Licenziamento per gmo: è onere del datore provare l’impossibilità di repêchage
di Redazione![](https://www.eclavoro.it/wp-content/uploads/2020/06/giustizia12.jpg)
La Cassazione Civile, Sezione Prima, con ordinanza 18 gennaio 2022, n. 1386, ha ritenuto che, ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’articolo 3, L. 604/1966, richiede non solo la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso e la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali diretti a incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati a una migliore efficienza ovvero a incremento di redditività, ma anche l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse: elemento, quest’ultimo, che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. Spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale: questo, dunque, significa che il datore ha l’onere di provare che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti.
Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia: