La nuova norma sulle dimissioni e i dubbi interpretativi
di Evangelista Basile Scarica in PDF
Lo scorso 12 gennaio 2025 è entrato in vigore il Collegato Lavoro (articolo 19, L. 203/2024), in cui, fra le altre cose, è stata inserita una norma relativa alla fattispecie delle c.d. dimissioni per fatti concludenti. Secondo la legge, infatti, l’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal Ccnl applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni, può dar adito alla risoluzione del rapporto di lavoro. L’effetto risolutivo può, tuttavia, essere inibito laddove il lavoratore dimostri l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
In tal caso, quindi, non trovano applicazione le formalità previste dall’articolo 26, D.Lgs. 151/2015, in caso di dimissioni volontarie, il lavoratore non potrà accedere al trattamento di NASpI e il datore di lavoro non dovrà pagare il c.d. ticket licenziamento. Dal punto di vista pratico, invece, non troverà applicazione – non trattandosi per l’appunto di licenziamento per giusta causa – la procedura di cui all’articolo 7, L. 300/1970, e dunque non sarà necessaria una preventiva contestazione disciplinare.
Tuttavia, vi sono altre formalità che il datore è chiamato a espletare, fra cui in primis la comunicazione alla sede territoriale INL, che a sua volta può verificare la veridicità della comunicazione medesima.
Alcuni dubbi sono sorti – oltre che dal punto di vista procedurale a cui ha cercato di rispondere l’Inps con il messaggio n. 639/2025 – anche in merito all’interpretazione della nuova norma. Come visto, infatti, l’articolo 19 fa riferimento al termine previsto dalla contrattazione collettiva. Diversi autori hanno, quindi, ricondotto, forse un po’ frettolosamente, la locuzione alle norme collettive in tema di licenziamento per assenza ingiustificata.
A parere di chi scrive, posto che peraltro esistono contratti collettivi che prevedono esplicitamente delle casistiche per cui le dimissioni possano ritenersi avvenute per fatti concludenti, la soluzione non può essere quello di applicare analogicamente le norme previste in materia di licenziamenti. A corroborare questa tesi, inoltre, è proprio il termine di 15 giorni previsto residualmente dalla medesima norma che non coincide con alcuno dei termini previsti dalla contrattazione collettiva.
Sarebbe, quindi, necessario un intervento delle parti sociali che possa prevedere esplicitamente e in maniera chiara detta fattispecie, che, trattandosi comunque di un’ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro, porta inevitabilmente con sé delle potenziali criticità, per le quali è bene che vi sia certezza del diritto, almeno collettivo.