Opposizione comunque
di Riccardo Girotto Scarica in PDFIl D.L. 48/2023, battezzato Decreto lavoro o Decreto Calderone, così come disegnato dal nuovo esecutivo, occupa in questi giorni i cultori della materia giuslavoristica e stimola feroci critiche da parte sindacale. Ciò che non si comprende però, è come possa criticarsi una revisione dell’istituto del contratto a termine, che pone proprio la contrattazione come unica fonte guida della materia.
Abbiamo scritto in un recente editoriale in merito alla spinta legislativa, grandemente sostenuta da una giurisprudenza incline a tutelare profondamente la condotta antisindacale, alla cogestione. Ogni norma d’impatto lavoristico impone oramai la preventiva condivisione dell’intenzione con la parte sindacale.
Questa tendenza mira a rendere proattiva la parte che tutela il dipendente, trasformandola da organizzazione di difesa, ed eventualmente di protesta, in organizzazione partecipazione. Non sempre però questo ruolo viene accolto con favore, tanto che il sindacato preferisce restare nella posizione di attesa delle azioni aziendali, al fine di esercitare espressamente i diritti garantiti dal titolo III, Statuto dei Lavoratori.
Quindi un Legislatore che spinge verso il rinnovamento delle relazioni sindacali, fino alla modernizzazione delle metodologie di confronto, si trova la porta sbarrata dalla L. 300/1970.
Con riferimento ai contratti a tempo determinato le organizzazioni sindacali contestano la nuova versione delle causali, eppure il legislatore offre proprio al sindacato la cloche del comando. La conferma dei 12 mesi acausali non sposta nulla rispetto al passato, mentre con riferimento alle causali, piuttosto di elencarne di inapplicabili come in precedenza, punta a ergere la contrattazione a unica fonte dalla quale attingere.
In realtà l’intervento la delega delle causali alla contrattazione non rappresenta una rivoluzione, così ad esempio recitava la precedente versione dell’articolo 19, comma 1 b)-bis “…specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51…” , mentre al comma 2 la delega si fa più estesa “Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi”, fino a quella totale per il lavoro stagionale all’articolo 21, comma 2 “Le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi”.
Il dato utile a valutare l’interesse del sindacato a definire in sede contrattuale le causali può quindi trarsi facilmente dallo sfruttamento, su base storica, degli spazi aperti dalle fonti sopra citate. A oggi i maggiori Ccnl (metalmeccanica industria, terziario, logistica etc.) non prevedono causali dedicate al contratto a termine. Il lavoro stagionale, dove la delega alla contrattazione è ancora più marcata, è fermo ai box da tempo immemorabile. Il quadro non è confortante.
Nonostante ciò, il Legislatore rinnova piena fiducia alla concertazione, ma tale fiducia non genera assunzione di responsabilità da parte sindacale, una vera e propria rinuncia al potere, trincerandosi in posizione attendista, così da poter esprimere un diritto di critica ampiamente tutelato da uno statuto del 1970.
Certamente i datori di lavoro potrebbero, a loro volta, dimostrarsi freddi verso un recepimento della delega immediato, in quanto limiterebbe l’accesso alle causali “individuali”, ma non c’è dubbio che ogni azienda avrà tutto l’interesse ad arrivare al maggio 2024 con la possibilità di utilizzare in modo snello un contratto che, quantomeno per ora, pare assolutamente “legale”. Per contro il sindacato potrà optare per la partecipazione al processo di sviluppo della normativa, oppure per determinare il fallimento della stessa. Il potere è indubbiamente delle organizzazioni sociali.
La critica a una previsione che di fatto potenzia il criticante conferma, e forse senza sorprese, che i posti più confortevoli e ambiti, sono sempre quelli all’opposizione.
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