6 Novembre 2024

Licenziamento dei dirigenti e procedura collettiva

di Edoardo Frigerio Scarica in PDF

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 21299/2024, ha confermato la necessità d’includere i dirigenti nelle procedure di consultazione e informazione previste per i licenziamenti collettivi, come stabilito dalla normativa europea, riconoscendo l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare consultazioni sindacali anche con il sindacato rappresentativo dei dirigenti, e ciò a prescindere se la procedura sia attivata dall’impresa, ai sensi dell’articolo 4, oppure dell’articolo 24, L. 223/1991. La normativa italiana è stata, infatti, modificata per conformarsi alla Direttiva europea, che richiede che tutti i lavoratori, inclusi i dirigenti, siano inclusi nelle procedure di licenziamento collettivo, e questo anche in caso di riduzione del personale nel contesto della liquidazione giudiziale.

 

La sentenza n. 21299/2024 della Corte di Cassazione

A seguito di una procedura di licenziamento collettivo, portata a conclusione da un’impresa operante nel territorio toscano, un dirigente ha impugnato la risoluzione del rapporto di lavoro, poiché tale procedura non aveva rispettato nei propri confronti le regole previste dalla L. 223/1991. Così, dopo un’avversa pronuncia di I grado, la Corte d’Appello di Firenze ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento del dirigente, condannando la società datrice di lavoro al pagamento dell’indennità stabilita dall’articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991, in questo caso nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

In particolare, la Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto l’applicabilità, nei confronti dei dirigenti, dell’articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991 – che prevede, in caso di licenziamento di uno o più dirigenti, nell’ambito di un licenziamento collettivo, d’includere le relative organizzazioni sindacali nella procedura di consultazione e informazione con “appositi incontri” – sia in riferimento alla procedura prevista dall’articolo 24, L. 223/1991 (licenziamenti collettivi per “riduzione del personale”) sia a quella disciplinata dall’articolo 4, L. 223/1991 (licenziamenti collettivi c.d. post mobilità) per l’impresa ammessa al trattamento straordinario d’integrazione salariale.

I giudici fiorentini hanno derivato tali conclusioni in base a un’interpretazione conforme al diritto UE del suddetto articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991, introdotto dall’articolo 16, L. 161/2014, in esito a procedura d’infrazione aperta contro l’Italia per non aver previsto la normativa nazionale l’applicabilità delle garanzie procedurali stabilite dalla Direttiva 98/59/CE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi) anche al licenziamento dei dirigenti.

La società datrice di lavoro è ricorsa, quindi, al giudizio di legittimità, deducendo violazione o falsa applicazione degli articoli 4, comma 1, e 24, commi 1 e 1-quinquies, L. 223/1991, per aver i giudici d’appello errato nel ritenere applicabile alla controversia l’articolo 24, L. 223/1991, fattispecie nettamente distinta rispetto alla procedura di cui all’articolo 4, L. 223/1991.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21299/2024 in commento, ha evidenziato come la Corte gigliata abbia correttamente ritenuto che il recesso impugnato dal dirigente fosse riconducibile alla procedura di licenziamento collettivo che aveva coinvolto tutti i dipendenti dell’azienda e che la società avesse conseguentemente l’obbligo di svolgere la consultazione sindacale anche con il sindacato rappresentativo dei dirigenti.

Secondo la Cassazione – poiché il nucleo della Direttiva europea sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi è rappresentato dagli obblighi d’informazione, di consultazione e procedurali che devono caratterizzare tali procedure (obblighi recepiti anche in Italia con la L. 223/1991) – non v’è traccia nella disciplina europea di una distinzione tra licenziamenti collettivi intimati all’esito di una sospensione dell’attività produttiva di Cigs ovvero disposti per riduzione del personale senza tale previa sospensione, dovendosi in entrambi i casi procedere al preventivo iter d’informazione e consultazione.

Così, pur non essendo le procedure di licenziamento collettivo di cui agli articoli 4 e 24, L. 223/1991, uguali o assimilabili a tutti gli effetti, è viceversa corretto che, in tutti i casi di licenziamento collettivo, dette procedure d’informazione e consultazione si debbano applicare anche ai dirigenti.

Concludono, quindi, gli Ermellini, nella pronuncia in commento, che: “a tale obbligo l’impresa che intenda procedere a licenziamento collettivo anche di dirigenti deve attenersi, informando e consultando le loro rappresentanze, tanto nei casi di licenziamenti collettivi per riduzione del personale quanto nei casi di licenziamenti collettivi post-mobilità; ciò perché l’esclusione di tale categoria di dipendenti dalle procedure previste dalla normativa europea è risultata in contrasto con la stessa e ha determinato una specifica modifica normativa proprio per rispettare gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea”.

Licenziamento del dirigente, quindi, viziato, con conferma della condanna nei confronti del datore di lavoro al pagamento dell’indennità come prevista dall’articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991[1].

 

Riassunto delle puntate precedenti: i dirigenti e il licenziamento collettivo

Il rapporto di lavoro dirigenziale presenta, come noto, notevoli peculiarità: in primis, a differenza delle altre categorie di lavoratori descritte dall’articolo 2095, cod. civ. (ovvero operai, impiegati e quadri), esso non è protetto dalla legislazione limitativa dei licenziamenti individuali, in base a quanto previsto dall’articolo 10, L. 604/1966, che non prevede, appunto, l’applicazione della normativa che regola i licenziamenti individuali ai dirigenti. Tradizionalmente, infatti, il dirigente rientra tra quelle residue categorie di lavoratori (insieme, ad esempio, ai lavoratori domestici, ai lavoratori che hanno raggiunto l’età pensionabile, a quelli in prova, etc.) licenziabile ad nutum, per libera volontà dell’imprenditore.

Si parla, infatti, per la categoria dirigenziale, di giustificatezza del licenziamento individuale del dirigente, categoria giuridica di natura esclusivamente contrattuale, non essendo, come detto, applicabili per la categoria dirigenziale i criteri normativi di giustificato motivo soggettivo od oggettivo di licenziamento stabiliti dalla L. 604/1966[2]. Il fondamento della giustificatezza del licenziamento del manager si dovrebbe allora ricercare all’interno dei contratti collettivi della categoria, ma anche i relativi contratti collettivi non definiscono esattamente la nozione di giustificatezza del licenziamento, prevedendo solo la quantificazione della c.d. indennità supplementare a favore del dirigente in caso di licenziamento ingiustificato, senza, viceversa, definire gli esatti contorni della giustificatezza stessa.

Il concetto di libera recedibilità nel rapporto di lavoro dirigenziale, anche – o, si potrebbe dire, soprattutto – nelle situazioni di licenziamento per motivi economici, ha fatto sì che (sino al 2014) il Legislatore italiano, in analogia alla deroga dalle norme limitative dei licenziamenti individuali, escludesse la categoria dei dirigenti dall’applicabilità della normativa che regola i licenziamenti collettivi: ciò si desumeva chiaramente dagli articoli 4, comma 9, e 24, L. 223/1991, in cui si rilevava come i soggetti destinatari dei licenziamenti collettivi, raggiunto l’accordo sindacale o esaurita la procedura, fossero gli operai, gli impiegati e i quadri eccedenti, con l’esclusione appunto della categoria dirigenziale.

Tale esclusione dei dirigenti dalla procedura di licenziamento collettivo è stata modificata nel 2014, a seguito di sentenza della Corte di Giustiza UE[3], che ha censurato la Repubblica Italiana per l’esclusione normativa dei manager dalla procedura. Così, la Legge europea di quell’anno (L. 161/2014) – oltre ad aver stabilito l’inclusione anche dei dirigenti nel computo delle soglie dei 15 dipendenti, oltre la quale scatta l’obbligo di applicare le norme in materia di licenziamento collettivo, nonché dei 5 lavoratori, da licenziare nei 120 giorni, a partire dalla quale è obbligatoria l’applicazione della normativa di cui alla L. 223/1991 – ha modificato l’articolo 24, L. 223/1991, prevedendo (comma 1-quinquies) che le disposizioni in tema di licenziamento collettivo si applichino anche ai dirigenti, con la nota procedura d’informazione e consultazione sindacale (con la particolarità che la norma prevede che, in caso di esubero di dirigenti, “si procede in appositi incontri”). All’individuazione del dirigente in esubero si procede poi con i criteri di legge (anzianità aziendale, carichi di famiglia, esigenze organizzative, tecniche e produttive), oppure in base ai criteri stabiliti dagli accordi sindacali intervenuti nell’ambito della procedura.

Sul punto, poi, la Cassazione ha precisato che, in forza dell’articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991, la comunicazione d’avvio della procedura e la previa consultazione delle organizzazioni sindacali di categoria, maggiormente rappresentative sul piano nazionale, trova applicazione anche qualora vi siano coinvolti lavoratori con qualifica dirigenziale, così adempiendo lo Stato italiano agli obblighi derivanti dalla Direttiva 98/59/CE[4].

L’attuale articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991, prevede – come si evince dall’ordinanza n. 21299/2024 in commento – che, nel caso vi siano, nel licenziamento collettivo del dirigente, violazioni procedurali ovvero dei criteri di scelta, il datore di lavoro è tenuto al pagamento in favore del dirigente di un’indennità risarcitoria in misura compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla natura e gravità della violazione (fatte salve le diverse previsioni sulla misura dell’indennità contenute nei contratti e negli accordi collettivi applicati al rapporto di lavoro)[5].

Tale indennità, tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, è graduabile dal giudice tenendo conto della natura e della gravità della violazione[6]. È chiaro, quindi, che, in caso di mero vizio procedurale, il giudicante sarà orientato al riconoscimento di un’indennità più prossima al minimo; in caso di violazione dei criteri di scelta, viceversa, l’indennità riconoscibile sarà destinata inevitabilmente a salire. Bisogna, però, ovviamente considerare che, anche nel caso di riconoscimento dell’indennità minima nella misura di 12 mensilità, l’impatto economico per il datore di lavoro è sempre comunque rilevante, atteso gli alti livelli retributivi che caratterizzano il rapporto di lavoro dirigenziale e, altresì, gli ampi periodi di preavviso di cui hanno già diritto i manager in caso di licenziamento.

Un ulteriore elemento di complicazione è, inoltre, rappresentato dall’ultimo capoverso dell’articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991: esso dispone che sono “fatte salve le diverse previsioni sulla misura dell’indennità contenute nei contratti e negli accordi collettivi applicati al rapporto di lavoro”.

Tale norma può essere interpretata nel senso che, qualora il contratto collettivo (ma anche, in ipotesi, quello individuale) preveda indennità più elevate in caso di licenziamento “ingiustificato” del dirigente, tali previsioni prevarrebbero se più favorevoli per il dirigente. Al riguardo, come detto, l’attuale Ccnl Dirigenti industria ha risolto il problema alla radice, escludendo (all’articolo 19) che le tutele apprestate dal contratto collettivo si applichino in caso di licenziamento collettivo.

Più complessa la posizione dei Dirigenti commercio, in quanto tale esclusione non è prevista dal relativo contratto collettivo: pertanto, in caso d’invalidità del licenziamento collettivo del dirigente del commercio, è necessario valutare la natura della violazione e la tutela – sia legale sia contrattuale – astrattamente adottabile, per poi individuare quella più favorevole applicabile al dirigente[7].

Anche i dirigenti devono, quindi, essere inclusi nella procedura di licenziamento collettivo, avendo, come visto, la L. 223/1991, come modificata dalla L. 161/2014, esteso l’applicazione della procedura di licenziamento collettivo anche ai dirigenti quando il licenziamento – in aziende con almeno 15 dipendenti – riguardi almeno 5 dipendenti, inclusi i dirigenti, nell’arco di 120 giorni. Così la procedura dev’essere seguita anche se il licenziamento coinvolga solo uno o più dirigenti, indipendentemente dal numero totale di lavoratori implicati[8].

L’articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991, ha poi, come detto, previsto che – sebbene la procedura di licenziamento collettivo per i dirigenti segua le stesse regole previste per gli altri lavoratori – quando il licenziamento collettivo coinvolge sia dirigenti sia altre categorie di lavoratori, l’esame congiunto deve avvenire separatamente attraverso incontri specifici.

 

Licenziamento collettivo dei dirigenti e liquidazione giudiziale

Come noto, l’articolo 189, D.Lgs. 14/2019, prevede che, alla data d’apertura della liquidazione giudiziale, i rapporti di lavoro siano sospesi e che il curatore abbia facoltà di subentrare nei rapporti[9] oppure di risolverli.

Conformemente a quanto previsto per le imprese in bonis, si considera collettivo e non individuale il licenziamento dell’impresa in liquidazione giudiziale nei casi in cui il curatore:

  1. all’esito del ricorso alla Cigs, non possa rimpiegare tutti i lavoratori coinvolti;
  2. non abbia fatto ricorso alla Cigs e debba licenziare almeno 5 lavoratori (compresi i dirigenti) nell’arco di 120 giorni.

Così, la procedura di licenziamento collettivo, come prevista dall’articolo 189, comma 6, D.Lgs. 14/2019, s’inserisce nel contesto della procedura di liquidazione giudiziale e prevede specifiche modalità per il licenziamento collettivo, che si differenziano dalla disciplina generale prevista dalla L. 223/1991.

L’articolo 189, D.Lgs. 14/2019, si applica ai licenziamenti collettivi nell’ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, quando l’impresa si trova in una situazione d’insolvenza, con conseguente riduzione totale o parziale del personale dipendente. La procedura si applica anche ai dirigenti, se ricorrono le condizioni previste dagli articoli 4, comma 1, e 24, comma 1, L. 223/1991, se l’impresa in crisi deve licenziare uno o più manager; in tal caso, l’esame congiunto si svolge in apposito incontro (articolo 189, comma 6, lettera e), D.Lgs. 14/2019).

Nel caso in cui “il curatore intenda procedere a licenziamento collettivo”, la procedura inizia con una comunicazione scritta alle organizzazioni sindacali e all’ITL competente. Questa comunicazione deve contenere le ragioni che giustificano i licenziamenti, il numero dei lavoratori coinvolti, i tempi previsti per l’attuazione dei licenziamenti e le eventuali misure sociali di accompagnamento.

Entro 7 giorni dalla data del ricevimento della comunicazione, le Rsa ovvero le Rsu e le rispettive associazioni formulano per iscritto al curatore istanza per esame congiunto; l’esame congiunto può essere convocato anche dall’ITL, nel solo caso in cui l’avvio della procedura di licenziamento collettivo non sia stato determinato dalla cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo. Qualora nel predetto termine di 7 giorni non sia pervenuta alcuna istanza di esame congiunto o lo stesso, nei casi in cui è previsto, non sia stato fissato dall’ITL in data compresa entro i 40 giorni dal ricevimento della comunicazione, la procedura s’intende esaurita.

Se perviene l’istanza d’esame congiunto, è prevista la fase di consultazione, che ha lo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza di lavoratori e le possibilità di un loro diverso rimpiego. La fase di consultazione deve avvenire entro un termine massimo di 10 giorni (salvo proroghe autorizzate dal giudice delegato per ulteriori 10 giorni). Durante questa fase, le parti possono esaminare, come detto, le cause della crisi e valutare possibili soluzioni alternative ai licenziamenti, come il ricorso a contratti di solidarietà o altre forme di riduzione del personale meno traumatiche.

Raggiunto o meno l’accordo sindacale, il curatore può procedere con l’intimazione scritta dei licenziamenti, ma deve rispettare i criteri di scelta previsti dalla legge o dagli eventuali accordi sindacali. Entro 7 giorni, il curatore – giusta la previsione dell’articolo 4, comma 9, L. 223/1991 – deve comunicare all’ITL, all’Ufficio regionale e alle organizzazioni sindacali l’elenco dei lavoratori licenziati con i dettagli degli stessi e le modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta, ovviamente nel caso il curatore non proceda al licenziamento della totalità dei dipendenti.

La procedura di licenziamento collettivo, nel contesto della liquidazione giudiziale, è, quindi, caratterizzata da una maggiore rapidità rispetto alla disciplina generale, con l’obiettivo di ridurre i tempi e i costi delle procedure concorsuali. Tuttavia, essa mantiene l’obbligo di consultazione sindacale e di trasparenza nelle comunicazioni, per garantire un equilibrio tra le esigenze di ristrutturazione aziendale e la tutela dei diritti dei lavoratori.

Lo stesso Codice della crisi ha, infine, novellato l’articolo 24, comma 1-quinquies, L. 223/1991, prevedendo l’applicazione per i dirigenti, anche in caso di violazione delle procedure di licenziamento collettivo nel contesto della liquidazione giudiziale, della tutela rappresentata dall’indennità risarcitoria in misura compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Pertanto, anche in caso di liquidazione giudiziale, il mancato invio al sindacato dei dirigenti della comunicazione d’apertura della procedura, l’omissione dei procedimenti di consultazione nonché l’omessa o viziata comunicazione finale, di cui all’articolo 4, comma 9, L. 223/1991, e, infine, la violazione dei criteri di scelta, può comportare la condanna del datore di lavoro all’indennità di cui sopra.

 

[1] Tale comma prevede, nello specifico, che “quando risulta accertata la violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, nonché di violazione delle procedure di cui all’articolo 189, comma 6, del codice della crisi e dell’insolvenza o dei criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, l’impresa o il datore di lavoro non imprenditore è tenuto al pagamento in favore del dirigente di un’indennità in misura compresa tra dodici e ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla natura e alla gravità della violazione, fatte salve le diverse previsioni sulla misura dell’indennità contenute nei contratti e negli accordi collettivi applicati al rapporto di lavoro”. Si deve tenere, inoltre, presente, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 ovvero in regime di jobs act, l’articolo 10, D.Lgs. 23/2015, che prevede: “in caso di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all’articolo 2 del presente decreto. In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12 nonché di violazione delle procedure di cui all’articolo 189, comma 6, del codice della crisi e dell’insolvenza, o dei criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, si applica il regime di cui all’articolo 3, comma 1

[2] Salvo, ovviamente, le ipotesi estreme di licenziamento discriminatorio, ritorsivo oppure intimato in forma orale, nei quali casi il dirigente è assimilato, quanto a tutele, alle altre categorie di lavoratori in base all’articolo 18, comma 1, St. Lav. (abbastanza inspiegabilmente, tale previsione non è stata replicata dal Legislatore all’interno dell’articolo 2, D.Lgs. 23/2015 (le “tutele crescenti”) per i nuovi assunti dal 7 marzo 2015.

[3] CGUE, causa C-596/2012.

[4] Cassazione, n. 2227/2019.

[5] Si ricorda che, per i dirigenti di aziende industriali, l’articolo 19, Ccnl del 2019, ha previsto la non applicabilità delle disposizioni in tema d’indennità supplementare nei casi di licenziamento collettivo.

[6] Ad esempio, Tribunale di Roma, n. 6469/2018, ha ritenuto che fosse congruo quantificare nella misura minima di 12 mensilità l’indennità a favore di un dirigente del commercio, licenziato collettivamente senza coinvolgimento della rispettiva sigla sindacale, ma senza violazione dei criteri di scelta, quindi con la sussistenza di meri vizi procedurali.

[7] Sempre Tribunale di Roma, n. 6469/2018, ha evidenziato, per i dirigenti del commercio, che, qualora sussistano violazioni della procedura di licenziamento collettivo o dei criteri di scelta e, contestualmente, il licenziamento non risulti giustificato, la tutela sanzionatoria di cui all’articolo 5, L. 223/1991, non si aggiunge alla tutela contrattuale, trovando esclusivamente applicazione la tutela più favorevole.

[8] Così Corte d’Appello di Brescia, n. 118/2021.

[9] Con le modalità e i limiti previsti dai commi 3 e 4, articolo 189, Codice.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza

Licenziamento individuale del lavoratore. Il GMO