La settimana finanziaria
di Mediobanca S.p.A.IL PUNTO DELLA SETTIMANA: permane l’incertezza sull’esito delle trattative per la Brexit
- Lo scenario che appare più probabile è quello di un accordo che consenta il passaggio al periodo di transizione
- L’Hard Brexit è sicuramente lo scenario più costoso in termini di ricadute economiche per i paesi coinvolti
Il rifiuto da parte dell’UE del piano di Checkers, proposto dal primo ministro May, riduce il tempo disponibile per chiudere un accordo sulle future relazioni tra UK e UE. Lo scenario più probabile resta quello di un accordo (approvato prima dal Parlamento UK e poi da quello EU) che il 29/03/2019 consenta il passaggio al “periodo di transizione”, che da gennaio 2021 porterebbe UK fuori dall’UE. Tuttavia, il compromesso è ancora lontano, contestualmente si stanno configurando altri tre scenari di rischio: “Hard Brexit” (HB); “Estensione del periodo di transizione”; “UK resta in EU”, ovvero il caso in cui nuove elezioni, con potenziale vittoria del laburista Corbyn, inducano un nuovo referendum per permettere a UK di rimanere in EU.Il partito conservatore britannico è spaccato sulle proposte del primo ministro: i cosiddetti «hard Brexiters» vogliono un accordo di libero scambio con l’UE, che elimini qualunque sudditanza alle normative europee, senza timore per gli elevati costi conseguenti all’abbandono dell’UE senza accordo. I cosiddetti «soft Brexiters» vogliono, invece, un accordo che limiti i costi economici e, quindi, sono disposti ad accettare un grado più elevato di integrazione con l’EU, ma contrastano la proposta di Chequers, che a loro avviso costringe UK ad abbandonare l’EU, continuando a rispettarne paradossalmente le regole. Probabilmente, il Primo Ministro avrà bisogno del sostegno del partito di opposizione laburista, per far passare l’accordo alla camera dei comuni. Il sostegno potrebbe essere difficile da ottenere, perché i laburisti ritengono che il piano di Checkers non fornirà gli “stessi identici benefici” del Mercato Unico e dell’Unione Doganale e per questo hanno richiesto tre condizioni aggiuntive: protezione dei posti di lavoro, mantenimento dell’unione doganale e nessuna frontiera in Irlanda del Nord. L’opposizione preferirebbe un secondo referendum o un’elezione generale. Theresa May proporrà le modifiche all’accordo di Chequers, per risolvere la tematica del confine irlandese, inserendo probabilmente una nuova proposta doganale. Il Primo Ministro, pur di chiudere un accordo, sembra disposto ad accettare le norme doganali dell’UE sulle merci, anche dopo la fine del periodo di transizione. Implicitamente, la proposta ridurrebbe la possibilità di UK di stipulare accordi di libero scambio con gli altri paesi e includerebbe l’accettazione della richiesta di controlli sulle merci che entrano nell’Irlanda del Nord.In caso di HB, derivante da un mancato accordo, gli scambi commerciali britannici con tutti i paesi sarebbero disciplinati dalle regole del WTO, non sarebbero regolamentati il confine irlandese e lo status dei cittadini europei residenti in UK, e il paese uscirebbe automaticamente da tutte le Agenzie Europee. Questo è sicuramente lo scenario più costoso in termini di conseguenze economiche per i paesi coinvolti: negli anni l’integrazione dei paesi europei con UK si è rafforzata, riflettendo guadagni derivanti dalla partecipazione al Mercato Unico di tutti i 27 paesi aderenti e la rimozione delle barriere sia tariffarie che non. La riduzione delle barriere commerciali ha aumentato gli scambi commerciali, avvantaggiando i consumatori attraverso prezzi più bassi e l’accesso a beni e servizi migliori e le imprese attraverso la creazione di reti di produzione altamente integrate. A causa della profondità dell’integrazione EU-UK, la Brexit si tradurrà in una perdita di crescita e occupazione per entrambe le parti. Un recente studio del FMI mostra che in caso di HB, si verificherebbe una marcata perdita di crescita potenziale (compresa tra 0,5% e 1,5%), nel caso invece in cui si raggiungesse un accordo in grado di preservare alcune interrelazioni e interconnessioni tra le economie coinvolte, il costo economico sarebbe minore. In secondo luogo, vi è una significativa eterogeneità di costi per le economie coinvolte: le economie aperte come l’Irlanda, i Paesi Bassi e il Belgio saranno le più esposte agli shock derivanti dalla HB. L’Irlanda è l’unico paese dell’UE che rischia di riportare una predita di PIL paragonabile a quella UK.L’estensione del periodo di transizione richiede, invece, una richiesta formale da parte di UK ed un’approvazione unanime del Consiglio Europeo. Si potrebbe scivolare in questo scenario in caso di stallo all’interno del Parlamento UK, in quanto l’eventuale accordo raggiunto richiede poi un voto di ratifica sia dal Parlamento Europeo sia dal Parlamento UK, che risulta come detto risulta diviso sul tema.Marginale, a nostro avviso, è la probabilità che UK resti in EU, come conclusione di un iter che passerebbe attraverso nuove elezioni e in caso di vittoria dei labouristi un secondo referendum.
SETTIMANA TRASCORSA
EUROPA: il manifatturiero nell’Area Euro è cresciuto al ritmo più debole degli ultimi due anni
A settembre la seconda stima del PMI manifatturiero di settembre rivede al ribasso l’indice di un decimo a 53,2 dal 54,6 di agosto. Le preoccupazioni geopolitiche e quelle legate al protezionismo commerciale globale sono identificate come i principali fattori alla base del deterioramento della fiducia. L’indice PMI relativo ai servizi a settembre è rimasto invariato rispetto alla stima preliminare (54,7) ed è leggermente calato rispetto dal dato precedente (54,4), lasciando l’indice composito al minimo di quattro mesi a 54,1 (stima preliminare 54,2, valore precedente 54,5). A sorpresa, il tasso di disoccupazione è calato a 8,1% da un precedente 8,2%, in larga misura dovuti al calo della disoccupazione in Italia. In Germania, gli ordini all’industria in agosto si sono attestati a + 2,0% m/m, al di sopra delle attese (consenso: 0,6%, valore precedente 0,9%) dopo due mesi di cali sostenuti. Si rileva che il rialzo è dovuto alla componente estera: gli ordini domestici sono in calo di -2,9% m/m, mentre quelli esteri rimbalzano di +5,8% m/m, dopo ampie contrazioni a luglio e giugno. Nel Regno Unito l’indice PMI dei servizi si è attestato a 53.9 (consenso 54,0 e precedente 54,3), sulla scia della creazione di posti di lavoro al massimo di sette mesi e il forte aumento dei costi di produzione guidati dal prezzi del carburante. Con i servizi che rappresentano l’80% dell’economia UK, Markit prevede una crescita del PIL del terzo trimestre di circa lo 0.4%.
USA: l’employment report conferma un mercato del lavoro prossimo al pieno impiego, senza segni di surriscaldamento
L’indice ISM manifatturiero settembre si è attestato a 59.8 (consenso: 60.3, valore precedente: 61.3), confermando la solidità del settore. La scomposizione per componenti è positiva: in aumento le componenti di produzione (63.9 da 63.3), occupazione (58,8 da 58.5), ordini esteri (56 da 55.2), e correzioni di nuovi ordini (a 61.8 da 65.1, sempre su un livello elevato) e prezzi pagati (a 66.9 da 72.1). Nell’ultimo anno i livelli dell’ISM si sono mantenuti intorno ai massimi dal 2004 (il picco della serie si era visto nel 1983). Le misure protezionistiche implementate da Trump sono ancora citate in modo prominente nei commenti degli intervistati, che riportano che i dazi incidono sulla redditività e sulle opportunità di esportazione. Questo mese la buona performance del settore manifatturiero si è riflessa anche nell’indice PMI manifatturiero di settembre che si è attestato a 55.6 (consenso 55.6, valore precedente 54.7). L’indice ISM non manifatturiero a settembre l’ISM è arrivato a 61.6(consenso: 58,0, valore precedente 58.5). Anche nel caso dell’indice non manifatturiero la composizione è positiva, con aumenti diffusi: l’indice di occupazione è salito bruscamente a 62.4 da 56.7, mentre la produzione è salita a 65.2 da 60.7, gli ordini a 61.6 da 60.4. Le principali preoccupazioni degli intervistati riguardano l’esaurimento di capacità produttiva e l’incertezza sul commercio internazionale.
I nuovi sussidi di disoccupazione nella settimana conclusa il 29 settembre correggono a 207 mila da 215 mila della settimana precedente restando all’interno dell’intervallo ristretto degli ultimi due mesi, sui minimi da fine anni ’60 e confermando il continuo miglioramento del mercato del lavoro. Positivo anche il report sul mercato del lavoro di settembre, anche se a settembre ci sono diverse dati che si allontanano dall’andamento medio dell’ultimo anno, influenzati dagli effetti negativi dell’uragano Florence. Gli occupati non agricoli sono previsti in rialzo di 134 mila, dopo 270 mila di agosto, rivisto da 201. Il tasso di disoccupazione cala a 3.7% da 3,9%. Il tasso di partecipazione è stabile a 62,7%. I salari orari confermano l’accelerazione recente, con +2.8% a/a (+0.3% m/m). Le imprese riportano ora difficoltà a reperire manodopera specializzata, ma anche non specializzata. Di conseguenza, si diffondono aumenti salariali anche per posizioni meno qualificate e più numerose sul totale degli occupati, rilevanti per il trend dei salari orari.
ASIA: l’indice PMI conferma la debolezza dell’economia cinese
In Cina l’indice PMI manifatturiero a settembre è sceso a 50,8 (consenso 51,2 consenso, valore precedente 51,3 di agosto), guidato dalla componente degli ordini all’esportazione, nuovamente in contrazione. Anche la crescita dei nuovi ordini e della produzione è rallentata. Il PMI manifatturiero di Caixin ha mostrato un risultato simile, scendendo a 50,0 dal 50,6 di agosto (consenso: 50,5). I nuovi ordini di esportazione si sono contratti al tasso più rapido da febbraio 2016. In Giappone, l’indagine della BoJ Tankan ha mostrato che la fiducia tra i grandi produttori è sceso a +19, (consenso: +22, valore precedente di giugno +21), segnando la terza decelerazione trimestrale. I maggiori costi energetici e delle materie prime hanno pesato sula fiducia, insieme alle frizioni commerciali globali. I piani di investimento in conto capitale tra le grandi aziende sono leggermente cambiati rispetto a giugno (sebbene leggermente più deboli rispetto al consenso). I salari nominali sono saliti dello 0,9% a/a in agosto (consenso: 1,3%, valore precedente: 1,6%), guardando alla scomposizione si vede che la crescita più lenta degli utili degli straordinari e il forte calo dei pagamenti speciali hanno compensato la ripresa dei salari programmati. Infatti, i salari programmati part-time hanno accelerato al ritmo più veloce da giugno dell’anno scorso. I salari reali aggregati sono scesi dello 0,6% (consenso 0,0%) segnando il primo calo da aprile. Il PMI dei servizi è sceso a 50,2 a settembre dal 51,5 del mese precedente, segnando il livello più basso in due anni. Poiché il PMI manifatturiero è rimasto invariato, l’indice composito è sceso a 50,7 da 52,0.
LA PROSSIMA SETTIMANA: quali dati?
- Europa: saranno pubblicati i dati di produzione industriale di agosto per l’intera Area, mentre saranno pubblicate le stime definitive dell’inflazione in Germani e Francia.
- Stati Uniti: I dati in uscita negli Stati Uniti riguarderanno i prezzi di settembre. Inoltre, continuerà il flusso di discorsi dalla Fed, con un’agenda fitta di interventi da parte di presidenti regionali.
- Asia: in Cina saranno pubblicati i dati sulle riserve valutarie e sulla bilancia commerciale.
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