L’ambigua vicenda del lavoro agile nell’epoca del COVID-19: un evidente caso di personalità multipla!
di Marco FrisoniInsomma, la vicenda contorta del lavoro agile (o c.d. smart working) persiste e continua anche ai tempi del coronavirus, anzi, a ben vedere, proprio la venuta della drammatica emergenza epidemiologica che ha colpito così duramente il nostro Paese (ed il mondo intero) ne ha sottolineato ulteriormente gli aspetti critici e, per taluni aspetti, addirittura paradossali, se non surrealmente paradigmatici
Come noto, la legislazione emergenziale, che si è vorticosamente stratificata durante la corrente fase di crisi sanitaria (ed economica), ha individuato il lavoro agile quale strumento cruciale per fronteggiare e combattere la diffusione del contagio, di talché, sin dai primi D.P.C.M. (fonte di legiferazione di secondo rango sino ad ora misconosciuta e oramai assurta, invece, a parossistico metodo di promulgazione normativa, corroborato da tradizionale conferenza stampa televisiva o via social media) adottati in materia, si è caldamente raccomandato l’utilizzo di siffatta modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ancorché in corrispondenza di mansioni compatibili (per le attività che sono state oggetto di sospensione durante il lungo lockdown, in concreto lo smart working risultava l’unica modalità legittima e possibile di prosecuzione, ancorché a scartamento ridotto), soprattutto alla luce del fatto che l’adempimento della propria prestazione lavorativa da distanza, oltre a permettere un minimo di continuità occupazionale (e, dunque, di persistenza retributiva, con minore aggravio per la finanza pubblica discendente dal ridotto impiego degli ammortizzatori sociali), consentiva, di fatto, di ridurre la circolazione non indispensabile delle persone, anche sui mezzi pubblici ampiamente utilizzati dai lavoratori, e, in ogni caso, di evitare assembramenti ed eccessiva popolosità dei luoghi di lavoro; il tutto, peraltro, senza necessità di accordo individuale, potendo quindi il datore di lavoro disporre unilateralmente la collocazione in modalità di lavoro a distanza.
Non solo; nell’ambito della Pubblica Amministrazione, sempre durante la fase emergenziale, il lavoro agile, con riguardo a mansioni compatibili, diviene il modo ordinario di prestare le attività lavorative e, per il settore privato, con norme specifiche contenute nel Decreto Cura Italia e nel recente Decreto Rilancio, sono delineate casistiche nelle quali (giustamente), a fronte di oggettive situazioni di disagio personale o famigliare, sorge un vero e proprio diritto del lavoratore di accesso allo smart working (ovvero, una priorità nelle valutazioni datoriali) e delle quali si è già occupata recentemente la giurisprudenza (Tribunali di Bologna e Grosseto).
Un salto di qualità (certamente non immaginato) non indifferente rispetto alla situazione antecedente all’avvento del contagio da coronavirus, nel corso della quale, a causa delle criticità che caratterizzano non pochi versanti della gestione del lavoro agile (controlli a distanza, sicurezza sul lavoro, etc.) e della relativa norma di riferimento (L. 81/2017), vi è stato un timido (termine eufemistico) e diffidente approccio datoriale alla materia, portando, dunque, a una scarsa diffusione di accordi individuali e/o collettivi in materia.
Vi è, quindi, da dire che, almeno sino a quando permarrà la fase di emergenza pandemica nel nostro Paese (ad oggi, la data di vigenza è stabilita nel 31 luglio 2020 e, purtroppo, non è da escludersi un differimento), il lavoro agile manifesterà più facce della stessa medaglia, poiché potrebbe rappresentarsi sotto forma di diritto, di priorità e, soprattutto, quale misura di sicurezza discendente dall’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro di cui all’articolo 2087, cod. civ., fattispecie, quest’ultima, che impone al soggetto datoriale un’attenta ponderazione rispetto all’approccio, in questo intercalare temporale di emergenza, al lavoro agile (come facilmente intuibile, un conto è ragionare di un diritto, un altro è opinare di un dovere/obbligo ricadente in capo al datore di lavoro, anche in stretta relazione alla posizione di garanzia che lo stesso assume verso il lavoratore).
A conti fatti, in maniera inaspettata, ecco che il lavoro agile si presenta come il classico Giano bifronte (se non quadrifronte), con uno sguardo al passato, ma anche al futuro, e con una personalità multipla che richiama un personaggio, per la verità non molto noto, dei fumetti dei supereroi americani (Marvel Comics), ossia Jamie Madrox, meglio conosciuto come “uomo Multiplo”, ex membro dei noti (anche cinematograficamente parlando) X-Men, e munito del potere (o della maledizione) di potere replicare se stesso in maniera virtuale in un numero illimitato di volte.
Ecco, al di là della spericolata comparazione, l’auspicio è che, in realtà, il lavoro agile, che certamente potrebbe produrre benefici effetti di bilanciamento e contemperamento delle legittime esigenze datoriali e degli altrettanto imprescindibili bisogni di conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro da parte dei lavoratori, possa trovare, conclusasi la fase emergenziale, una propria univoca strada, anche passando attraverso una semplificazione delle disposizioni di Legge che lo presiedono.
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