9 Settembre 2022

Noi siamo ciò che scriviamo

di Michela Trada - Esperta in Brand Journalism e strategie editoriali

Che potere hanno le parole scritte nell’epoca della voce, degli algoritmi, dei Reels e delle dirette su Twitch?

Quello di definire ciò che siamo e ciò che facciamo. La scrittura, infatti, rimane il primo mezzo di indicizzazione su Google, ma, soprattutto, sapere utilizzare al meglio la parola scritta è fondamentale per il proprio personal branding ancor più, forse, che per il proprio business. Se ci pensiamo, però, ci accorgiamo che, in fondo, la gente non acquista un semplice prodotto, ma la persona e/o l’azienda che lo rappresenta. Ogni volta, pertanto, che ci approcciamo alla stesura di un testo o, semplicemente, alla realizzazione di un post sui social dobbiamo fermarci a pensare quanto quel messaggio sia davvero in linea con il nostro “io”, con il nostro “sé” più profondo e quanto ci rappresenti.

Non è necessario essere presenti online H24 se non si ha nulla da dire: i nostri contenuti devono essere significativi. Noi dobbiamo diventare i media di noi stessi, ma media di valore e non atti ad acquisire like che durano dalla sera alla mattina. Non sono i like, infatti, a determinare quanto siamo bravi: è il volano che generiamo dai nostri testi il vero segreto del successo. Questi due anni di pandemia ci hanno insegnato che, per farci conoscere, basta una connessione a internet; ci hanno, però, anche dimostrato come fake news e un’informazione approssimativa e superficiale non siano la panacea di tutti i mali, anzi. Il lettore chiede impegno per una causa, chiede coerenza e veridicità, rispetto e competenza. 

Il nostro blog oggi rappresenta il nostro giornale proprietario e non abbiamo bisogno di intermediari per pubblicare i nostri contenuti né per deciderne gli argomenti; allo stesso modo, il canale Youtube assume il ruolo della nostra televisione personale e il podcast quello della nostra radio, sempre sintonizzata sulle nostre frequenze. Dulcis in fundo, ecco i social, la cassa di risonanza cross-mediale di quanto sopra citato.

Se ci siamo, quindi, trasformati nei giornalisti di noi stessi, imparare a utilizzare nel modo corretto le tecniche giornalistiche per comunicare i nostri valori e le informazioni inerenti alla nostra mission, la nostra vision e la nostra competenza, è certamente doveroso.

Il brand journalism è il nostro fido scudiero in questa avventura; se è vero che sono i brand journalist a comunicare un’azienda e un’impresa è, altresì, inconfutabile che le medesime tecniche del giornalismo della marca possono essere apprese se esercitate con continuità. 

Grazie al brand journalism, infatti, il focus si sposta dalla mera vendita di prodotto tipica del content marketing a una logica informativa in cui il centro dell’attenzione non siamo più noi, ma il nostro pubblico, i nostri lettori.

Che contenuto informativo potrebbe essere utile alla mia community per risolvere un determinato problema o per avere più “sapere” rispetto all’universo che caratterizza il mio campo d’azione? 

Questa la domanda principale da porsi prima di iniziare a scrivere sulle nostre pagine social o sul nostro blog personale/aziendale. E ancora: questo contenuto mi rappresenta? Sono sincero in questo scritto? Sono coerente con la mia vision e i miei valori? Come il giornalista divulga le notizie a un pubblico per il bene della comunità, cosi noi dobbiamo farlo con noi stessi al fine di lasciare uno spunto significativo per il nostro destinatario e un contenuto può dirsi significativo solamente quando riesce a influenzare le decisioni prese da uno stakeholder, un consumatore, un utente.

Le Rosa – Michela Trada