identità e il codice fiscale permettono che il datore di lavoro possa identificare la figura con cui si appresta a ultimare il contratto, nel rispetto di quanto sancito dalla Legge, tra cui il D.Lgs. 181/2000.
A ben vedere, questi documenti sono, inoltre, necessari per poter effettuare le apposite comunicazioni preassuntive previste dalla Legge e per poter gestire correttamente il rapporto di lavoro in busta paga (ad esempio, il datore di lavoro deve conoscere la residenza del lavoratore per poter applicare correttamente le varie addizionali).
In aggiunta, si sottolinea come il documento di identità possa servire per il controllo della presenza dell’età minima per l’ammissione al lavoro o per verificare la cittadinanza del lavoratore.
Quest’ultimo punto è assolutamente rilevante per individuare un ulteriore documento che il datore di lavoro deve richiedere in fase assuntiva.
Il T.U. in materia di immigrazione, D.Lgs. 286/1998, stabilisce, infatti, che i cittadini di Paesi extraeuropei e gli apolidi (coloro che non hanno una nazionalità) debbano possedere un permesso di soggiorno che autorizzi la loro presenza sul territorio dello Stato italiano. Questo titolo è, inoltre, necessario per poter effettuare attività lavorativa.
Il datore di lavoro deve, quindi, verificare, con assoluta certezza, la presenza di questo documento. Le sanzioni previste sono, infatti, piuttosto aspre:
“Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno […], ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato” (articolo 22, comma 12, D.Lgs. 286/1998).
Ricapitolando, i documenti assolutamente necessari per poter procedere all’assunzione sono:
- il documento di identità;
- il codice fiscale;
- il permesso di soggiorno, in presenza di lavoratore extracomunitario.
Documentazione dettata dal tipo di rapporto di lavoro
La documentazione che il datore di lavoro deve richiedere al lavoratore può dipendere anche dal tipo di rapporto di lavoro che si intende instaurare, ossia dalla relativa tipologia contrattuale.
Ad esempio, nel caso di assunzione tramite contratto di apprendistato professionalizzante il datore di lavoro deve prestare particolare attenzione alla pregressa carriera lavorativa, e quindi esperienza, del lavoratore.
La reale funzione di questo tipo di rapporto di lavoro è, infatti, la formazione e l’occupazione dei giovani ex articolo 41, comma 1, D.Lgs. 81/2015, e vi è da precisare che il nostro ordinamento concede al datore di lavoro che assume tramite contratto di apprendistato considerevoli agevolazioni contributive, retributive e normative.
In buona sostanza, poiché questo tipo di contratto consente un ingente risparmio per il datore di lavoro e, a ben vedere, alcune sfumature di precarietà per il lavoratore rispetto al classico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, deve essere soddisfatto il reale motivo che deve spingere all’instaurazione di questo rapporto di lavoro e che ne giustifichi la sussistenza: la formazione del lavoratore.
Qualora questa non avvenga, o non sia necessaria perché il lavoratore risulta essere già in possesso delle competenze oggetto della formazione, l’apprendistato non può essere ritenuto genuino e, di conseguenza, il datore di lavoro non può godere delle ingenti agevolazioni di cui sopra.
Sul punto, va chiarito, si è espresso anche il Ministero del lavoro tramite la circolare n. 5/2013, in cui ha precisato che “non sembra ammissibile la stipula di un contratto di apprendistato con un lavoratore che abbia già svolto un periodo di lavoro, continuativo o frazionato, in mansioni corrispondenti alla stessa qualifica oggetto del contratto formativo, per un durata superiore alla metà di quella prevista dalla contrattazione collettiva”.
Stanti le considerazioni di cui sopra, è necessario che il datore di lavoro richieda un curriculum vitae aggiornato per esaminare le esperienze pregresse del lavoratore.
D’altro canto, anche il titolo di studio posseduto dal lavoratore può assumere grande importanza in ambito apprendistato, e in questo caso sono le disposizioni della contrattazione collettiva ad assumere un ruolo di rilievo.
Ad esempio, nel caso del Ccnl Acconciatura e estetica è chiarito che: “le parti si danno reciprocamente atto del fatto che […] la durata dell’apprendistato viene ridotta di 6 mesi a condizione che i suddetti apprendisti siano in possesso di un titolo di studio post obbligo di attestato di qualifica professionale”.
In definitiva, il curriculum vitae appare il corretto documento da richiedere al lavoratore per ottenere una panoramica completa riguardo la sua pregressa carriera lavorativa e la formazione, anche scolastica, posseduta.
Documentazione dettata dalla natura dell’attività lavorativa o dal settore di attività
La natura dell’attività oggetto del rapporto di lavoro può rivestire grande importanza anche ai fini della richiesta documentale.
Nello specifico, il datore di lavoro deve verificare la presenza di eventuali condizioni dettate dalla Legge, tenendo conto delle caratteristiche della prestazione lavorativa, o, più semplicemente, verificare se il settore di attività, anche per il mezzo della contrattazione collettiva di riferimento, richieda esplicitamente la presenza di determinati documenti.
Ad esempio, nel caso di prestazione di lavoro che si svolga a contatto diretto e regolare con minori, il datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2, D.Lgs. 39/2014, deve chiedere al lavoratore maggiorenne il certificato del casellario giudiziale “al fine di verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del Codice penale, ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori”.
In caso contrario, il datore di lavoro è soggetto a una sanzione amministrativa pecuniaria per una somma da 10.000 a 15.000 euro.
Portando un ulteriore esempio, si consideri quanto sancito all’articolo 4, L. 339/1958, per la tutela del rapporto di lavoro domestico, in cui è stabilito che “Il datore di lavoro che intende assumere un lavoratore minorenne dovrà farsi rilasciare, da chi esercita la patria potestà una dichiarazione scritta e vidimata dal sindaco del Comune di residenza del lavoratore, in cui si consente al minorenne di convivere presso la famiglia del datore di lavoro”.
Questa dichiarazione sembra essere una condizione assolutamente necessaria per la costituzione del rapporto di lavoro, considerato che il settore di riferimento scinde in modo netto, con differenti previsioni normative, il regime di convivenza da quello di non convivenza.
O, ancora, si consideri un rapporto di lavoro di un operaio nel settore dell’edilizia: il datore di lavoro deve richiedere, in questo caso, l’apposito certificato di frequenza al corso delle 16 ore in adempimento all’articolo 37, comma 4, lettera a), D.Lgs. 81/2008, così come previsto dal Ccnl per i dipendenti delle imprese edili ed affini e dall’Accordo nazionale 16 ore – Mics, posto che “l’assunzione di un operaio senza precedenti esperienze nel settore dell’edilizia, debba obbligatoriamente essere preceduta da un corso di formazione di 16 ore prima dell’assunzione” e che “solo dopo aver ricevuto tale certificazione l’impresa potrà instaurare il rapporto di lavoro e quindi procedere all’assunzione”, ricordando che è quest’ultima che “deve verificare se il lavoratore abbia già frequentato il corso di formazione delle 16 ore base”. Si specifica che questa inadempienza è punita con le sanzioni di cui all’articolo 55, D.Lgs. 81/2008, ovvero con l’arresto da 2 a 4 mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro.
Da ultimo, come accennato, anche i contratti collettivi possono specificare altri documenti che devono essere richiesti all’atto dell’assunzione per diversi motivi. Di seguito, si forniscono alcuni esempi:
- lo stato di famiglia, indicato da un numero ingente di contratti collettivi, tra cui il Ccnl Acconciatura estetica artigianato, il Ccnl Informatica PMI e il Ccnl Guardie ai fuochi;
- il modulo di dichiarazione per l’applicazione delle detrazioni fiscali, così come indicato dal Ccnl Terziario, distribuzione e servizi e dal Ccnl per i dipendenti delle imprese edili ed affini, che, a ben vedere, è opportuno sia sempre richiesto, al di là del contratto collettivo in utilizzo, per una corretta gestione del rapporto di lavoro in busta paga;
- l’attestazione della formazione per la manipolazione di alimenti prevista dalla normativa regionale se richiesta dalle mansioni, così come indicato dal Ccnl Terziario, distribuzione e servizi;
- il certificato d’iscrizione all’Ordine dei farmacisti rilasciato in data non anteriore a 3 mesi, come disposto dal Ccnl Farmacie private;
- la licenza di porto d’arma per guardia particolare giurata, per il personale del ruolo tecnico-operativo, come previsto dal Ccnl Vigilanza privata e servizi fiduciari.
Sul perché debbano essere rispettate le condizioni dettate dalla contrattazione collettiva si potrebbe facilmente affermare che, tra le tante cose, “i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al […] rispetto degli accordi e contratti collettivi” (articolo 1, comma 1175, L. 296/2006), ormai salda certezza.
Invero, la risposta appare decisamente più banale: in questo caso, i Ccnl dettano semplicemente la conditio sine qua non per l’instaurazione del rapporto di lavoro, in ragione del loro essere massima espressione della regolamentazione per predeterminate “branche di attività economico-produttiva”, ovvero di categorie merceologiche.
Volendo racchiudere la questione in un’unica riflessione, si può sostenere che, il datore di lavoro deve appurare se la natura dell’attività lavorativa, il settore di attività o il contratto collettivo in adozione, possano esigere particolari documenti.
Documentazione per il godimento di agevolazioni ed esoneri contributivi
La Legge spesso concede delle agevolazioni all’assunzione per i datori di lavoro. A volte, queste agevolazioni dipendono da alcune caratteristiche del lavoratore.
Ne è un esempio l’esonero contributivo per assunzioni a tempo indeterminato, ex articolo 1, commi 10-15, L. 178/2020, concesso per assunzioni di giovani lavoratori under 36, che non abbiano mai avuto un precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato, anche all’estero.
Nello specifico, l’Inps, per agevolare i datori di lavoro, ha previsto un’apposita utility attraverso la quale i datori di lavoro e i loro intermediari possono acquisire le informazioni in ordine allo svolgimento di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, pur chiarendo che “il riscontro fornito non ha valore certificativo, dal momento che possono sussistere rapporti di lavoro a tempo indeterminato registrati presso gestioni previdenziali di altri Paesi” e che, quindi, i datori di lavoro dovranno “continuare comunque ad acquisire la dichiarazione del lavoratore in ordine alla sussistenza di precedenti rapporti di lavoro a tempo indeterminato”.
Prendendo spunto da questo frangente, è possibile affermare che il datore di lavoro deve chiedere al lavoratore le apposite dichiarazioni che possano certificare la presenza dei requisiti dettati dalla Legge ai fini dell’utilizzo di agevolazioni o esoneri contributivi.
Documentazione nell’ambito della formazione
La formazione ricevuta dal dipendente può essere considerata, a tutti gli effetti, un indiscutibile patrimonio per quest’ultimo. Come tale, questo patrimonio spesso può essere speso anche per più rapporti di lavoro.
Di riflesso, la documentazione che attesta la suddetta avvenuta formazione può essere richiesta dal datore di lavoro in modo che sia possibile per quest’ultimo, se ritenuto opportuno, evitare degli adempimenti già effettuati.
Si pensi, in ambito apprendistato, alla formazione di base e trasversale disciplinata dalle Regioni, di cui all’articolo 44, comma 3, D.Lgs. 81/2015, finalizzata all’acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte ore complessivo non superiore a 120 ore nel triennio, che spesso segue questa linea.
La Regione Sardegna, ad esempio, precisa che “la durata formativa è ridotta per gli apprendisti che, in virtù di precedenti contratti di apprendistato, abbiano frequentato con successo percorsi formativi per l’acquisizione di competenze di base e trasversali, è ridotta nella misura del numero delle ore realizzate a condizione che la frequenza formativa sia debitamente attestata”.
Si pensi, ancora, all’ambito della salute e sicurezza sul lavoro, disciplinato dal D.Lgs. 81/2008 (peraltro già richiamato con riferimento al corso delle 16 ore in ambito edilizia), in cui il lavoratore può essere considerato portatore di un vero e proprio credito formativo. L’accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 chiarisce, infatti, che “qualora il lavoratore vada a costituire un nuovo rapporto di lavoro o di somministrazione con un’azienda dello stesso settore produttivo cui apparteneva quella d’origine o precedente, costituisce credito formativo sia la frequenza alla Formazione Generale, che alla Formazione Specifica di settore” e, ancora “qualora il lavoratore vada a costituire un nuovo rapporto di lavoro o di somministrazione con un’azienda di diverso settore produttivo rispetto a quello cui apparteneva l’azienda d’origine o precedente, costituisce credito formativo la frequenza alla Formazione Generale” mentre “la Formazione Specifica relativa al nuovo settore deve essere ripetuta”.
Per questi motivi, il datore di lavoro, nell’ottica di una mera convenienza economica, può richiedere gli attestati riferiti alla formazione oggetto di interesse.
Conclusioni
Non è ovviamente possibile dettare un’elencazione definitiva dei documenti che possono essere richiesti in sede di assunzione, considerata la moltitudine di casistiche e variabili che si possono presentare.
Volendo strutturare un metodo che possa essere di ausilio, si potrà procedere con la richiesta di documentazione utilizzando una sorta di scala di valori che segua l’ordine di elencazione adottato in questo contributo:
- documentazione ai fini contrattuali;
- documentazione dettata dal tipo di rapporto di lavoro;
- documentazione per settore o natura dell’attività lavorativa;
- documentazione per agevolazioni;
- documentazione per formazione.
Senza dimenticare che esistono una serie di informazioni e/o moduli, in parte già menzionati, che il datore di lavoro deve ottenere ai fini della mera elaborazione della busta paga, tra cui:
- il modulo “ANF/DIP” per, ormai, un semplice controllo degli assegni familiari richiesti all’Inps dal 1° aprile 2019 tramite le apposite modalità telematiche;
- il modulo per la scelta di destinazione del Tfr, per la cui consegna, si ricorda, il lavoratore ha a disposizione 6 mesi di tempo, ex articolo 8, comma 7, D.Lgs. 252/2005;
- il modulo per la richiesta delle detrazioni d’imposta, ex articolo 23, D.P.R. 600/1973;
la dichiarazione ai fini della corretta erogazione del trattamento integrativo dei redditi di lavoro dipendente e assimilati e dell’ulteriore detrazione fiscale ai sensi degli articoli 1 e 2, D.L. 3/2020.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.
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