Le novità in materia di appalto del D.L. anti-referendum
di Andrea MelchiorriIl D.L. 17 marzo 2017, n. 25, emanato per evitare i referendum popolari previsti per il 28 maggio, è per lo più noto per l’abrogazione del “sistema dei voucher”. Esso contiene, tuttavia, anche importanti disposizioni sulla responsabilità solidale in materia di appalti, che alterano significativamente gli spazi di intervento riservati alla contrattazione collettiva nonché le garanzie processuali che la precedente disciplina riconosceva all’impresa committente.
Premessa
Con il D.L. 25/2017 il Governo è intervenuto con il chiaro e dichiarato intento di fermare la consultazione popolare, promossa dalla Cgil, che si sarebbe dovuta tenere il 28 maggio 2017.
Molta attenzione è stata dedicata dal mondo dell’informazione alla materia del lavoro accessorio e alla soppressione, fatta eccezione per il regime transitorio, del sistema dei c.d. voucher. Tuttavia, il D.L. interviene anche su un’altra materia, tutt’altro che secondaria per gli operatori del diritto del lavoro, e che merita particolare attenzione: la disciplina della responsabilità solidale in materia di appalti.
È bene però mettere fin d’ora in chiaro due questioni.
La prima è che, analogamente a quanto accaduto con il lavoro accessorio, l’intervento legislativo ha recepito per intero le proposte di abrogazione oggetto del quesito referendario promosso dalla Cgil.
La seconda riguarda, invece, in maniera specifica il regime di solidarietà negli appalti. Al contrario di quanto si è avuto occasione di leggere in alcuni frettolosi articoli di stampa, il D.L. non reintroduce nel nostro ordinamento la responsabilità solidale negli appalti. È bene chiarire, infatti, che questa tutela è sempre rimasta ferma nell’evoluzione normativa dell’articolo 29, D.Lgs. 276/2003.
Uno sguardo d’insieme: dicesi Jobs Act, leggasi riforma Fornero
Prima di scendere nell’esame di merito delle novità, è interessante però fare una prima valutazione complessiva delle disposizioni in materia di appalti contenute nell’articolo 2, D.L. 25/2017.
Gli interventi abrogativi disposti dal D.L. possono essere distinti in due tipologie:
- una prima tipologia di intervento abroga la disposizione che consentiva alla contrattazione collettiva di individuare procedure negoziali alternative alle tutele offerte dalla legge. Si tratta, quindi, di una norma che interviene sulla contrattazione collettiva, limitandone gli ambiti di intervento in materia di solidarietà negli appalti;
- la seconda tipologia, invece, riguarda profili di natura processuale e abroga le regole speciali precedentemente contenute nell’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, che disciplinavano il litisconsorzio necessario e il c.d. beneficium ordinis.
Anche in questo caso, allora, è possibile esprimere una considerazione di ordine generale. Nonostante sia stato comunemente affermato che i referendum erano stati promossi contro il c.d. Jobs Act, se si guarda invece all’evoluzione normativa dell’articolo 29, D.Lgs. 276/2003, si scopre che le disposizioni abrogate in materia di appalti sono state introdotte dalla c.d. riforma Fornero e, più precisamente, dall’articolo 4, comma 31, L. 92/2012.
In effetti, nessun decreto attuativo del Jobs Act (L. 183/2014) ha apportato modifiche alla disciplina della solidarietà per i crediti da lavoro negli appalti e il D.L. 25/2017 non ha fatto altro che ripristinare la disciplina dell’articolo 29, D.Lgs. 276/2003 vigente prima di luglio 2012.
Il rafforzamento dell’inderogabilità della norma e l’eliminazione del ruolo della contrattazione collettiva
Venendo, quindi, al merito della prima tipologia di intervento abrogativo compiuto dall’articolo 2, D.L. 25/2017, come si è detto, esso elimina la possibilità per la contrattazione collettiva nazionale di individuare procedure di controllo e di verifica della regolarità dell’appalto alternative alle tutele offerte dalla legge.
Di seguito la disposizione abrogata: “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,”.
In altre parole, l’intervento abrogativo ha rafforzato il carattere inderogabile della norma, poiché viene meno la possibilità per la contrattazione collettiva nazionale di introdurre discipline alternative a quella di legge.
Va detto che non risulta che questa facoltà sia mai stata concretamente esercitata dalla contrattazione collettiva nazionale. Forse anche per questo colpisce la scelta dei promotori del referendum di abrogare questa disposizione, come a voler escludere in radice che la contrattazione collettiva, di cui la Cgil è comunque attore importante, possa anche solo “in potenza” prevedere procedimenti di tutela dei lavoratori alternativi alla disciplina di legge.
A ben vedere, però, c’è ancora una disposizione che consente alla contrattazione collettiva di intervenire in deroga alla disciplina della solidarietà negli appalti: l’articolo 8, D.L. 138/2011.
I contratti di prossimità disciplinati dalla norma possono infatti disciplinare, anche in deroga all’articolo 29, D.Lgs. 276/2003, il regime della solidarietà negli appalti.
Eppure, tanto la contrattazione collettiva nazionale quanto quella di livello aziendale risultano accomunate da un vizio di fondo, che è, con ogni probabilità, alla base dell’assenza in concreto di regolamentazioni negoziali in materia: questi livelli di contrattazione non sono in grado di rappresentare entrambe le parti coinvolte nell’appalto, ovvero sia l’impresa committente che quella appaltatrice.
Si tratta di un forte limite, che emerge con estrema chiarezza con riferimento alla contrattazione ex articolo 8 citata: il contratto collettivo aziendale sottoscritto dall’impresa committente non può produrre effetti nei confronti dei lavoratori dell’appaltatrice, che, tuttavia, proprio in ragione del regime di solidarietà, potranno rivolgersi all’impresa committente medesima per il soddisfacimento dei propri crediti lavorativi. Non dissimile è la situazione per il contratto collettivo nazionale, laddove in molti casi è possibile distinguere facilmente settori in cui le imprese sono prevalentemente committenti da settori in cui le imprese sono tradizionalmente appaltatrici.
Ciò non significa che la contrattazione collettiva non possa svolgere un ruolo importante, dovendosi semmai riflettere su quale sia il livello della contrattazione collettiva più idoneo a definire procedure di controllo e di verifica della regolarità dell’appalto. Forse il livello confederale sarebbe in grado di affrontare questa sfida e di compiere uno sforzo importante affinché la regolarità del pagamento dei crediti lavorativi possa essere controllata già nel corso dello svolgimento del contratto di appalto, con notevoli vantaggi non solo per la certezza delle vicende giuridiche, ma con benefici concreti per le imprese, i lavoratori e gli enti previdenziali coinvolti.
Profili processuali: il litisconsorzio
Si è detto che la seconda tipologia di norme interessate dall’intervento abrogatore del Governo è di natura processuale.
Infatti, il D.L. 25/2017 dispone l’abrogazione del secondo periodo dell’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, che prevedeva che: “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori”.
La norma disponeva un’ipotesi di c.d. litisconsorzio necessario ovvero l’obbligo che l’impresa committente dovesse essere necessariamente chiamata in giudizio insieme all’impresa appaltatrice nel caso in cui il lavoratore promuova un’azione nei confronti di quest’ultima.
La norma svolgeva quindi una funzione di garanzia, consentendo fin dall’inizio del processo l’inclusione nel contraddittorio processuale anche dell’impresa committente, che potrebbe successivamente essere chiamata al pagamento in forza della responsabilità solidale.
Con ogni probabilità, a seguito dell’abrogazione disposta dal D.L. 25/2017, questa importante garanzia processuale è destinata a venir meno.
In assenza di una norma espressa, non è infatti mai facile definire in quali circostanze il litisconsorzio si atteggi come necessario ovvero debba essere considerato come meramente facoltativo.
Secondo la migliore dottrina: “il giudizio su un rapporto sostanziale plurilaterale postula la necessarietà del litisconsorzio ogni qual volta la pronuncia su di esso non possa essere efficace, neppure tra i partecipanti al giudizio, se non in quanto resa nei confronti di tutti i soggetti”.
La questione è ampiamente discussa, ma l’orientamento prevalente in giurisprudenza ritiene meramente facoltativo il litisconsorzio in caso di obbligazioni solidali.
In definitiva, l’effetto dell’abrogazione sembra quello di relegare nuovamente la responsabilità solidale di cui all’articolo 29, D.Lgs. 276/2003, tra le ipotesi di litisconsorzio facoltativo, con grave limitazione delle garanzie processuali per l’impresa committente.
Quest’ultima, infatti, potrebbe venire a conoscenza della pretesa del lavoratore solamente a giudizio concluso, nel momento in cui il lavoratore decidesse di rivolgersi alla committente per il pagamento dei propri crediti, con evidente grave pregiudizio per le proprie possibilità di difesa.
Profili processuali: il beneficium ordinis
Il cuore dell’intervento abrogativo effettuato dall’articolo 2, D.L. 25/2017 è, tuttavia, con ogni probabilità la soppressione del terzo e del quarto periodo dell’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003.
Tali disposizioni prevedevano che “Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori”.
Le norme disciplinavano il c.d. beneficium ordinis (o excussionis) ovvero la possibilità per l’impresa committente, debitrice solidale, di essere chiamata al pagamento solo dopo che il lavoratore avesse infruttuosamente aggredito in via esecutiva il patrimonio dell’appaltatore o degli eventuali subappaltatori.
Il beneficium ordinis si configura, quindi, come un vero e proprio regime speciale, poiché, introducendo un ordine per l’escussione dei debitori solidali, non consente al creditore di rivolgersi indistintamente a uno qualsiasi dei debitori per il pagamento dell’intera obbligazione. Tale regime speciale è disciplinato dal codice civile con riferimento all’istituto della fideiussione, dove, analogamente all’ipotesi della solidarietà negli appalti, i debitori non sono tutti sullo stesso piano rispetto all’obbligazione, poiché il secondo creditore solidale svolge un ruolo di garanzia a favore del creditore (articolo 1944 cod. civ.).
Non sembrano esserci dubbi, quindi, che a seguito dell’intervento abrogativo del D.L. 25/2017 si ritorni al regime generale e che, pertanto, il lavoratore potrà rivolgersi, fin dall’inizio e per il pagamento dell’intero, direttamente all’impresa committente.
Si tratta di una scelta che non valorizza la specificità del ruolo di garante dell’impresa committente rispetto a un credito che, comunque, nasce da un rapporto di lavoro a lei estraneo, in quanto intercorrente tra impresa appaltatrice e lavoratore.
D’altra parte, la precedente formulazione normativa era chiara nel precisare che la sentenza di accertamento produceva effetti nei confronti di tutti gli obbligati (inclusa, quindi, l’impresa committente) e che, pertanto, il beneficium ordinis riguardava, come ovvio, unicamente la fase esecutiva, introducendo un ordine di escussione delle garanzie patrimoniali che comunque rimanevano a presidio delle pretese creditorie del lavoratore.
Il rischio è, quindi, che l’abrogazione possa favorire anche atteggiamenti opportunistici da parte dell’impresa appaltatrice, che rischia di essere sottratta dalle sue responsabilità a fronte della possibilità del lavoratore di rivolgersi direttamente all’impresa committente.
A quest’ultima, relegata in una situazione di mera soggezione anche a causa del venir meno dell’importante garanzia processuale del litisconsorzio necessario, non resta che lo strumento, notoriamente inefficace, dell’azione di regresso nei confronti dell’impresa appaltatrice.
Considerazioni conclusive
Nell’esprimere una valutazione conclusiva dell’intervento in materia di appalti contenuto nell’articolo 2, D.L. 25/2017, non si può non mettere in evidenza come esso rappresenti un passo indietro sotto diversi punti di vista:
- l’eliminazione della possibilità per la contrattazione collettiva di individuare procedure in grado di prevenire le situazioni di irregolarità (che, invece, avrebbe richiesto un intervento di sostegno);
- vengono ridotte le garanzie processuali per le imprese committenti, riducendo il contraddittorio attraverso il superamento del litisconsorzio necessario;
- impresa committente e appaltatrice vengono messe sullo stesso piano nell’ambito del processo esecutivo, non valorizzando le differenti situazioni giuridiche in campo.
Sarebbe stato auspicabile che la legge di conversione fosse ritornata sui suoi passi e avesse ripristinato le garanzie che il D.L. ha fatto venire meno per evitare il referendum popolare. Prospettiva non realizzatasi proprio a ragione dell’obiettivo politico che il Governo ha voluto perseguire con il provvedimento medesimo e che ha ritenuto di rilievo tale da rinvenire le ragioni di necessità e urgenza che giustificano l’intervento mediante lo strumento del decreto legge.
Se così è, acquista ancora maggior rilievo il lavoro che Confindustria ha avviato con l’Inps per la definizione di una procedura che, attraverso il sistema telematico dell’Istituto, avverta in tempo reale l’impresa committente di un’eventuale irregolarità contributiva nei rapporti di lavoro intercorrenti tra l’impresa appaltatrice e i lavoratori assegnati all’appalto.
Un tentativo concreto di affermare una nuova logica in questa materia che, con vantaggi evidenti per tutti i soggetti coinvolti, si fonda sul criterio della prevenzione anziché affidarsi a rimedi riparatori ex post, che troppo spesso intervengono quando ormai la situazione ha raggiunto livelli di criticità difficilmente sanabili.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.
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