Mobilità e discriminazione: onere della prova a carico delle lavoratrici
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 3 febbraio 2016, n.2113, ha deciso che, in tema di comportamenti datoriali discriminatori, l’art.40, D.Lgs. n.198/06, nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, promossi dal lavoratore o dal consigliere di parità, non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario, prevedendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art.19, direttiva CE n.2006/54, l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma ciò solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso.
Pertanto è escluso che la mobilità avviata dall’azienda possa essere dichiarata illegittima per discriminatorietà in difetto di cifre precise sul numero delle donne licenziate rispetto alla manodopera occupata per mansione, prova che spetta alle ricorrenti.