10 Marzo 2021

Obbligo di vaccinazione COVID e licenziamento: il punto di vista di Uneba

di Luca Degani - presidente Uneba Lombardia -Simona Bosisio

In premessa di questa breve riflessione si ritiene doveroso ricordare che Uneba, acronimo di Unione nazionale enti di beneficenza e assistenza, è un’associazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale ed educativo che associa oltre 900 enti no profit sul territorio nazionale, di cui una significativa parte gestisce Rsa, oggi tristemente note alla cronaca per essere state gravemente colpite dal COVID-19.

Uneba, che in questo momento storico si trova ad agire su più piani a sostegno dei propri associati, si è interrogata sul tema “caldo” del rifiuto alla vaccinazione opposto dagli operatori sanitari e sociosanitari, soprattutto alla luce dei numerosi pareri contrastanti pubblicati di recente da autorevoli giuristi.

Nel noto vuoto normativo in tema di obbligo vaccinale, alcuni autori hanno individuato le norme da invocarsi a favore del licenziamento del lavoratore renitente, altri, invece, hanno negato tale possibilità proprio in assenza di una norma che imponga ai lavoratori l’obbligo vaccinale.

Indubbiamente, in ambito sociosanitario e assistenziale è doverosa una riflessione ad ampio raggio, non potendosi dimenticare che gli enti hanno il contestuale obbligo di tutelare tanto i propri dipendenti, quanto l’utenza fragile loro affidata; per tale ragione il rifiuto di un operatore che opera a contatto con tali soggetti costituisce una criticità di non poco conto.

Il datore di lavoro si trova, pertanto, nella necessità di comprendere se prevalga il diritto di scelta del singolo e se sia, dunque, obbligato a garantirgli la continuità del rapporto di lavoro, oppure se, ferma la libertà di scelta di ogni operatore, si ponga in capo alla struttura l’obbligo di allontanarlo dagli utenti e dai colleghi che hanno scelto di sottoporsi al vaccino.

Nella ricerca di una risposta a tale quesito non possiamo dimenticare un altro elemento fondamentale, vale a dire l’aspetto organizzativo di ogni singola realtà, la cui attività potrebbe incontrare importanti difficoltà operative laddove il numero di lavoratori renitenti fosse particolarmente elevato.

Dal momento in cui a livello collettivo si è sollevato il problema di cui ci stiamo occupando, Uneba ha ricevuto numerosi quesiti, in cui si sono evidenziate le più disparate esigenze organizzative. Proprio a fronte della peculiarità di ogni struttura e, si ribadisce, in assenza di un intervento legislativo che ponga fine al dibattito, non è possibile trovare una soluzione univoca al problema del rifiuto dei lavoratori a sottoporsi alla vaccinazione anti-COVID.

Nello scenario sopra prospettato, ancor più forse che in altri settori, riteniamo non si possa prescindere dal ruolo del medico competente, il quale, in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 25, D.Lgs. 81/2008, nell’attuale momento pandemico, dovrà programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici, tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati.

Posto che la Sars-CoV-2, a mente della Direttiva UE 739/20, è stata inserita nel gruppo di rischio 3 degli agenti biologici, la contrazione del virus di cui si discute costituisce un rischio specifico all’interno dell’ambiente di lavoro in cui si svolge l’attività sanitaria e sociosanitaria.

Conseguentemente il medico competente, in ottemperanza alle previsioni del T.U. salute e sicurezza, dovrà valutare se aggiornare i protocolli di sorveglianza sanitaria inserendo il vaccino, accanto ai presidi già in uso, quale strumento di tutela della sicurezza sul luogo di lavoro. Laddove si proceda in tal modo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 41, D.Lgs. 81/2008, il medico competente dovrà valutare l’idoneità alla mansione specifica del lavoratore renitente.

Va da sé che, nel momento in cui questi dovesse emettere un giudizio di inidoneità anche temporanea alla mansione, il datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 42, T.U. salute e sicurezza, dovrà attuare le misure indicate e, dunque, non potrà continuare ad adibire l’interessato alla mansione specifica, ma dovrà, ove possibile, adibirlo a mansioni equivalenti o, in difetto, anche inferiori. In assenza di qualsiasi alternativa, è di immediata evidenza che quel lavoratore non potrà trovare un’utile collocazione all’interno dell’organizzazione.

Tuttavia, Uneba non ritiene al momento percorribile la strada del recesso dal rapporto di lavoro, non solo in ragione dell’attuale blocco dei licenziamenti per gmo, tra cui (a torto o a ragione) si annovera anche il licenziamento per inidoneità alla mansione, ma anche in considerazione della presumibile temporaneità del giudizio di cui si discute.

Non da ultimo, allo stato attuale non ci si sente di sostenere la licenziabilità tout court, in quanto la nostra associazione, in collaborazione con le organizzazioni sindacali, ritiene che sia fondamentale raccogliere il maggior consenso dei lavoratori attraverso un’opera di moral suasion, rappresentando in primo luogo l’importanza di addivenire a una copertura vaccinale il più ampia possibile ai fini della tutela di tutta la collettività e, in ogni caso, finché è possibile, riteniamo che il licenziamento debba rappresentare davvero l’ultima ratio.

Pertanto, oggi, in luogo del recesso, laddove l’attività di formazione e informazione posta in essere dal medico competente unitamente a Rspp, Rls, direzione sanitaria, direzione generale, non desse esito positivo, si ritiene, pur con i rischi di impugnazione della scelta, che il datore di lavoro possa optare per la sospensione del lavoratore dichiarato inidoneo dal lavoro e dalla retribuzione.

Nell’esame delle diverse questioni poste dagli associati, Uneba ha anche valutato la posizione del datore a fronte di un medico competente che non ritenga necessario integrare il protocollo di sorveglianza sanitaria con la somministrazione del vaccino, ritenendo, invero, sufficienti le misure di protezione fino ad oggi adottate, quali mascherine, guanti, camici monouso, occhiali, visiere, etc..

In tal caso, si ritiene che il datore di lavoro – sul quale, a mente dell’articolo 2087, cod. civ., grava la responsabilità della tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori – dovrà decidere se uniformarsi alle valutazioni del medico competente e, dunque, lasciare che i lavoratori non vaccinati continuino ad operare a contatto dell’utenza, oppure se allontanare i predetti lavoratori non tanto a causa dell’inidoneità alla mansione, ma in ragione dell’obbligo di tutela nei confronti dei fruitori del servizio.

Come poc’anzi evidenziato, l’ente deve garantire ai propri utenti l’esecuzione della prestazione nel rispetto delle regole della diligenza, da cui discende l’obbligo accessorio di eleminare, o almeno contenere, qualsiasi rischio di danno per gli stessi.

Non è, dunque, da escludere che la struttura possa ritenere che il lavoratore non vaccinato costituisca un rischio per l’utenza e, conseguentemente, possa ritenere necessario l’allontanamento dello stesso dal contatto diretto con la popolazione accolta.

In tale ipotesi, si verificherebbe un oggettivo impedimento della prestazione per impossibilità sopravvenuta, con conseguente obbligo del datore di verificare la sussistenza di mansioni alternative a cui adibire l’operatore; laddove la verifica desse esito negativo, si andrebbe a delineare la possibilità di sospendere temporaneamente dal lavoro e dalla retribuzione il dipendente renitente.

Pur nella necessità di garantire la tutela nella modalità sopra evidenziata, Uneba non può dimenticare che molti enti hanno evidenziato l’oggettiva impossibilità di sospendere i lavoratori, a fronte della necessità di garantire l’erogazione del servizio di competenza. In tale ipotesi, si ribadisce, a fronte dell’inesistenza di una norma che imponga ai lavoratori di vaccinarsi, l’ente, nell’assumersi la responsabilità di assicurare la tutela della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, deve dimostrare non solo di aver messo a disposizione i vaccini, ma anche di aver posto in essere una profonda attività di formazione e informazione sulla materia.

Uneba ritiene che in questo momento pandemico sia fondamentale il ruolo delle organizzazioni sindacali nella campagna di informazione e sensibilizzazione dei lavoratori impegnati nelle strutture che erogano servizi sanitari e sociosanitari, per tale motivo ha invitato i propri associati a cercare l’appoggio dei sindacati territoriali e aziendali.

Uneba Lombardia, a riprova della profonda convinzione che il vaccino costituisca un fondamentale strumento di tutela per le realtà afferenti al settore che rappresenta, ha sottoscritto con le OO.SS. una dichiarazione congiunta, avente ad oggetto proprio la campagna di sensibilizzazione alla vaccinazione anti COVID-19.

In conclusione, ripetendo le parole di chi ha già analizzato la tematica qui affrontata, non si può che auspicare un intervento di un accorto Legislatore.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.

 

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