10 Marzo 2025

La nuova stretta sulla NASpI

di Michele Carli Scarica in PDF

Con il presente elaborato si esaminerà la nuova disposizione normativa con la quale il Legislatore – nel caso in cui la cessazione involontaria del rapporto di lavoro per cui si richiede la prestazione sia preceduta da una cessazione volontaria intervenuta per dimissioni o risoluzione consensuale nei 12 mesi precedenti il predetto evento di cessazione – ha disposto, con effetto dal 1° gennaio 2025, che per accedere alla NASpI si dovranno vantare almeno 13 settimane di contribuzione nel periodo intercorrente tra le 2 risoluzioni.

 

Premessa

Con la Legge di Bilancio 2025[1] il Legislatore è intervenuto nuovamente per regolamentare la provvidenza spettante ai lavoratori subordinati in caso di perdita involontaria del lavoro. Infatti, con l’articolo 1, comma 171, Legge di Bilancio 2025, è stata varata l’introduzione della lettera c-bis) in seno all’articolo 3, comma 1, D.Lgs. 22/2015 – rubricato “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati”.

Nella formulazione della richiamata lettera c-bis) è presente un riferimento alle dimissioni volontarie e alla risoluzione consensuale. Nei giorni immediatamente successivi all’entrata in vigore della disposizione in argomento, in qualche caso, la stampa non specializzata ha mormorato di un’apertura in merito alla concessione della provvidenza anche nelle ipotesi di dimissioni o risoluzioni consensuali. Questa interpretazione avrebbe posto l’attività legislativa in totale contrasto con altre novità appena approdate nel nostro ordinamento giuridico, volte proprio a scongiurare un utilizzo improprio, e spesso anche fraudolento, della NASpI, come le dimissioni per fatti concludenti[2]. Ciò, con il fine di evitare che i lavoratori, con la volontà di dimettersi, possano abbandonare il posto di lavoro, obbligando i datori di lavoro ad aprire un procedimento disciplinare per contestare l’assenza ingiustificata, alla conclusione del quale i lavoratori verrebbero licenziati per giusta causa. Questo comporterebbe, da un lato, che i datori di lavoro dovrebbero farsi carico del c.d. ticket licenziamento e, dall’altro, l’indebito accesso dei lavoratori alla provvidenza. Tutto ciò, nonostante il licenziamento derivi esclusivamente dalla volontà dei lavoratori.

 

Le ragioni della stretta

Per comprendere i motivi che hanno indotto il Legislatore a introdurre un ulteriore requisito da onorare per poter accedere alla NASpI, congiuntamente ai precedenti, è opportuno esaminare le motivazioni contenute nella relazione tecnica di passaggio, allegata al disegno di Legge di Bilancio per l’anno 2025. In merito al nuovo requisito, come si legge nel documento accompagnatorio, la disposizione normativa vuole limitare un fenomeno elusivo che negli ultimi anni ha visto protagonisti sia i datori di lavoro sia i lavoratori. In particolare, in fase di liquidazione della NASpI, sono state registrate delle cessazioni involontarie a seguito di rioccupazioni, molto spesso di breve durata o di natura intermittente, di lavoratori già dimissionari, anche in conseguenza di accordi di esodo individuali, da contratti di lavoro a tempo indeterminato. L’elevata incidenza del fenomeno evidenzia che tali rioccupazioni sono state finalizzate a ottenere l’indennità di disoccupazione, che non spetterebbe a seguito delle precedenti dimissioni, per le quali i datori di lavoro non hanno pagato il c.d. ticket licenziamento. In considerazione di ciò, è stato ritenuto necessario limitare il fenomeno, al fine di stimolare i datori di lavoro a procedere a risoluzioni del rapporto di lavoro tramite il licenziamento, ove ne ricorrano effettivamente i presupposti, versando il relativo ticket, nonché di permettere ai lavoratori di accedere alla NASpI legittimamente, senza dover ricorrere a sottoscrizioni successive di rapporti di lavoro brevi, solo al fine di accedere alla provvidenza valorizzando l’intero periodo contributivo.

 

Il nuovo ostacolo per l’accesso alla NASpI

Con la Legge di Bilancio 2025 – articolo 1, comma 171, L. 207/2024[3] – è stata introdotta, come già osservato, la lettera c-bis) in seno all’articolo 3, comma 1, D.Lgs. 22/2015.

In considerazione di ciò, il comma 1 dell’articolo 3, D.Lgs. 22/2015, ha assunto la seguente formulazione: “La NASpI è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:
a) siano in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni;
b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione;
c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione;
c-bis) con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025, possano far valere almeno tredici settimane di contribuzione dall’ultimo evento di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto per dimissioni volontarie, anche a seguito di risoluzione consensuale, fatte salve le ipotesi di cui al comma 2 e di dimissioni di cui all’articolo 55 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 . Tale requisito si applica a condizione che l’evento di cessazione per dimissioni sia avvenuto nei dodici mesi precedenti l’evento di cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione”.

Con la nuova lettera c-bis) è stata inserita un’ulteriore condizione inerente al requisito, già vigente in via ordinaria, delle 13 settimane di contribuzione. In pratica, per beneficare della NASpI si dovrà verificare se la nuova condizione si verifichi congiuntamente ai requisiti previsti dalle precedenti lettere a), b) e c), ovvero essere in stato di disoccupazione e vantare sia 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti, sia 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti. La nuova condizione dovrà essere ossequiata esclusivamente nel caso in cui il soggetto interessato, nei 12 mesi precedenti l’evento di disoccupazione involontaria, abbia proceduto alla risoluzione del rapporto lavorativo antecedente per dimissioni o risoluzione consensuale. Quest’ultima condizione prevede che tali lavoratori debbono far valere almeno 13 settimane di contribuzione dall’ultimo rapporto lavorativo risolto, come detto, per dimissioni o risoluzione consensuale. Preme ricordare che, prima dell’introduzione della lettera c-bis), oggetto del presente approfondimento, al momento della cessazione involontaria del rapporto di lavoro era sufficiente che si verificassero le condizioni previste dalle lettere a), b) e c), a nulla rilevando l’interruzione, a qualsiasi titolo, di un precedente rapporto. In pratica, in merito alle settimane contributive che consentivano l’accesso alla NASpI, vi era solo la necessità di verificare che non fossero computati i periodi contributivi che avevano già dato luogo a erogazione delle prestazioni di disoccupazione[4]. A tal fine, si ricorda che nel caso in cui, nel corso della fruizione della provvidenza, il beneficiario decadesse dallo stato di disoccupazione – e conseguentemente anche dal diritto alla percezione della NASpI – le settimane contributive non effettivamente utilizzate resteranno valide per l’accesso, e la richiesta, di una nuova e successiva indennità NASpI. Quest’ultima sarà autorizzata esclusivamente se, al momento della presentazione della nuova domanda, il soggetto interessato potrà vantare, nuovamente, tutti i requisiti previsti dalle lettere da a) a c-bis) dell’articolo 3, comma 1, D.Lgs. 22/2015.

Si ricorda, infine, che le disposizioni di cui alla lettera c-bis) non si applicano nelle ipotesi di cui al comma 2 del medesimo articolo 3[5], D.Lgs. 22/2015, ovvero:

  1. ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa;
  2. nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7, L. 604/1966[6], ovvero nei licenziamenti per gmo[7] qualora siano disposti da un “datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti[8].

Inoltre, non si applicano in caso di dimissioni volontarie rassegnate dalla lavoratrice madre[9] durante il periodo di divieto di licenziamento ex articolo 54, D.Lgs. 151/2001 – c.d. T.U Maternità e paternità – che si ricorda essere “dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III[10], nonché fino al compimento di un anno di età del bambino”.

Resta inteso che, se tra i 2 eventi risolutivi – ovvero dimissioni o risoluzione consensuale del primo rapporto e cessazione, a qualsiasi titolo, purché con diritto di accesso alla NASpI, del secondo rapporto – sono trascorse oltre 13 settimane, il lavoratore potrà accedere alla NASpI utilizzando tutte le settimane contributive, non ancora fruite per accedere alla medesima provvidenza, presenti nei 48 mesi precedenti la cessazione del secondo rapporto lavorativo. Quanto appena affermato è del tutto indipendente dal fatto che alcune settimane contributive siano maturate in forza di un rapporto di lavoro risolto, per dimissioni o risoluzione consensuale, senza il diritto di accedere alla provvidenza.

 

Un trattamento a 2 vie

Per comprendere meglio quali scenari si potrebbero verificare, è opportuno procedere all’analisi di un caso, seppur scolastico, che si potrebbe realizzare in concreto.

Si prendano come riferimento 2 colleghi di lavoro, di cui uno con contratto a tempo indeterminato e l’altro con contratto a termine in scadenza al 30 novembre 2024. Nei primi giorni di novembre 2024 – forti di vantare, nel quadriennio precedente, i requisiti contributivi di cui all’articolo 3, lettere b) e c), D.Lgs. 22/2015 – decidono di accettare una nuova opportunità lavorativa con contratto a tempo indeterminato – con patto di prova pari a 2 mesi – decorrente dalla data del 1° dicembre 2025, poiché consapevoli di accedere alla NASpI in caso di mancato superamento del periodo di prova[11]. Mentre per poter sottoscrivere il nuovo contratto di lavoro a uno dei 2 è bastato giungere alla naturale scadenza del contratto a termine, l’altro, per liberarsi dal precedente rapporto, è stato obbligato a rassegnare le proprie dimissioni. In tale circostanza, in ipotesi di licenziamento di entrambi i lavoratori al 31 gennaio 2025 per mancato superamento del periodo di prova contrattualmente previsto, solo un lavoratore avrebbe la possibilità di accedere alla NASpI, poiché quello dimissionario dal precedente rapporto non potrebbe onorare il requisito richiesto dalla neonata lettera c-bis), essendo il periodo di prova inferiore a 13 settimane.

 

Il messaggio Inps n. 420/2025

Lo scorso 3 febbraio, l’Inps, nelle more della pubblicazione di specifica circolare, ha voluto fornire le prime indicazioni in ordine alla corretta interpretazione della disposizione in argomento, nonché le istruzioni operative per una corretta gestione delle domande NASpI interessate dalla novità introdotta dalla Legge di Bilancio.

Per quanto attiene alle istruzioni amministrative, viene preliminarmente evidenziato che il nuovo requisito, come abbiamo già osservato, troverà applicazione per le sole domande di NASpI presentate a seguito di eventi di disoccupazione occorsi a far data dal 1° gennaio 2025. Viene, inoltre, precisato che, per eventi di disoccupazione, devono intendersi i casi di cessazione del rapporto lavorativo che pongono il soggetto in stato di disoccupazione.

Pertanto, prosegue il documento di prassi, la norma in esame può essere applicata alle sole domande di NASpI presentate a seguito di cessazione involontaria intervenuta a far data del 1° gennaio 2025.

Questo significa che al 1° gennaio del corrente anno potevano accedere alla NASpI – nel caso di necessaria presenza del requisito di cui alla lettera c-bis) ovvero nel caso in cui i lavoratori interessati avessero cessato il precedente rapporto per dimissioni o risoluzione consensuale[12] – i lavoratori che risultavano essere in forza presso il nuovo datore di lavoro almeno dal 28 settembre 2024, in quanto il nuovo requisito delle 13 settimane contributive[13] effettive, tra i 2 rapporti lavorativi, sarebbe stato rispettato.

In relazione alle istruzioni operative, è stato chiarito che in data 29 gennaio sono state portate a termine le necessarie implementazioni procedurali finalizzate all’esclusione dell’automazione delle domande di NASpI in argomento, che, pertanto, dovranno essere gestite dall’operatore di sede per consentirgli la verifica del rispetto di tutte le condizioni di cui all’articolo 3, comma 1, D.Lgs. 22/2015. Dal 7 febbraio 2025, l’istruttoria delle domande provvede in automatico a verificare il requisito delle 13 settimane tra la cessazione del rapporto di lavoro terminato con dimissioni o risoluzione consensuale[14] e la data di cessazione involontaria per cui si chiede la NASpI.

Ove soddisfatto il requisito, il sistema procederà alla determinazione della durata e della misura della prestazione secondo gli ordinari criteri. Viene ulteriormente precisato che “la novella legislativa, infatti, è da riferire esclusivamente alla ricerca del requisito contributivo delle 13 settimane laddove la posizione dell’assicurato presenti tutte le condizioni” del richiamato comma 1.

Qualora, invece, non venisse soddisfatto il requisito delle 13 settimane, i lavoratori si vedranno respingere la domanda di NASpI con la seguente motivazione: “Assenza 13 settimane di contribuzione dall’ultima cessazione volontaria”.

 

In conclusione

Nonostante la finalità di contrasto degli abusi sia ampiamente condivisibile, quello che non lo è riguarda le disparità di trattamento che si verificheranno per effetto dell’estromissione dai soggetti beneficiari dei lavoratori c.d. dimissionari, quando molti di loro non hanno posto in essere comportamenti atti a ottenere un’indebita provvidenza.

Il rischio ulteriore riguarda il limite che, seppur non in maniera diretta, viene posto alla flessibilità lavorativa intesa quale opportunità per i lavoratori di variare il soggetto datoriale andando a cogliere nuove occasioni lavorative. In passato, al lavoratore, per dimettersi, sarebbe bastata la sottoscrizione della lettera di assunzione con la clausola del preavviso, che, indipendentemente da quanto effettivamente lavorato, in caso di mancato superamento per mano del datore di lavoro, consentiva al lavoratore di accedere alla NASpI. Da gennaio 2025, in teoria, tale facoltà è riservata esclusivamente ai lavoratori con un’elevata specializzazione – ovvero figure apicali – in quanto per tali soggetti la contrattazione collettiva nazionale di lavoro, in genere, prevede periodi di prova eccedenti le 13 settimane. In tali casistiche, ove il rapporto di lavoro venisse risolto dal soggetto datoriale per mancato superamento della prova stessa – dopo aver prestato attività per almeno 13 settimane – il lavoratore interessato potrebbe accedere alla provvidenza, proprio perché il requisito delle 13 settimane – ex lettera c-bis) – è stato maturato nel corso del periodo di prova.

Per quanto riguarda, infine, gli operatori di settore, professionisti in primis, fermo rimanendo che l’atteggiamento elusivo passato non abbia trovato il loro favore, l’unica vera attenzione che dovranno porre, ove si trovino a dover promuovere l’esodo di lavoratori – per consentire loro di maturare i requisiti della pensione grazie alla fruizione della NASpI – riguarda la preventiva verifica del requisito di cui alla lettera c-bis), in quanto, altrimenti, potrebbe accadere di aver favorito l’esodo di soggetti che, di fatto, non accederanno alla NASpI, così infrangendo le loro aspettative. Ove la quantificazione dell’incentivo all’esodo, come avviene in questi casi, fosse accettata esclusivamente a seguito della contrapposizione dei benefici derivanti dalla NASpI, si potrebbe aprire un contenzioso, promosso dal lavoratore, volto a far venir meno gli effetti dell’atto conciliativo, in quanto il suo nuovo unico interesse diventerebbe quello di rientrare il prima possibile a lavoro per maturare i requisiti di accesso alla pensione.

[1] L. 207/2024.
[2] Con l’articolo 19, Collegato Lavoro (L. 203/2024) è stato introdotto il comma 7-bis all’articolo 26, D.Lgs. 151/2015.
[3] Pubblicata in G.U. della Repubblica Italiana, Serie Generale n. 305 del 31 dicembre 2024, S.O. n. 43, in vigore con effetto dal 1° gennaio 2025.
[4] Articolo 5, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. 22/2015.
[5] D.Lgs. 22/2015.
[6] Come modificato dall’articolo 1, comma 40, L. 92/2012.
[7] Ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa , ex articolo 3, Parte II, L. 604/1966.
[8] Articolo 18, comma 8, L. 300/1970.
[9] O al padre lavoratore che ne beneficia, in alternativa alla madre, per tutta la durata spettante a quest’ultima o per la parte residua che le sarebbe spettata, nelle seguenti ipotesi: morte o grave infermità della madre; abbandono del bambino da parte della madre; affidamento del bambino al padre in via esclusiva – c.d. congedo di paternità alternativo, ex articolo 28, D.Lgs. 151/2001. Il padre ha un diritto autonomo alla fruizione del congedo di paternità, riconosciuto anche se la madre non è (o non è stata) lavoratrice oppure è lavoratrice autonoma con diritto alla relativa indennità di maternità prevista dall’articolo 66 del medesimo articolato normativo.
[10] Del D.Lgs. 151/2001, rubricato “Congedo di maternità”.
[11] Il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova ossequia il requisito dettato dall’articolo 3, comma 1, lettera a), D.Lgs. 22/2015.
[12] La disposizione in argomento fa salve le ipotesi delle dimissioni per giusta causa, delle dimissioni intervenute nel periodo tutelato della maternità e della paternità di cui all’articolo 55, D.Lgs. 151/2001, nonché le ipotesi di risoluzione consensuale intervenute nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7, L. 604/1996, che, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 3, D.Lgs. 22/2015, consentono l’accesso alla prestazione.
[13] Ai fini del diritto, si precisa che sono da considerare utili tutte le settimane retribuite, se rispettato il minimale settimanale, nonché quelle utili ai fini del perfezionamento del requisito, come previsto nella circolare Inps n. 94/2015. Si ricorda, infine, che le settimane contributive devono essere considerate dalla domenica al sabato.
[14] Eccezion fatta per le ipotesi derogatorie già ampiamente esaminate nel presente elaborato.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.

Ammortizzatori sociali nel 2025