31 Ottobre 2024

Novità in arrivo dal Collegato Lavoro

di Luca Vannoni Scarica in PDF

Con l’approvazione alla Camera del DdL 1532-bis (diventato al Senato DdL 1264), c.d. Collegato Lavoro, e tenuto conto dell’intenzione della maggioranza al Governo di procedere rapidamente alla definitiva promulgazione, è ormai prossima l’entrata in vigore di una serie di disposizioni che interessano l’amministrazione del personale.

Sicuramente tra le più attese vi è la previsione di una nuova forma di risoluzione del rapporto di lavoro determinata dall’assenza ingiustificata del lavoratore.

L’articolo 19, mediante l’aggiunta del nuovo comma 7-bis all’articolo 26, D.Lgs. 151/2015, prevede, infatti, che l’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal Ccnl applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni, comporti la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore.

In sostanza, viene tipizzata una specifica fattispecie di recesso determinata dall’assenza ingiustificata del lavoratore e imputata alla volontà di quest’ultimo, in deroga alla modalità telematica che connota di validità le dimissioni del lavoratore.

Nel passaggio alla Camera, rispetto al DdL originario, oltre a portare a 15 giorni il limite di tolleranza, sono state aggiunte 2 disposizioni volte ad attenuare i rischi di un meccanismo presuntivo.

In primo luogo, non si determina la risoluzione del rapporto di lavoro se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.

In secondo luogo, il datore di lavoro deve dare comunicazione alla sede territoriale ITL dell’assenza ingiustificata “che può verificare la veridicità della comunicazione medesima”.

Ad ogni modo, è evidente che l’assenza ingiustificata del lavoro, nel momento in cui si supera la soglia di tolleranza prevista dal Ccnl, smette di essere un’ipotesi di licenziamento disciplinare, dove il datore di lavoro doveva essere soggetto attivo nella gestione, sia nella procedura disciplinare sia nei relativi oneri contributivi (ticket NASpI), ed emigra in una specifica fattispecie ricondotta alla volontà del lavoratore.

Sicuramente potranno riproporsi, anche in questa nuova veste, contrasti in ordine all’interpretazione di concetti complessi come la forza maggiore, così come non sembra ben calibrata la comunicazione all’ITL – chiamata a verificare la veridicità dell’assenza ingiustificata – ma un effetto indubbio la novella sembra raggiungerlo: precludere assenze funzionali al licenziamento disciplinare e all’accesso fraudolento alla NASpI.

Continuando la rassegna delle principali novità, nel corso del passaggio alla Camera, al DdL Collegato Lavoro è stata aggiunta un’interessante disposizione in materia di lavoro stagionale.

Su tale fattispecie si sta, infatti, consolidando un orientamento secondo cui, in estrema sintesi, i picchi stagionali di attività continuative non possono essere considerate come lavoro stagionale.

Ad aprire la breccia la Corte di Cassazione, sentenza n. 9243/2023, dove si è affermato che nel concetto di attività stagionale, riferibile all’impresa, possano comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto e non anche a situazioni aziendali collegate a esigenze di intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggior richieste di mercato o da altre ragioni di natura economica produttiva. Tali incrementi di domanda ricorrenti in determinati periodi dell’anno, etichettati come stagionali in tanti accordi collettivi nazionali e di secondo livello, sono stati considerati rientranti nella diversa nozione delle c.d. punte di attività lavorativa.

Sulla stessa frequenza vi è poi anche la recente Cassazione Civile, Sezione Lavoro, n. 16313/2024, che conferma che il concetto di attività stagionale dev’essere inteso in senso rigoroso e, quindi, comprensivo delle sole situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate e organizzate per un espletamento temporaneo (limitato a una stagione), le quali sono aggiuntive rispetto a quelle normalmente svolte dall’impresa.

Con l’articolo 11 del DdL Collegato Lavoro si tenta ora di disinnescare tale contenzioso: in particolare si prevede, con norma di interpretazione autentica dell’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 81/2015, che rientrino nelle attività stagionali, oltre a quelle indicate dal D.P.R. 1525/1963, “le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro, ivi compresi quelli già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge, stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella categoria, ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015”.

Attraverso la norma di interpretazione autentica, dal carattere quindi retroattivo, si vuole chiudere il contenzioso sorto ed evitare una sua propagazione in settori come quello dei pubblici esercizi. Con tutta probabilità, come avvenuto nel recente passato (trasferta/trasfertismo), avremo la contezza della reale tenuta della norma solo dopo un ulteriore applicazione giurisprudenziale, chiamata in primo luogo a verificare che non vi siano elementi di novità e, di fatto, si sia proceduto solamente nello scolpire un significato compatibile con il tenore letterale della norma interessata, al fine di porre rimedio a una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo. L’esito non sembra essere scontato, tenuto conto che l’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 81/2015, non sembra riconoscere alla contrattazione un ruolo nella definizione della stagionalità: “le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi”; da un punto di vista letterale, le “ipotesi individuate dai contratti collettivi” non sono legate alle attività stagionali, ma alla disapplicazione delle norme sul c.d. stop and go.

Rimanendo sempre nell’alveo del lavoro a termine, l’articolo 13 interviene in materia di periodo di prova (mediante modifica dell’articolo 7, comma 2, D.Lgs. 104/2022), fissandone un meccanismo certo di determinazione: fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, “la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a 6 mesi, e a 30 giorni, per quelli aventi durata superiore a 6 mesi e inferiore a 12 mesi”.

Le soglie massime individuate legislativamente, pertanto, prevalgono su periodi di durata superiori previsti dalla contrattazione collettiva.

In materia di somministrazione, l’articolo 10, DdL Collegato Lavoro, innanzitutto sopprime la disciplina transitoria, attualmente valida fino al 30 giugno 2025, che consentiva di superare il limite di 24 mesi di durata complessiva della missione (o delle missioni) a tempo determinato presso un soggetto utilizzatore, se il contratto di lavoro tra agenzia di somministrazione e lavoratore, originariamente stipulato a tempo determinato sia seguito da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra la stessa agenzia e il lavoratore.

Sono, poi, introdotte 2 nuove fattispecie di esenzione dal computo dei limiti quantitativi relativi alla somministrazione a tempo determinato di lavoratori:

  • lavoratori il cui contratto di lavoro con il somministratore sia a tempo indeterminato;
  • alcune fattispecie di missione corrispondenti a fattispecie di contratto a tempo determinato escluse dall’applicazione dei limiti quantitativi per il ricorso ai contratti di lavoro dipendente a termine.

A chiudere questa breve rassegna, rimandando agli approfondimenti che saranno pubblicati prossimamente su questa rivista, si richiama l’articolo 7, DdL Collegato Lavoro, dove si estende la sospensione della decorrenza di termini relativi ad adempimenti tributari a carico dei liberi professionisti iscritti ad Albi professionali – attualmente prevista per i casi di ricovero ospedaliero, decesso, parto prematuro e interruzione di gravidanza – anche ai casi di parto della libera professionista ovvero di ricovero ospedaliero del figlio minorenne che necessita di assistenza da parte del genitore libero professionista.

 

Percorso Formativo 2024/2025