25 Ottobre 2022

L’obbligo di informazione collettiva nel Decreto Trasparenza

di Evangelista BasileRosibetti Rubino

Con D.Lgs. 104/2022, il Legislatore ha recepito la Direttiva Europea 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea. Il Decreto Trasparenza è, così, entrato in vigore lo scorso 13 agosto 2022 e ha profondamente modificato il D.Lgs. 152/1997, ampliando l’oggetto dell’informativa che il datore di lavoro ha l’obbligo di dare al lavoratore in fase di assunzione, spingendosi ben oltre la normativa europea e coinvolgendo anche le associazioni sindacali.

In particolare, il nuovo articolo 1-bis prevede che, nell’ipotesi in cui siano presenti “sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori”, il datore di lavoro debba fornire ai lavoratori talune informazioni aggiuntive. Il comma 6 del medesimo articolo 1-bis, poi, aggiunge che: “La comunicazione delle medesime informazioni e dati deve essere effettuata anche alle rappresentanze sindacali aziendali ovvero alla rappresentanza sindacale unitaria e, in assenza delle predette rappresentanze, alle sedi territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Ispettorato nazionale del lavoro possono richiedere la comunicazione delle medesime informazioni e dati e l’accesso agli stessi”.

L’obbligo di informativa si amplia, così, non solo quale obbligo di informazione collettiva e non più solo individuale, ma anche dal punto di vista soggettivo, valendo anche per quelle aziende che potrebbero non avere neppure rappresentanze sindacali al proprio interno.

Proprio in quest’ultimo caso, è evidente come la diffusione di informazioni commerciali si possa – e, anzi, si debba – allargare anche a un ambito tutto esterno alla società, aumentando il rischio di dispersione di quello stesso know how fondamentale al funzionamento di tali tipologie di aziende.

Probabilmente ci si sarebbe potuti limitare a prevedere la possibilità del lavoratore di richiedere determinate informazioni anche per il tramite del sindacato, legittimando così il ruolo di quest’ultimo pur nell’esercizio di un diritto individuale del lavoratore, com’è quello disegnato dalla Direttiva europea, senza farlo assurgere a diritto del sindacato stesso, mettendo, invece, a rischio il diritto dell’azienda alla segretezza industriale.

D’altro canto, invece, occorre segnalare che, fino a oggi, pur avendo le parti sociali, sia OO.SS. che datori di lavoro, inserito nella contrattazione collettiva diversi obblighi di informativa, poi in concreto è noto che in Italia sia stato sempre privilegiato un atteggiamento di “scontro” anziché di dialogo consultivo da entrambe le parti coinvolte. In un siffatto contesto, è evidente che gli obblighi informativi rischiano di rimanere solo su carta. Non è da escludere, dunque, che l’intervento normativo si ponga proprio nel solco di quel processo di implementazione delle informazioni collettive che troppo spesso è stato sottovalutato dalle parti sociali. Ma a quale costo?

 

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