13 Aprile 2023

La Sentenza della Corte Costituzionale sul contratto di prossimità

di Roberto Lucarini Scarica in PDF

È noto come nel 2011, a mezzo dell’art. 8 Dl. n. 138, il Legislatore abbia introdotto, nel nostro ordinamento, una nuova forma di contratto collettivo cd. di prossimità. Lo scopo era quello di fornire al detto tipo contrattuale una valenza erga omnes, natura negata, causa la non applicazione dell’art. 39 della Costituzione, alle altre forme di accordo collettivo. Sappiamo, infatti, come alla contrattazione collettiva nazionale sia riconosciuta una natura puramente privatistica, riconducendola de facto alle norme del codice civile.

Del contratto di prossimità si è interessata, nel mese di marzo scorso, la Corte Costituzionale (Sent. n. 52), la quale è stata chiamata ad esprimersi, proprio sulla valenza erga omnes del tipo contrattuale, da un’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli. La Corte rimettente sospettava, infatti, un’illegittimità costituzionale della norma istitutiva nei confronti degli artt. 2 e 39 della Costituzione.

Il Giudice delle Leggi, non mancando di lamentare alcune lacune presenti nell’ordinanza appena citata, affronta quindi l’argomento ponendo una chiara e netta distinzione tra il contratto di prossimità e le restanti forme di contrattazione collettiva di secondo livello, territoriale od aziendale. Per queste ultime, invero, viene rilevato come esse abbiano “un’efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda”, “trovando un limite nell’espresso dissenso di lavoratori o associazioni sindacali”.

Nel caso degli accordi in esame, invece, la norma istitutiva prescrive che “possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati”, ovvero erga omnes, condizionandone tuttavia la sussistenza a ben specifici requisiti:

  • che siano sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali firmatarie;
  • che siano finalizzati alla realizzazione di specifici obiettivi (alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività).

Tali indicazioni, quindi, pongono il contratto di prossimità in una condizione giuridica ben distinta dai meri accordi di secondo livello, soprattutto nella considerazione della richiesta sussistenza proprio del principio maggioritario, il quale deve obbligatoriamente riguardare le parti firmatarie.

La Corte Costituzionale fa dunque notare come la norma istitutiva di tale tipo contrattuale, a contrariis, punti proprio “a colmare questo possibile limite di applicabilità dell’accordo prevedendo una speciale fattispecie di contratto collettivo aziendale – quello qualificato come di ‘prossimità’ – che, appunto, ha ‘efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati’. Una norma che, in sostanza, assume un carattere chiaramente eccezionale”.

Ciò detto la Sentenza in commento puntualizza, infine, come “l’efficacia generale dell’accordo di prossimità implica che, quando ci sia un tale dissenso in azienda, la sottoscrizione del contratto collettivo avvenga, appunto, ‘sulla base di un criterio maggioritario’ sì da vincolare la ‘minoranza’ che tale accordo non vuole”.

Ricordo, per inciso, come la norma istitutiva prescriva che il contratto di prossimità possa operare anche in deroga alle disposizioni di legge, od alle regole poste dal CCNL, che disciplinano specifiche materie:

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;

b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

d) alla disciplina dell’orario di lavoro;

e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, ed altre forme di protezione previste dalla normativa in tema di licenziamento (ad esempio, il licenziamento della lavoratrice madre).

Tutto questo, naturalmente, nei limiti e nel rispetto della Costituzione, delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali sul lavoro.

 

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