20 Gennaio 2016

La stabilizzazione delle collaborazioni

di Carmine Santoro

 

L’art.54, D.Lgs. n.81/15, prevede una procedura di stabilizzazione, attivabile dallo scorso 1° gennaio 2016, a favore dei datori di lavoro privati che procedano all’assunzione, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di soggetti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto o soggetti titolari di partita Iva. L’assunzione a tempo indeterminato comporta l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro, a condizione che i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’art.2113, co.4, cod.civ., o avanti alle commissioni di certificazione e nei dodici mesi successivi alle assunzioni i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro. Peraltro, la stabilizzazione non è ammissibile se gli illeciti sono stati già accertati in sede ispettiva, mentre è dubbio se i datori di lavoro possano usufruire dei benefici contributivi previsti dalla Legge di Stabilità per il 2016.

 

La procedura prevista dall’art.54, D.Lgs. n.81/15

1. Le condizioni

La disposizione di cui all’art.54, D.Lgs. n.81/15, prevede quella che è comunemente definita ‒ anche dalla stessa rubrica dell’articolo in esame ‒ “stabilizzazione” dei collaboratori autonomi. Nello specifico, è stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, i datori di lavoro possono assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato lavoratori già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto o titolari di partita Iva, con cui abbiano intrattenuto rapporti di lavoro autonomo, a condizione che:  

  • i lavoratori interessati sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’art.2113, co.4 cod.civ., o avanti alle commissioni di certificazione;
  • nei dodici mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.

Dunque, sono necessari una conciliazione nelle sedi “assistite” e il mantenimento in servizio per almeno un anno del lavoratore. In realtà, non si fatica a scorgere ulteriori condizioni cui la legge sottopone l’ammissibilità della procedura.

Innanzitutto, la disposizione limita la stabilizzazione del rapporto allo strumento del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; se ne deve dedurre che, se è ammissibile la “conversione” di un contratto di collaborazione in un contratto part-time ‒ in tal caso, peraltro, l’agevolazione contributiva va riproporzionata in base all’orario di lavoro ridotto ‒ non lo è quella in contratto a termine. Ciò è del resto conforme all’obiettivo di “promuovere la stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato“, dichiarato nell’incipit della norma. Tale finalità consente di escludere l’ammissibilità del lavoro intermittente, anche perché tale contratto, parafrasando l’orientamento ministeriale espresso nella circolare n.26/15 per il mantenimento in servizio dei lavoratori emersi, non assicura la necessaria continuità richiesta dalla norma per il previsto periodo minimo di dodici mesi di cui alla lett.b), art.54, co.1. In tal senso, seppure con riferimento specifico all’ammissione all’esonero contributivo triennale previsto dalla L. n.190/14 (Legge di Stabilità 2015), si è espresso anche l’Inps nella circolare n.17/15. Quanto al contratto di apprendistato, si può sostenerne l’ammissibilità in astratto, argomentando che trattasi di contratto a tempo indeterminato, come richiesto dalla legge. Tuttavia, essendo l’apprendistato un negozio con finalità essenzialmente formativa, in concreto l’idoneità dello strumento dipende dalla pregressa attività svolta dal collaboratore, e, anzi, proprio l’autonomia nelle prestazioni di cui questi abbia goduto – o avrebbe dovuto godere – nel corso dell’esecuzione del rapporto parasubordinato o autonomo, rende arduo concepire la sua sottoposizione a una seria attività formativa in relazione alle prestazioni di cui sopra. In ogni caso, è necessario rifarsi a tutti gli elementi della fattispecie concreta, sicché rileverà la durata del rapporto, il tipo di mansioni svolte, etc..

Ulteriore condizione richiesta dalla legge è che i prestatori debbano essere stati già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, o di lavoro autonomo con il committente che procede alla stabilizzazione. Dalla disposizione, peraltro, emerge che i collaboratori “stabilizzandi” non debbano necessariamente essere ancora in relazione contrattuale con il committente al momento dell’instaurazione della procedura. Infatti, il tenore letterale del precetto normativo lascia intendere la necessità di un pregresso rapporto, ma non dell’attualità del medesimo: si noti che la legge non usa l’espressione “trasformazione” ‒ come nella L. n.296/06 – ma parla di “assunzione con contratto a tempo indeterminato”. Probabilmente, tale formulazione della norma si spiega con l’intenzione di superare le difficoltà cui aveva dato luogo il differente precetto che disciplinava la precedente stabilizzazione di cui alla L. n.296/06, che richiedeva – almeno secondo l’interpretazione del Ministero del Lavoro nella circolare n.8/08 – la persistente vigenza del rapporto di collaborazione. Infatti, quest’interpretazione precludeva l’ammissibilità della procedura a rapporti stabilizzati in via autonoma, precedentemente alla stessa procedura; tuttavia, seppure con riferimento al diverso procedimento di emersione, un simile esito ermeneutico era stato rigettato dal Consiglio di Stato, in quanto irragionevole, poiché escludeva dal beneficio della sanatoria delle violazioni quei soggetti che avessero spontaneamente sanato le irregolarità. Pertanto, non è richiesto che il rapporto parasubordinato, o autonomo, sia ancora in vigore al momento dell’attivazione della procedura.

 

2. Gli effetti

Quanto agli effetti, è stabilito che l’assunzione a tempo indeterminato alle condizioni appena ricordate comporta l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro. Quindi, come si usa dire in questi casi, “sanatoria tombale” di tutte le irregolarità relative alla qualificazione del rapporto.

Tuttavia, la legge pone il limite degli “illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione“.

La dizione normativa esclude dal procedimento di stabilizzazione i datori di lavoro che abbiano subito accertamenti ispettivi definiti in data anteriore alla “trasformazione” del contratto.

Ciò significa che la preclusione consegue non all’adozione del provvedimento amministrativo definitivo ‒ l’ordinanza ingiunzione di cui all’art.18, L. n.689/81, o la cartella di pagamento ‒ ovvero alla pronuncia di sentenza passata in giudicato, come accadeva nella stabilizzazione del 2007, bensì alla fase anteriore della notifica del verbale unico di accertamento e notificazione di cui all’art.13, D.Lgs. n.124/04 o di un verbale di addebito contributivo. In definitiva, il datore di lavoro che abbia già ricevuto, anteriormente all’assunzione dell’ex collaboratore, tale verbale non può accedere alla “sanatoria”.

Tale sistema, tuttavia, crea una criticità di non scarso rilievo; infatti, bisogna considerare che l’accertamento ispettivo è suscettibile di sottoposizione a una molteplicità di attività di verifica.

In primo luogo, alla valutazione di fondatezza dell’accertamento di cui all’art.18, L. n.689 cit., la quale può dar luogo anche all’archiviazione degli illeciti riscontrati in sede ispettiva.

Inoltre, essa può essere soggetta al ricorso al Comitato per i rapporti di lavoro, ai sensi dell’art.17, D.Lgs. n.124/04. Per quanto riguarda l’accertamento contributivo, esso è suscettibile di impugnativa giurisdizionale. Bisogna, dunque, comprendere cosa accade in caso di archiviazione o di accoglimento dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali citati. La legge sul punto tace, ragion per cui appare necessario attendere istruzioni da parte del Ministero, il quale, verosimilmente, potrebbe disporre l’ammissione tardiva alla procedura del datore di lavoro nelle ipotesi di archiviazione ovvero di accoglimento dei ricorsi.

 

La questione dell’ammissibilità dei benefici contributivi alle assunzioni

Recentemente, in conseguenza della riproposizione dello sgravio contributivo sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2016, disposta con la L. n.208/15 (Legge di Stabilità 2016), è emersa la questione della compatibilità di detto sgravio con i rapporti di lavoro subordinato instaurati per effetto della stabilizzazione in argomento. La legge nulla dispone in merito alla possibilità di fruire del beneficio in caso di stabilizzazione dei contratti parasubordinati. L’incertezza riguarda in particolare l’art.31, D.Lgs. n.150/15, che esclude il beneficio degli sgravi quando l’instaurazione del rapporto di lavoro rappresenta l’attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva.

In assenza di posizioni ufficiali del Ministero del Lavoro e dell’Inps, la Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro si è espressa in senso favorevole con parere n.3/15. Il ragionamento è fondato sulla considerazione che la procedura di stabilizzazione si attiva su base volontaria; non sussiste, dunque, alcun obbligo legale alla stabilizzazione, ma solo condizioni obbligatorie per la sua attuazione. L’iniziativa della stabilizzazione, sottolineano i consulenti, è affidata alla volontà di entrambe le parti, così come la sua attuazione concreta mediante l’accordo transattivo. Questo argomento, essi concludono, è sufficiente ad escludere senza alcun dubbio l’applicazione del richiamato art.31, che esclude coloro che sono obbligati – in virtù di disposizione di legge o di clausola contrattuale collettiva – ad assumere e non coloro che scelgono liberamente di farlo.

Il parere della Fondazione Studi aggiunge un’argomentazione basata sulla finalità del processo di stabilizzazione dell’art.54, il quale rappresenta una delle iniziative di un disegno più ampio del Governo, finalizzato a un maggior utilizzo dei contratti di lavoro a tempo indeterminato. Secondo i consulenti, sarebbe incoerente sul piano sistematico, oltre che insostenibile sul piano giuridico per i motivi sopra descritti, negare l’esonero contributivo a chi si sia avvalso proprio del processo incentivante all’uopo previsto. Si può aggiungere che nella sopra ipotizzata assunzione con contratto di apprendistato – sempreché sia ammissibile nel caso concreto – non spetta invece alcun esonero contributivo, in considerazione dell’espressa esclusione disposta dalla legge.

L’orientamento dell’organo scientifico dei consulenti del lavoro appare senz’altro condivisibile, giacché non solo, sul piano letterale, non si rinviene alcun divieto legislativo alla spettanza dello sgravio contributivo in capo a coloro che hanno espletato la procedura in commento, ma, sul piano sistematico, sarebbe contraddittorio – rispetto all’obiettivo incentivante del Legislatore – precludere l’accesso al beneficio a coloro che pur sempre assumono a tempo indeterminato.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.