15 Ottobre 2019

L’amministratore di Srl può essere anche dipendente della stessa società?

di Roberto Lucarini

Una domanda sul tema dei rapporti di lavoro, alla quale non è sempre facile rispondere, è la seguente: può un soggetto, che ricopre la carica di amministratore di società, intrattenere al contempo, con l’ente gestito, un rapporto di lavoro dipendente?

In prima battuta a molti viene da dare risposta negativa; edinvece non è detto.

L’Inps, stavolta in maniera meritoria, ha offerto un’interessante punto di vista su tale dilemma, a mezzo del messaggio n. 3359/2019; in questo modo l’Istituto, recependo gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni, sembra aprire gli occhi su un aspetto fondamentale. Ossia: non è possibile catalogare a priori una peculiare situazione tipo quella in esame, ma anzi essa va valutata – con parecchia attenzione – caso per caso.

Ciò che conta, infatti, è accertare la presenza o meno dei caratteri tipici della subordinazione: in una parola della c.d. eterodirezione. Nel caso specifico saranno da valutare i poteri effettivamente spettanti all’amministratore, al fine di poter rispondere alla domanda essenziale: il medesimo, se risulta essere anche lavoratore dipendente della società gestita, è soggetto a eterodirezione altrui? La compatibilità del doppio ruolo, a ben vedere, sta tutta nel rispondere a questa domanda.

L’intervento di prassi citato è interessante anche perché prova ad analizzare alcune figure di amministratore, cercando una soluzione sommaria per ciascuna di esse, salvo prova contraria.

Partendo dal presidente del CdA, l’Inps fa presente come “la carica di presidente, in sé considerata, non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato poiché anche il presidente di società, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale. Tale affermazione non è neppure contraddetta dall’eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi”. Poniamo, quale esempio per capirci, il caso di un CdA che abbia al suo interno uno specifico consigliere titolare di una delega per i rapporti con i lavoratori dipendenti; in tale situazione parrebbe plausibile un contratto di lavoro subordinato con il presidente del CdA, in virtù proprio dell’eterodirezione cui lo stesso risulta assoggettato.

Altra figura controversa è quella dell’amministratore delegato, per il quale occorre valutare con attenzione proprio la portata della delega concessagli. Si intuisce, in similitudine con le indicazioni sopra già esposte, come sia il concreto potere attribuibile a un determinato soggetto, e non anche astrattamente la carica ricoperta, a rendere o meno possibile la stipula, col medesimo, di un rapporto di tipo subordinato. Anche in questo caso, quindi, conta la sussistenza di un’effettiva eterodirezione. Pare ovvio che, nel caso di delega generale, con facoltà di agire senza preventivo consenso del CdA, non sarà possibile stipulare, con l’amministratore, un parallelo rapporto subordinato. L’analisi dell’ampiezza della delega, quindi, risulta di estrema rilevanza.

Anche nei casi residuali del componente del CdA o del coamministratore sarà, quindi, necessario sottoporre il caso concreto al vaglio delle caratteristiche dell’azione amministrativa dell’organo collegiale, per valutare, come ampiamente detto, che sussista una vera subordinazione.

C’è da dire che il messaggio Inps n. 3359/2019 è abbastanza strutturato, tanto che risulta complesso poterlo valutare appieno in queste brevi note. Per tale motivo ne consiglio la lettura a chi si trova di fronte a un caso controverso.

 

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