Proposte di lettura da parte di un bibliofilo cronico
di Andrea ValiottoPadrini e padroni
Nicola Gratteri e Antonio Nicaso
Mondadori
Prezzo – 18,00
Pagine – 216
Nel 1908, un tragico terremoto divora Messina e Reggio Calabria. Si stanziano quasi centonovanta milioni di lire per la ricostruzione, ma la presenza nella gestione dei fondi anche di boss e picciotti – molti dei quali tornati dall’America per l’occasione – causerà danni gravissimi, sottraendo risorse preziose, trasformando le due città in enormi baraccopoli e dando vita a un malcostume ormai diventato abituale. Lo stesso scenario che si ripeterà, atrocemente, cent’anni dopo, nel 2009, con il terremoto dell’Aquila. Mentre la gente moriva, in Abruzzo c’era chi già pensava ai guadagni. E ancora, nel 2012, nell’Emilia che crolla la mafia arriva prima dei soccorsi. In Piemonte, la ‘ndrangheta era riuscita a infiltrarsi nei lavori per la realizzazione del villaggio olimpico di Torino 2006 e in quelli per la costruzione della Tav nella tratta Torino-Chivasso. La corruzione, l’infiltrazione criminale, i legami con i poteri forti – occulti, come le logge segrete, e non, come la politica sul territorio e a tutti i livelli, fino ai più alti – sono oggi parte di una strategia di reciproca legittimazione messa in opera da decenni da tutte le mafie e in particolare dalla ‘ndrangheta. Già nel 1869, le elezioni amministrative di Reggio Calabria erano state annullate per le evidentissime collusioni ‘ndranghetiste. Il primo caso di una serie di episodi che nei decenni hanno segnato l’intera penisola, arrivando fino a Bardonecchia, in Piemonte, nel 1995, e a Sedriano, in Lombardia, nel 2013. Lo scambio di favori fra criminalità e certa parte della politica è continuo e costante, il ricatto reciproco un peso enorme sulla cosa pubblica, con ripercussioni su tutti i settori, dalle opere pubbliche alla sanità, dal gioco di Stato allo sport. Anche lo sport. Il calcio è popolare e ha bisogno di investimenti. E le mafie, da tempo, si sono accorte delle sue potenzialità, non mancando di sfruttarle, come dimostrano le recenti inchieste giudiziarie. In questo vermicaio c’è di tutto: oltre al riciclaggio di denaro, ci sono partite truccate, scommesse clandestine, presidenti prestanome, e ultrà che gestiscono attività illecite. Il vero problema è che né i ricorrenti disastri ambientali, né il consumo dissennato del territorio, né il degrado di opere e servizi sembrano più scalfire l’opinione pubblica. In Italia l’incompiutezza è diventata risorsa, strategia di arricchimento per cricche e clan, mangime senza scadenza per padrini e padroni. C’è un’assuefazione che sconcerta. Quello che è di tutti non appartiene a nessuno. Che importa se la corruzione avvelena l’economia, provocando gravi disuguaglianze sociali o se la mafia ammorba l’esistenza di tanta gente, con la complicità di alcuni degli uomini chiamati a combatterla? E perché nessun governo ha mai inserito fra i propri obiettivi primari la lotta alla corruzione e alla criminalità economica? Questo di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso è un libro di denuncia forte, coraggioso, che racconta una verità amara. Senza sconti per nessuno.
I veleni di Palermo
Rosario La Duca
Sellerio
Prezzo – 13,00
Pagine – 224
Arsenico, cianuro, stricnina, acqua tofana: sono questi i veleni di Palermo; niente metafore dunque, protagoniste di questo libro, pieno di storia e di storie, sono proprio le sostanze tossiche con cui venivano compiuti omicidi di ogni sorta. La Duca incanta con le sue storie e racconta sette secoli di pozioni micidiali che consentivano assassinii discreti e veloci, insomma delitti perfetti. «I veleni di Palermo. Non quelli che direi “veri”, i lenti e sottili veleni del vivere a Palermo; ma le immediatamente fatali e volgari pozioni, il poison criminalmente dosato nella domestica minestra, nelle salse, negli intingoli, nelle creme; il mort-aux-rats promosso a funzioni liberatorie nelle asfissie da marito o da moglie, negli amori impossibili, nelle possibili ma tardanti eredità. Il veleno comprato dallo speziale con la scusa della casa e del vicolo da disinfestare; o pagato lautamente alla fattucchiera rivelando l’uso cui è destinato; o segretamente distillato da erbe e sali. Il veleno dei casi che generalmente si dicono sordidi: gli amorazzi, la roba, le insopportabili vessazioni del pater familiae; l’odio che si accumula giorno per giorno, ora per ora; l’impazienza che si acuisce e delira; la livida invidia e rapace». Dall’introduzione di Leonardo Sciascia Storico eccelso e straordinario, Rosario La Duca (Palermo 1923-2008) si può dire sapesse tutto dei luoghi di Palermo e dei fatti, soprattutto quelli strani e misteriosi, associati a questi luoghi. I veleni di Palermo uscì per la prima volta nel 1970, ed è stato il primo volume pubblicato dalla casa editrice Sellerio. Nell’Introduzione Leonardo Sciascia lo presentava: «rassegna degli avvelenamenti occorsi in Palermo dal 1160 al 1815, compilata con molta diligenza ma non senza divertimento». E il racconto di quest’arte (soprattutto femminile, che Palermo seppe anche esportare: per esempio con l’acqua tofana) procede accanto alla descrizione delle istituzioni, dei governi, della giustizia, dei costumi di sette secoli palermitani, secondo lo stile di La Duca che dal minimo rilievo ricava la grande storia. Insomma: una cavalcata nella storia in groppa alla morte.
In quei giorni di tempesta
Francesco Casolo, Robert Peroni
Sperling & Kupfer
Prezzo – 16,90
Pagine – 204
I demoni si sono risvegliati, questo dicono gli inuit quando arriva una tempesta, e alla Casa Rossa, l’albergo che da anni Robert Peroni gestisce in Groenlandia, ci si prepara allo scatenarsi degli elementi. Bisogna fare in fretta, mettere tutto in sicurezza, perché dal mare già sale verso l’altopiano il «vento delle donne». Poi seguirà un istante fuori dal tempo, di cielo limpidissimo e calma immobile, che preannuncia lo scatenarsi del piterak, il «vento degli uomini», che soffia gelido e sferzante… a oltre cento chilometri orari per giorni interi. Ed è proprio durante una di queste fortissime tempeste che gli amici di Robert, bloccati nella Casa Rossa, si mettono a raccontare un mondo che se ne è andato, il loro: da Gideon, lo scultore cresciuto da un famoso sciamano, a Viggo, che ha vissuto i giorni drammatici della tempesta del secolo, ad Anda, «trasferito» ancora bambino a Copenaghen per essere rieducato. Queste e altre storie, evocative e commoventi, brutali e straordinarie, si intrecciano mentre fuori i cani ululano e i corvi cercano rifugio. Ma nel corso delle ore si scopre che la vera violenza non è quella della natura che imperversa oltre il vetro delle finestre, bensì quella degli uomini che, convinti di portare la «civiltà», non hanno esitato a strappare un popolo alla sua storia millenaria. In questo libro, Robert Peroni dà voce ai protagonisti delle sue storie, sulle tracce di un popolo che ha resistito alla durezza del clima ma ha finito per soccombere all’arrivo della modernità.
L’estate prima della guerra
Helen Simonson
Neri Pozza
Prezzo – 18,00
Pagine – 576
È l’estate del 1914 a Rye, un piccolo centro che emerge dalle paludi piatte del Sussex come una magnifica isola di tetti rossi protesa verso il mare. L’arciduca Francesco Ferdinando è stato assassinato a Sarajevo, ma la vita in paese scorre tranquilla. L’eco di quanto accade a Whitehall, la sede londinese del Foreign Office, di solito sonnolenta in quella stagione, e ora brulicante di funzionari affaccendati, politici e generali, giunge decisamente attutita tra le strade della piccola città. Giacca e gonna strette, secondo i dettami della moda, collo lungo e capelli castani delicatamente raccolti sulla nuca, Beatrice Nash sbarca a Rye per prendere possesso dell’incarico di insegnante di latino nel locale ginnasio. I membri dell’amministrazione della scuola, l’arcigna moglie del sindaco, Mrs Fothergill, Lady Agatha Kent, dama in vista del paese che sogna di veder emergere un giorno dei grandi leader dai figli dei contadini con i calzoni corti e le ginocchia sporche, erano pronte ad accogliere «un’insignificante fanciulla», come Lady Marbely si era premurata di assicurare. Grande è dunque la loro sorpresa quando si imbattono in una giovane donna attraente che si è lasciata presto alle spalle la frivolezza dell’infanzia, accompagnando il padre letterato nei suoi numerosi viaggi e, dopo la morte del genitore, decidendosi a vivere del suo lavoro senza convolare a nozze, come impone il costume del tempo a una ragazza orfana. Stabilitasi nel paese, a Beatrice Nash basta poco per scoprire la sottile linea che separa gli abitanti di buon cuore di Rye da quelli animati dalla gretta cura dei propri interessi. Tra i primi figurano certamente Lady Agatha, cui premono davvero le sorti del ginnasio, Daniel Bookham, giovane poeta dai capelli spettinati ad arte e l’aria bohémien, l’amico del cuore di quest’ultimo, Craigmore, figlio dell’altezzoso Lord North, e Hugh Grange, il giovane, aitante assistente di Sir Alex Ramsey, chirurgo tra i più stimati d’Inghilterra. Tra i secondi Mrs Fothergill, la prepotente moglie del sindaco, l’untuoso Mr Poot, suo nipote, e Lord North, che non esita a ricorrere agli stratagemmi più subdoli pur di spezzare il legame che unisce Daniel Bookham a suo figlio Craigmore. Il 4 agosto del 1914 la Germania invade il Belgio e, com’è abitudine di tutte le guerre, il conflitto travolge il piccolo ordinato mondo degli abitanti di Rye, mutando desideri e speranze e mostrando, ad un tempo, il vero volto del coraggio e della viltà.
Nei mari estremi
Lalla Romano
Einaudi
Prezzo – 12,00
Pagine – 288
All’apice della sua arte narrativa, Lalla Romano si confronta in questo romanzo con le cose ultime della vita, le piú alte e insieme piú quotidiane. Nei mari estremi racconta i «quattro anni» dell’incontro e dell’innamoramento – fino al matrimonio – con Innocenzo, che sarebbe stato il compagno di tutta un’esistenza. E poi racconta la sua morte, preceduta dai «quattro mesi» intensi della malattia. Un memoir costruito come un susseguirsi di variazioni musicali, che descrivono l’amore e la morte nei loro aspetti piú segreti, materiali, fisici. Una sinfonia intima composta da quei momenti in cui si gioca il rischio supremo, che sono – scrive Lalla Romano – «quasi sottratti al tempo, in quanto appartengono al suo margine, alla sua fine, o soltanto vi alludono».