L’isolamento fiduciario evitabile è assenza ingiustificata
di Evangelista BasileCon ordinanza del 21 gennaio 2021, il Tribunale di Trento si è pronunciato sulla legittimità di un licenziamento per giusta causa intimato a seguito di una prolungata assenza ritenuta ingiustificata, dovuta all’isolamento fiduciario di una dipendente che si era recata all’estero durante le ferie.
La pronuncia è particolarmente interessante, poiché la società, oltre a contestare alla lavoratrice la totale programmazione in mala fede delle proprie assenze (prima dell’isolamento aveva, infatti, usufruito senza soluzione di continuità di ferie, congedo straordinario COVID, permessi ex L. 104/1992, malattia del figlio), le ha addebitato di essersi recata in Albania nonostante la consapevolezza dei noti divieti e rischi legati agli spostamenti e del conseguente obbligo di quarantena al rientro e di essersi, pertanto, disinteressata completamente dei problemi organizzativi che avrebbe potuto creare con il proprio comportamento (formalmente legittimo, seppur sostanzialmente abusivo del diritto).
Il giudice trentino ha avallato completamente la tesi della datrice di lavoro, dichiarando legittimo il licenziamento, poiché la lavoratrice si è autonomamente posta nella condizione di impossibilità di rendere la prestazione, avendo ben potuto evitare di effettuare il viaggio all’estero durante le proprie ferie.
Il Tribunale, infatti, ha ritenuto che esigere che la ricorrente si astenesse dal recarsi in Albania non costituisca affatto un’illegittima limitazione dell’esercizio del diritto alle ferie.
Le esigenze di sanità pubblica hanno comportato, infatti, per ampi strati della popolazione italiana (ma, si vuole dire, mondiale) il sacrificio di numerosi diritti della personalità anche costituzionalmente tutelati, in funzione del contrasto alla perdurante situazione di pandemia.
Nel caso di specie, inoltre, il comportamento della lavoratrice rileva tanto dal punto di vista oggettivo (la prolungata assenza e le evidenti disfunzioni organizzative provocate) quanto dal punto di vista soggettivo (la noncuranza della lavoratrice nei confronti delle esigenze aziendali, alle quali “ha manifestamente anteposto i propri interessi personali”).
La pronuncia citata, del tutto condivisibile, è una delle prime in tema di gestione del rapporto di lavoro e pandemia (un altro paio si sono avute in relazione a licenziamenti per motivi oggettivi posti in essere in vigenza del divieto): l’emergenza sanitaria ha, infatti, per certi versi riscritto il diritto del lavoro, ponendo nuovi dubbi e stabilendo nuovi equilibri fra imprese e lavoratori, che, inevitabilmente, varcheranno le soglie dei Tribunali.
Sarà interessante capire se l’interpretazione del giudice di Trento verrà poi avallata anche in sede di impugnazione. In un momento così incerto, infatti, anche la già flebile certezza del diritto rischia di subire nuovi colpi.
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