1 Febbraio 2018

Il lavoro intermittente e le complicate interpretazioni del R.D. 2657/1923

di Luca Vannoni

Con il primo interpello del 2018, datato 30 gennaio 2018, il Ministero del lavoro torna su una questione che già in passato si era posta: come interpretare l’elenco contenuto nel R.D. 2657/1923, al fine di individuare le ipotesi di ricorso al lavoro intermittente, nel caso in cui il lavoratore non sia in possesso dei requisiti di età o  non vi sia espressa regolamentazione da parte della contrattazione collettiva. Siamo ormai vicini ai 100 anni di vigenza, e forse sembra brutto chiudere la parabola a tale provvedimento – sopravvissuto grazie all’assenza di un nuovo decreto del Ministero del lavoro, richiamato come unico canale di regolamentazione dal D.Lgs. 81/2015 –  la cui seconda vita sembra più nascere da un malinteso che da una cosciente regolamentazione, sorto in vigenza del D.Lgs. 276/2003: il regio decreto, richiamato dalla notte dei tempi da un D.M. del 2004, infatti individua attività di lavoro discontinuo, cioè che alternano fasi di lavoro a fasi di attesa, che è cosa ben diversa dalle esigenze di concentrare in momenti circoscritti e incerti nel loro verificarsi, determinando così prestazioni intermittenti, che dovrebbero essere la spina dorsale del contratto di lavoro intermittente, così come regolamentato dagli articoli 13 e ss., D.Lgs. 81/2015. Essendo considerate discontinue dal R.D. 2657/1923 alcune attività, puntualmente specificate, del commercio e del turismo, il provvedimento ha comunque dato la possibilità di utilizzo di tale contratto, creando tuttavia alcuni dubbi interpretativi relativi alle attività previste, risalenti a una fase storica mesozoica rispetto all’odierno contesto produttivo.

Il caso sottoposto al Ministero del lavoro dal Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro riguarda le attività di ristorazione senza somministrazione non operanti nel settore dei pubblici esercizi, bensì in quello delle imprese alimentari artigiane, quali pizzerie al taglio, rosticcerie etc., in particolare se possano rientrare tra le attività indicate al punto n. 5 della tabella allegata al R.D. 2657/1923:  “camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, carrozze letto, carrozze ristoranti e piroscafi, a meno che nelle particolarità del caso, a giudizio dell’Ispettorato dell’industria e del lavoro, manchino gli estremi di cui all’art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955.”

Secondo il Ministero, vi sono 2 condizioni nel citato punto 5: una di tipo soggettivo e una di tipo oggettivo. In tal senso è necessario che i lavoratori siano impiegati come camerieri o personale di servizio e di cucina e che l’attività sia resa nelle strutture espressamente richiamate. Pertanto, con un’interpretazione rigida, si legge nell’interpello che “il tenore letterale … non consente di estendere la nozione di esercizi pubblici in genere anche alle imprese artigiane alimentari non operanti nel settore dei pubblici esercizi”.

L’interpello prosegue richiamando l’esclusione dal limite delle 400 giornate per i pubblici esercizi, insieme ai settori del turismo e dello spettacolo, e i relativi provvedimenti di prassi: nell’interpello n. 26/2014 era stato chiarito che tale deroga è rivolta sia ai datori di lavoro iscritti alla CCIAA con il codice attività Ateco 2007 – corrispondente ai citati settori produttivi – sia ai datori di lavoro che, pur non rientrando nel Codice Ateco dei settori in questione, svolgano attività proprie del turismo, pubblici esercizi e spettacolo applicando i relativi contratti collettivi.

Pertanto, smentendo l’assunto inizialmente affermato nell’interpello, si legge nelle conclusioni che “le imprese alimentari artigiane possono stipulare contratti di lavoro intermittente ai sensi del punto 5 della tabella allegata al Regio Decreto n. 2657/1923 solo se operano nel settore dei “pubblici esercizi in genere”, tenuto anche conto dei criteri di individuazione già richiamati nel citato interpello n. 26 del 2014”. È forse rimasta nella tastiera del Ministero la specificazione delle conseguenze, cioè che è sufficiente, in assenza di classificazione Ateco, svolgere attività del turismo o pubblici esercizi e applicare i relativi contratti, in caso contrario non si capirebbe il richiamo fatto all’interpello del 2014. Ad ogni modo, stante l’anzianità del R.D., sarebbe sicuramente auspicabile una lettura delle attività che possano essere oggetto di lavoro intermittente slegata dal contesto in cui esse siano svolte, come già avvenuto in passato per i commessi, se non impatta sulle mansioni: non si vede perché il pizzaiolo della pizzeria possa essere intermittente mentre non possa esserlo quello di una pizzeria al taglio artigiana.

 

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