13 Maggio 2021

Il merito che non ci meritiamo

di Riccardo Girotto

Un tema assorbito parzialmente dall’organizzazione del lavoro e parzialmente dalle politiche retributive è, senza dubbio, quello del merito, al quale in questi ultimi anni si è aggiunta l’ulteriore questione del genere, di fatto inscindibilmente collegata.

Il problema di riuscire a premiare il merito viene massimizzato nel pubblico impiego, eppure l’impiego privato non può considerarsi esente da tale criticità. Assunto che l’obiettivo di premiare i più bravi convince tutti, il buon proposito si scontra con la realtà del diritto del lavoro vivente, che impone la regolamentazione dei passaggi pratici tramite limiti precisi alla libera azione imprenditoriale, quasi a sfiduciare la capacità del datore di lavoro nell’individuare il talento meritevole.

I percorsi premiali tutelati tendono, infatti, all’osservazione del lavoratore quale membro di una collettività, ove i diritti di tutti devono essere garantiti al cospetto del datore di lavoro, ma i diritti del singolo meritevole nei confronti dei colleghi, di sicuro, non incontrano pari assistenza tra i principi giuslavoristici.

Si pensi a tutti gli interventi di matrice sindacale: nel trasferimento d’azienda il dogma massimo è il passaggio di tutti i lavoratori, non solo i più produttivi; nel licenziamento collettivo la scelta dei soggetti interessati all’esodo segue regole ben precise, ardue da superare nel corso del confronto, che non garantiscono certo la permanenza in forza dei migliori.

I premi di risultato possono rappresentare un aspetto utile ad agire sul merito, ma necessariamente, per fruire della detassazione, favor peraltro circoscritto ai lavoratori, l’impatto dovrà essere generalizzato, con difficile emersione dei soggetti che trainano il gruppo destinatario della provvista premiale.

Non si discosta il welfare, ove la generalità come valore resta il viatico per garantire un bonus escluso dalla contesa netto Vs costo.

Potrà, quindi, il datore di lavoro operare tramite la leva retributiva pura?

Sicuramente potrà farlo individualmente, garantendo compensi ben più apprezzabili rispetto quanto disposto dall’articolo 36, Costituzione, valutando con attenzione il dissuasore del costo in aumento. Se penalizzare i meno meritevoli pare un percorso a ostacoli in un campo minato, si consideri la vigilanza esercitata dalla procedura disciplinare e dall’articolo 2013, cod. civ.; premiare i singoli resta, quindi, prerogativa esclusiva dei player davvero capienti.

Tutto quanto fin qui esposto non mira a criticare le misure descritte e protagoniste di un sofferto diritto positivo, piuttosto vuole spostare l’attenzione su un soggetto che spesso, troppo spesso, viene criticato per la sua distanza dal concetto del merito: l’imprenditore.

Non pare davvero credibile la logica secondo la quale un imprenditore privato esclude dai percorsi di carriera persone che ritiene meritevoli, danneggiando di fatto la propria azienda. Il punto è che le tutele collettive si pongono su un piano necessario e ampiamente condivisibile, ma non possono certo incidere in modo efficace sulle valorizzazioni del puro merito. Un imprenditore che vuole premiare un dipendente si troverà sempre a dover scalare la parete del costo, optando spesso, purtroppo troppo spesso, per la rinuncia al proposito.

Dal mio punto di vista, una proposta di alleggerimento fisco-previdenziale della retribuzione premiale, anche individuale, unitamente alla conferma delle misure esistenti, che, ribadisco, sostengono diverso scopo, risulterebbe il vero viatico per la spinta al merito.

Alleggerire il cuneo su cifre che altrimenti non verrebbero erogate non crea alcun danno alla collettività, agevola, anzi, la liberazione di risorse utili ad aumentare il potere d’acquisto, senza ledere le misure che già esistono e vanno confermate. Un aiuto concreto al merito come prova di fiducia al fiuto dell’imprenditore, un aiuto concreto al merito che, a quanto pare, al momento non ci meritiamo proprio.

 

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