La “scelta impossibile” nei licenziamenti collettivi
di Evangelista Basile
Una questione da sempre particolarmente dibattuta è quella concernente i criteri di scelta nei licenziamenti collettivi, stante anche la delicatezza del problema. Essi si pongono come tramite tra le decisioni economico-organizzative dell’impresa e l’individuazione concreta dei lavoratori colpiti dai licenziamenti.
Il Legislatore italiano ha impiegato ben 16 anni per recepire la direttiva comunitaria 75/129/CE con la L. n.223/91. Quando lo ha fatto, il Legislatore nazionale ha pensato di introdurre – alla fine della procedura d’informazione e consultazione – l’obbligo per il datore di lavoro di rispettare i criteri di scelta convenzionali o di legge (art.5). Tale soluzione non era affatto necessitata, perché la normativa comunitaria non ne faceva il minimo accenno.
Oltretutto, sul punto, il testo di legge è assai sibillino, perché all’art.5 la norma menziona per ben due volte le “esigenze tecnico-produttive ed organizzative”, generando infinite incertezze interpretative in ordine alla platea dei lavoratori su cui deve essere effettuata la comparazione dei criteri di scelta concordati con i sindacati o, in assenza di essi, di fonte legale. Ed è evidente che la corretta definizione del perimetro iniziale entro il quale effettuare la comparazione delle posizioni soggettive è fondamentale, per non errare l’applicazione dei concreti criteri di scelta e dunque per la legittimità dei licenziamenti stessi.
Ebbene, a distanza di 24 anni dall’entrata in vigore della L. n.223/91, la giurisprudenza di legittimità non è ancora riuscita a dipanare questa incertezza e, dunque, a dare un’interpretazione certa e univoca al campo di applicazione dei criteri di scelta.
Ne costituiscono una formidabile prova le sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione nel corso dell’anno 2015 appena concluso. In alcune di esse la Corte di Cassazione non pare ammettere restrizioni al campo di applicazione dei criteri di scelta, imponendo che la comparazione dei lavoratori abbracci tutto il complesso aziendale. In altri casi, la Suprema Corte – invece – ammette che qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo a un’unità produttiva o un reparto, la comparazione dei lavoratori può essere limitata agli addetti dell’unità, del reparto o del settore da ristrutturare. Infine, in altre pronunce – pur avallando questa seconda tesi – la Corte di legittimità apporta un correttivo, precisando che la “restrizione” della platea non può comunque operare se i lavoratori dei reparti in esubero sono idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti o unità, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (così in Cass. n.22914/15; Cass. n.21015/15; Cass. n.19457/15; Cass. n.13953/15; Cass. n.4678/15; Cass. n.203/15).
Purtroppo, neppure il recente intervento riformatore del Jobs Act ha risolto il problema, avendo soltanto modificato – per gli assunti dopo il 7 marzo 2015 – l’apparato sanzionatorio, introducendo anche nel campo dei licenziamenti collettivi le tutele crescenti.