7 Gennaio 2025

Lavoro stagionale: la norma di interpretazione autentica

di Luca Vannoni Scarica in PDF

Con la pubblicazione nella G.U. n. 303 del 28 dicembre 2024, la L. 13 dicembre 2024 n. 203 (c.d. collegato lavoro), a decorrere dalla data di entrata in vigore, il 12 gennaio 2025, apporterà una serie di interessanti novità in materia di lavoro subordinato.

Tra esse, non si può non citare quanto previsto in materia di lavoro a termine stagionale (articolo 11).

Su tale fattispecie si era, infatti, recentemente consolidato un orientamento secondo cui i picchi stagionali di attività continuative non potessero essere considerate come lavoro stagionale: la Corte di Cassazione, sentenza n. 9243/2023, ha affermato che nel concetto di attività stagionale, riferibile all’impresa, possano comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto e non anche a situazioni aziendali collegate a esigenze di intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggior richieste di mercato o da altre ragioni di natura economica produttiva. In un momento storico dove la contrattazione collettiva si vede riconosciute in via esclusiva fondamentali competenze di regolamentazione, anche in riferimento al contratto a termine, la recente pronuncia della Corte di Cassazione aveva considerato una disposizione della contrattazione collettiva, che individuava un’ipotesi di stagionalità “inidonea a dar corpo alla disposizione di legge perché non contiene alcuna specificazione di quali siano le attività che devono essere ritenute stagionali in quanto preordinate ed organizzate per l’espletamento limitato ad una stagione”.

Inoltre, a ulteriore incremento delle proprie motivazioni, la Suprema Corte aveva evidenziato come il D.P.R. 1525/1963, riferimento passato e presente per definire le attività stagionali, contenesse “un’elencazione da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica delle attività da considerarsi stagionali. Si tratta di indicazioni che depongono nel senso della necessaria tipizzazione dell’attività stagionale che, in imprese che svolgono continuativamente la loro attività, deve essere chiaramente identificata. Ne consegue che la contrattazione collettiva, autorizzata a individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la delega al divieto di superamento del limite massimo di 36 mesi di durata cumulativa dei contratti a termine, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità”.

Si ricorda preliminarmente che, nell’ordinamento vigente, non esiste una nozione diretta e specifica di stagionalità, che possa essere utilizzata per qualificare i rapporti di lavoro in via generale come tali, ma solo richiami per specifici regimi in deroga.

Nel momento in cui fu redatto il D.Lgs. 81/2015, all’articolo 21, comma 2, dove si prevede l’obbligo di un periodo cuscinetto di 10 o 20 giorni nelle riassunzioni a termine, si inserì come soggetti in deroga a tale disposizione: “i lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525”.

A tale disposizione si agganciano, mediante un espresso richiamo, una serie di ulteriori deroghe, legate al limite massimo per successione di 24 mesi (articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015) e al limite quantitativo di utilizzo dei contratti a termine, 20% o diverso limite previsto nella contrattazione collettiva (articolo 23, comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Come era facilmente prevedibile, il Decreto sulle attività stagionali non ha mai emesso il suo primo vagito e, quindi, come parametro normativo il riferimento è all’oramai datato D.P.R. 1525/1963, emanato al fine di specificare un elenco delle attività stagionali che legittimassero l’utilizzo del contratto a tempo determinato, allora regolato dal L. 230/1962.

Con l’articolo 11 del Collegato Lavoro (L. 203/24) si tenta ora di disinnescare tale contenzioso: in particolare, si prevede, con norma di interpretazione autentica dell’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 81/2015, che rientrino nelle attività stagionali, oltre a quelle indicate dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, “le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro, ivi compresi quelli già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge, stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella categoria, ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015”.

Attraverso la norma di interpretazione autentica, dal carattere retroattivo, si vuole chiudere il contenzioso sorto ed evitare una sua propagazione in settori come quello dei pubblici esercizi. Con tutta probabilità, come avvenuto nel recente passato (trasferta/trasfertismo), avremo poi la contezza della reale tenuta della norma solo dopo un ulteriore applicazione giurisprudenziale, chiamata a verificare che non vi siano elementi di novità e, di fatto, si sia proceduto solamente nello scolpire un significato compatibile con il tenore letterale della norma interessata, al fine di porre rimedio ad una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo.

Diritto del lavoro