La vigilanza sul contratto di apprendistato
di Carmine Santoro
L’attività ispettiva in materia di contratto di apprendistato si pone l’obiettivo di verificare che all’apprendista sia effettivamente erogata la formazione prevista dalla legge e dalla contrattazione collettiva. In mancanza della formazione sono previste conseguenze sanzionatorie diverse, secondo che l’omissione sia recuperabile, nel qual caso l’ispettore dovrà adottare il provvedimento di disposizione, ovvero non lo sia, nel qual caso il rapporto si considera a tempo indeterminato.
Nella fattispecie sanzionatoria amministrativa di cui all’art.47, co.2, D.Lgs. n.81/15, prevista per violazioni meno gravi dell’omessa formazione, la contrattazione collettiva esercita una rilevante funzione di integrazione dei principi previsti dal precetto di legge.
Le modalità generali dell’azione di vigilanza
Allo speciale contratto di lavoro che prende la denominazione di apprendistato è tradizionalmente attribuita una causa mista, di lavoro e formazione. Questa impostazione concettuale è stata accolta dal Legislatore il quale, dapprima con l’art.1, D.Lgs. n.167/11, e ora con l’art.41, co.1, D.Lgs. n.81/15, ha definito l’istituto “un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani“. In ragione di tale configurazione causale, la componente formativa è elemento essenziale del contratto, con la conseguenza che la sua insussistenza, o la sua inadeguatezza sostanziale, determina l’invalidità dello stesso e la sua “trasformazione”, ex tunc, in ordinario contratto a tempo indeterminato. In questo quadro, l’attività ispettiva in materia di apprendistato è incentrata principalmente alla verifica della genuinità del contratto, cioè della effettiva realizzazione della causa formativa del rapporto. La circolare n.5/13 del Ministero del Lavoro, come si vedrà, ha dettato rilevanti criteri guida dell’azione di vigilanza sui rapporti di apprendistato.
La verifica ispettiva in materia può scomporsi in una componente formale, diretta allo scrutinio della sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la legittima attivazione dell’apprendistato, e in una sostanziale, volta al controllo della corretta esecuzione del rapporto in riferimento soprattutto all’obbligo formativo.
Sul primo versante, quello formale, l’attività dell’ispettore è diretta al riscontro principalmente della sussistenza del piano formativo individuale, seppure solo nella nuova forma “sintetica” ora richiesta dalla legge, la cui mancanza è indizio dell’invalidità del contratto (art.42, co.1, D.Lgs. n.81/15). Non incide sulla validità, invece, la mancanza della forma scritta del contratto, richiesta dalla legge esplicitamente solo ai fini della prova e appositamente sanzionata in via amministrativa (art.47, co.2, D.Lgs. n.81/15: infra). Inoltre, per i profili amministrativi e previdenziali, l’organo accertatore si applicherà sulla verifica del corretto adempimento degli obblighi amministrativi in capo al datore di lavoro, come l’effettuazione della comunicazione preventiva di assunzione, la consegna della dichiarazione di assunzione, l’iscrizione dei dati del lavoratore sul Libro Unico del Lavoro. Infine, l’ispettore deve vigilare sul rispetto dei limiti e dei divieti posti dalla legge, quanto, ad esempio, alla durata, al numero di apprendisti che è possibile ospitare, ai requisiti ed elementi essenziali etc., secondo le varie discipline legislative (cfr. artt.43, 44 e 45, D.Lgs. n.81/15), regionali e contrattuali collettive.
Il profilo sostanziale afferisce alla verifica del rapporto tra apprendista e datore di lavoro, con specifico riguardo all’attività svolta dal primo nel contesto lavorativo di riferimento, nonché al controllo sull’effettività dell’opera del tutor, o referente aziendale, e, in particolare, se questi assista, e in che misura, il prestatore nel suo percorso di apprendimento. Va osservato, tuttavia, che, generalmente, le inosservanze relative all’attività di tale soggetto rilevano ai fini della sanzione amministrativa di cui all’art.47, co.2, D.Lgs. n.81/15 e non già della sanzione previdenziale di cui all’art.47, co.1, salvo violazioni particolarmente gravi (circolare n.5/13). Inoltre, e soprattutto, il controllo deve porsi l’obiettivo di ricercare la coerenza tra programma formativo e attività dell’apprendista, e che questa non si risolva in mera attività lavorativa.
È evidente come questi costituiscano i punti maggiormente sensibili dell’accertamento ispettivo in materia. Invero, mentre la verifica di carattere formale consiste in un mero accertamento fattuale, poiché i requisiti di legittimità sono scandagliati in relazione alla loro semplice sussistenza ‒ o insussistenza ‒ lo scrutinio sostanziale implica anche un non trascurabile grado di accertamento critico, suscettibile quindi di valutazioni diverse. In siffatto ambito, l’organo di vigilanza deve analizzare l’attività svolta dall’apprendista (cfr. ad esempio interpello n.8/07, richiamato dalla circolare n.5/13, in merito all’incidenza della pregressa attività già esercitata dal prestatore nella medesima azienda), nonché valutare se essa corrisponde, e in che misura, a quanto in proposito previsto nel programma formativo. Come si può agevolmente osservare, tale attività di analisi e comparazione comporta margini di opinabilità, più o meno ampi, che dipendono dal tipo di attività svolta in concreto dal lavoratore, dal grado di chiarezza e specificità delle previsioni del piano formativo e da tutte le altre circostanze che emergono dal caso di specie.
Tali notazioni implicano che, accanto alle due ipotesi estreme, e pacifiche, della completa coincidenza tra percorso formativo e attività dell’apprendista e, all’opposto, della loro totale divergenza, sussista una ampia “area grigia” in cui si collocano le prestazioni che rispettano solo in parte le previsioni formulate all’avvio del rapporto o i casi in cui si riscontri, ad esempio, la partecipazione discontinua del prestatore al percorso di apprendimento. Per tale motivo, analogamente a quanto avviene negli accertamenti sui rapporti di “parasubordinazione”, non è possibile stabilire in astratto se, e in che misura, un rapporto di apprendistato sia legittimo nella sua parte “sostanziale”, dipendendo tale legittimità dalle concrete risultanze dell’accertamento ispettivo, che la pratica insegna essere le più disparate. L’accertamento in parola è condotto mediante i tradizionali strumenti dell’esame della documentazione aziendale, dell’acquisizione delle dichiarazioni delle parti e degli altri soggetti informati, nel loro reciproco riscontro e nel raffronto con la documentazione aziendale stessa (art.12, co.8, Codice Deontologico Ispettivo).
Omessa formazione e conseguenze sanzionatorie
Il co.1, art.47, D.Lgs. n.81/15, prevede un peculiare e articolato meccanismo repressivo per l’ipotesi di inadempimento datoriale degli obblighi formativi assunti nei confronti dell’apprendista. La legge, invero, opera una distinzione secondo che l’inadempimento pregiudichi, o meno, le finalità formative dell’istituto; a tal proposito, il Ministero del Lavoro ha introdotto il concetto di recuperabilità della formazione omessa (circolari n.29/11 e n.5/13).
L’omessa formazione irrecuperabile ricorre in presenza dei seguenti requisiti:
- sul piano soggettivo, il datore di lavoro deve risultare l’esclusivo responsabile dell’omessa formazione, cioè l’inadempimento deve essere unicamente imputabile a lui e non, ad esempio, a disfunzioni burocratiche della Regione;
- sul piano oggettivo, l’inadempimento formativo deve risultare tale da precludere la realizzazione delle finalità dell’apprendistato.
Per tale ipotesi è prevista una speciale sanzione previdenziale, che stabilisce il calcolo del quantum debeatur in una somma corrispondente al doppio – maggiorazione del 100% – del trattamento previdenziale dovuto per il livello contrattuale dell’apprendista, senza considerare cioè l’agevolazione contributiva propria del contratto in argomento. Quindi, non solo si applica il trattamento previdenziale previsto per un lavoratore qualificato, con livello contrattuale corrispondente in concreto a quello dell’apprendista interessato, ma tale trattamento è raddoppiato. In ottemperanza al principio del ne bis in idem sostanziale, è esclusa l’applicazione di qualsiasi altra sanzione previdenziale.
Secondo la menzionata circolare n.5/13, alla fattispecie del grave inadempimento formativo devono connettersi ulteriori conseguenze sfavorevoli per il datore di lavoro inadempiente. In tal senso, il Ministero del Lavoro ha stabilito che gli ispettori del lavoro devono procedere al “disconoscimento” del rapporto di apprendistato e alla sua riconduzione alla forma comune di rapporto di lavoro, cioè al contratto a tempo indeterminato, secondo la formula di principio di cui all’art.1, D.Lgs. n.81/15. Secondo il Dicastero, tale “trasformazione” del rapporto comporta anche l’applicazione delle sanzioni amministrative previste per l’irregolare assunzione dei lavoratori subordinati, in particolare l’omessa comunicazione di assunzione al Centro per l’Impiego e l’omessa consegna al lavoratore della dichiarazione di assunzione. Tale assunto è motivato dall’incidenza sostanziale della conversione del rapporto sui requisiti dimensionali dell’impresa, sotto il profilo del computo dei lavoratori nell’ambito dell’organico aziendale. Tuttavia, esso rischia di tradursi in un’analogia in malam partem contrastante con l’art.1, L. n.689/81, quante volte gli adempimenti detti siano stati comunque eseguiti, seppure in riferimento a contratti di apprendistato poi disconosciuti. Invero, si deve notare che le disposizioni sanzionatorie puniscono l’omissione o il ritardo, e non già l’inesatto adempimento, degli obblighi amministrativi di assunzione secondo quanto sostiene lo stesso Ministero del Lavoro (nota n.8371/07).
Per l’omessa formazione “recuperabile”, che non pregiudica cioè le finalità formative, lo stesso co.1, art.47, D.Lgs. n.81/15 prevede un’ipotesi speciale di adozione del provvedimento di disposizione, previsto dall’art.14, D.Lgs. n.124/04. È da ritenere che la legge, contrariamente alla fattispecie ordinaria e generale di cui all’art.14, citato che assegna all’organo ispettivo un potere discrezionale nell’an, abbia previsto la doverosa emanazione del provvedimento al verificarsi dei presupposti stabiliti. Cosicché, accertato l’inadempimento formativo “recuperabile”, l’ispettore è tenuto all’adozione del provvedimento in questione, senza possibilità alcuna di scelta. Come osservato in dottrina, la legge richiede, in questo caso, genericamente la sussistenza di un “inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale”, senza qualificarne la consistenza qualitativa, né quantitativa. La condizione fondamentale, ai fini dell’attivazione del potere dispositivo, consiste nella oggettiva possibilità di recuperare l’obbligo formativo contrattualmente previsto nei riguardi dell’apprendista. Ne consegue che l’insufficienza del periodo di tempo, ai fini del recupero della formazione, preclude la possibilità di adottare il provvedimento di disposizione; in tal caso, resta ferma la potestà di applicare la gravosa sanzione previdenziale di cui sopra, in presenza dei requisiti visti (circolare del Ministero del Lavoro n.29/11).
La specialità del potere dispositivo nella fattispecie è dimostrata anche dalla previsione espressa di un termine per adempiere, che nell’ipotesi ordinaria di cui all’art.14, D.Lgs. n.124/04 non si riscontra. A tal proposito, il Ministero ha stabilito che l’individuazione del termine entro cui adempiere deve tener conto di quegli eventi occorsi in concreto all’apprendista durante il periodo di apprendistato che determinano un prolungamento della durata del rapporto formativo (circolare n.29/11, citata).
In merito al regime di impugnazione dell’atto, in assenza di disposizioni speciali, si deve ritenere applicabile la disciplina ordinaria. Pertanto, averso il provvedimento è possibile presentare ricorso, nel termine di 15 giorni, dinanzi al Direttore della Direzione Territoriale del Lavoro cui appartiene l’ispettore che ha adottato l’atto; il termine previsto per la decisione è di 15 giorni, trascorso il quale il ricorso stesso si intende respinto (c.d. silenzio rigetto).
Per l’ipotesi di inottemperanza alla disposizione deve ritenersi applicabile la sanzione amministrativa da € 515 a € 2.580, di cui all’art.11, co.1, D.P.R. n.520/55. Secondo un orientamento dottrinale sarebbe applicabile nell’ipotesi la diffida di cui all’art.13, D.Lgs. n.124/04, la quale consentirebbe di recuperare la formazione oggetto di disposizione, con conseguente ammissione al pagamento del minimo edittale della sanzione. Tuttavia, non sembra funzionale all’economicità procedimentale assegnare un nuovo termine di adempimento a un soggetto che ha già mostrato la volontà di non adempimento, atteso che ciò determinerebbe un’inutile duplicazione di incombenti istruttori in capo all’organo ispettivo. È così preferibile ritenere il trasgressore meritevole del solo pagamento della sanzione nella misura ridotta, ai sensi dell’art.16, L. n.689/81 (pari a € 860), come nel caso di formazione non più recuperabile.
Ulteriore conseguenza dell’inottemperanza alla disposizione deve ritenersi la “trasformazione” del contratto di apprendistato in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall’inizio, con gli effetti già descritti in relazione all’ipotesi dell’inadempimento formativo non recuperabile. Infatti, in tal caso, il datore di lavoro mostra l’intenzione di non adempimento, con conseguente pregiudizio definitivo nella formazione dell’apprendista e mancata realizzazione della causa tipica del contratto.
La violazione delle clausole contrattuali attuative dei principi legislativi
Il contratto di apprendistato è tradizionalmente materia in cui la legge ha offerto ampio spazio alla disciplina contrattuale collettiva. Nel solco di tale retaggio, già l’abrogato art.2, D.Lgs. n.167/11, e, ora, l’art.42, co.5, D.Lgs. n.81/15, dispone che la disciplina del contratto di apprendistato è rimessa, in alternativa ad appositi accordi interconfederali, ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La disciplina collettiva, tuttavia, deve osservare taluni principi fissati dalla legge, tra i quali qui rilevano:
- divieto di retribuzione a cottimo;
- possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto, o, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e proporzionata all’anzianità di servizio;
- presenza di un tutore o referente aziendale.
L’art.47, co.2, D.Lgs. n.81/15, citato, punisce con la non gravosa, sul piano della prevenzione generale, sanzione amministrativa da € 100 a € 600 il datore di lavoro che non osservi le disposizioni contrattuali collettive attuative dei principi sopra richiamati. In caso di recidiva, peraltro, la legge prevede la sanzione da € 300 a € 1.500.
La disposizione menzionata deroga all’art.51, D.Lgs. n.81, citato, poiché abilita le sole associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con ciò escludendo il livello decentrato di contrattazione dalla compartecipazione all’individuazione dell’illecito.
La previsione in esame rientra nello schema dell’integrazione funzionale tra legge e contrattazione collettiva, che contempla l’interazione delle due fonti del diritto del lavoro in vario modo combinate tra loro. Per il necessario rispetto del principio di riserva di legge (art.1, L. n.689/81), nel diritto sanzionatorio ordinariamente il Legislatore affida al contratto collettivo un ruolo limitato e sussidiario, tale per cui la legge rinvia alla fonte negoziale consentendole la deroga ai propri precetti, riservando però a sé medesima una funzione suppletiva e cedevole in mancanza della stipula, o comunque dell’applicazione, del contratto collettivo. Nell’ipotesi in questione, invece, sembra che la legge abbia affidato alla contrattazione il compito di fissare direttamente i precetti soggetti alla sanzione sopra indicata. Nondimeno, la funzione precettiva dell’autonomia collettiva non è libera, ma è delimitata dalla fissazione dei principi da parte della legge. Dunque, la parte della legge non è qui suppletiva ma, più precisamente, limitativa di precetti affidati, almeno formalmente, alla contrattazione collettiva.
Tale tecnica normativa desta qualche perplessità, poiché non rende sempre chiaro il confine tra l’intervento della fonte eteronoma e quello della fonte autonoma. In tal senso, bisogna rilevare che almeno taluni di quelli che il legislatore definisce «principi» appaiono, invece, regole precise e puntuali, che come tali non richiedono – o ne richiedono una assai limitata – attuazione. Si deve citare l’ipotesi di divieto del cottimo: trattasi evidentemente di norma imperativa la quale, per come è formulata, non ammette eccezioni, sicché è oltremodo arduo rinvenire uno spazio per la negoziazione che vada al di là di un mero richiamo. Ne discende che, in termini effettuali, il precetto da rispettare in tal caso sembra quello posto dalla legge, e da questo punto di vista non sorgerebbero criticità sistematiche di rilievo. In questa ottica si ritiene debba essere letta l’eliminazione, tra i pretesi principi da attuare in sede negoziale (cfr. art.2, co.1 dell’abrogato D.Lgs. n.167/11), della regola della forma scritta del contratto (art.42, co.1, D.Lgs. n.81/15, cit.), la quale è ora, infatti, direttamente oggetto di previsione sanzionatoria dall’art.47, co.2, cit., senza un’intermediazione contrattuale priva di significato, salvo immaginare prescrizioni contrattuali specifiche e ulteriori da ritenersi sottoposte alla sanzione di legge.
Ciò posto, vanno considerati taluni profili che potrebbero determinare criticità sistematiche e applicative nel sistema predisposto dalla legge. Per quanto improbabile nella pratica, bisogna chiedersi quali sarebbero le conseguenze, sul piano sanzionatorio, di un’omessa previsione contrattuale di attuazione dei principi detti. Invero, la legge, almeno sul piano letterale, sanziona l’inosservanza delle clausole contrattuali e non già dei “principi” legislativi di cui quelle dovrebbero costituire attuazione. Ne dovrebbe conseguire che la mancata attuazione o previsione, da parte della contrattazione, dei principi detti non dia luogo ad alcuna ipotesi sanzionatoria. Si può formulare l’ipotesi della mancata previsione negoziale collettiva del tutor aziendale: l’effettiva assenza di tale soggetto in azienda non dovrebbe essere sanzionata, poiché non si è verificata quella inosservanza del contratto collettivo letteralmente richiesta dalla legge. Se così fosse, si conferirebbe all’autonomia collettiva il potere di precludere l’operatività di sanzioni previste dalla legge, con evidente violazione del principio di legalità, sub specie di riserva di legge. Da questo punto di vista, appare lecito dubitare della legittimità costituzionale, ex art.23, Costituzione, dell’art.47, co.2, cit., nella misura in cui consente all’autonomia collettiva di elidere una fattispecie sanzionatoria prevista dalla legge. Al fine di recuperarne la compatibilità costituzionale, l’unica soluzione accettabile è adottare un’interpretazione della disposizione nel senso della sanzionabilità diretta – in assenza di apposite clausole contrattuali – dei precetti, per quanto definiti “principi”, posti dalla legge. Giusta tale interpretazione, il personale ispettivo potrebbe procedere ad accertare l’illecito applicando direttamente il precetto legislativo, pur in assenza di attuazione della legge da parte del contratto di riferimento.
Su altro versante, merita una riflessione la possibilità di specificazione, da parte della contrattazione collettiva, dei principi legislativi che non appaiono precetti già sufficientemente puntuali e operativi. La puntualizzazione negoziale potrebbe tradursi nella creazione di obblighi, in capo al datore di lavoro, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge: in tal modo, ad esempio, mentre la legge impone la semplice presenza del tutor aziendale, il contratto collettivo potrebbe prevedere specifiche e più penetranti incombenze, tali da aggravare la posizione, anche sul piano sanzionatorio, dei vertici aziendali. A titolo esemplificativo, l’Accordo per la disciplina dell’apprendistato del settore del Turismo del 14 maggio 2012 (in www.fareapprendistato.it) contiene un art.1 (Disciplina generale), che prevede tutti gli istituti di cui ai principi suddetti, specificando l’attività di assistenza all’apprendista del tutor: le relative funzioni devono essere svolte da un lavoratore qualificato, che deve essere formato per 8 ore, deve appartenere a una categoria di inquadramento contrattuale pari o superiore a quella cui accederà l’apprendista, ovvero aver svolto attività lavorative coerenti con quelle dell’apprendista per un periodo non inferiore a due anni, e, infine, non può affiancare più di 5 apprendisti contestualmente. In tale contesto, la violazione di una o più prescrizioni, che specificano l’attività del tutor, dovrebbe dar luogo all’applicazione delle sanzioni. Appare utile rammentare, in tema, che il Ministero del Lavoro (circolare n.5/13, citata) ha precisato che in caso di violazioni riguardanti la posizione del tutor aziendale, la sanzione da applicare non è quella, civile, del disconoscimento del contratto di apprendistato per mancata formazione dell’apprendista, bensì quella amministrativa in discorso di cui all’art.7, co.2, D.Lgs. n.167/11 (ora art.47, co.2, D.Lgs. n.81/15).
Riguardo alla regola del “sottoinquadramento”, l’art.7 dell’Accordo per i dipendenti da Agenti immobiliari del 24 aprile 2012 (in www.fareapprendistato.it) prevede i seguenti livelli di inquadramento professionale e il conseguente trattamento economico per gli apprendisti:
- 2 livelli inferiori a quello in cui è inquadrata la mansione professionale per cui è svolto l’apprendistato per la prima metà del periodo di apprendistato;
- 1 livello inferiore a quello in cui è inquadrata la mansione professionale per cui è svolto l’apprendistato per la seconda metà del periodo di apprendistato.
Anche in questo caso le previsioni negoziali si traducono, ai sensi dell’art.42, co.5, D.Lgs. n.81, citato, in altrettanti precetti, da ritenersi presidiati dalla sanzione di cui all’art.47, co.2, citato.
Da ultimo si deve ritenere che le violazioni amministrative in argomento, in quanto previsioni speciali, escludono l’applicazione di altre sanzioni e, in particolare, della “trasformazione” dell’apprendistato in rapporto tempo indeterminato.
Altre violazioni
La “trasformazione” ex tunc del rapporto si verifica, invece, in ulteriori due ipotesi.
La prima è prevista all’art.42, co.8, D.Lgs. n.81/15: se il datore di lavoro che occupa almeno 50 dipendenti ha assunto apprendisti in apprendistato professionalizzante senza rispettare l’obbligo di preventiva stabilizzazione di almeno il 20% degli apprendisti occupati nei 36 mesi precedenti, gli apprendisti – tranne il primo – assunti senza rispettare l’obbligo di stabilizzazione sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. Il disconoscimento dei contratti di apprendistato instaurati in violazione dei limiti avviene secondo il criterio cronologico, in virtù del momento della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro; in tal caso, però, non si applica la sanzione previdenziale prevista per la conversione del rapporto formativo, connessa esclusivamente a un inadempimento sul piano formativo (circolare n.5/13).
La seconda ipotesi riguarda i limiti numerici previsti per la legittima assunzione di apprendisti (cfr. art.42, co.7). A tal proposito, il Ministero ha disposto che qualora il personale ispettivo riscontri una violazione di tali limiti dovrà provvedere a ricondurre le assunzioni effettuate in violazione degli stessi limiti a dei “normali” rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La “trasformazione” dei rapporti, tuttavia, atteso che il contratto di apprendistato è già un contratto di natura subordinata a tempo indeterminato, operativamente darà luogo ad azioni di recupero contributivo, anche in tal caso senza applicazione della sanzione previdenziale di cui all’art.47, co.1, citato, ma con l’applicazione delle “consuete” sanzioni di carattere amministrativo relative all’irregolare assunzione.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.