31 Maggio 2016

La quasi rottamazione dei pensionandi

di Roberto Lucarini

 

Quando si dice andare di moda: da qualche tempo il verbo rottamare sembra assurgere a filosofia ispiratrice, non solo in politica, ma anche in ben altri campi. Ora è la volta, pare, dei futuri pensionati. Oltre le mille querelle, legate al futuro pensionistico di ciascuno di noi (sul quale sorvolo per non infierire sul lettore), adesso il nostro Legislatore, con la Legge di Stabilità 2016, ha avuto un’ideona; far lavorare in part-time, nei pochi anni ante pensionamento, i lavoratori da rottamare (ma solo parzialmente, ça va sans dire), per far posto ai giovani sempre più disoccupati o precari. Idea buona, se solo l’economia del Paese riprendesse a camminare; stante l’attuale fase di stallo, il pericolo è di perdere capra (esperienza) e cavoli (giovani stabilizzati).

Ma vediamo come prende forma la questione.

Pubblicando il 18 maggio scorso il decreto 7 aprile 2016, si è data attuazione, appunto, all’idea espressa nella Stabilità 2016; ciò a partire dal vigore del citato decreto, ossia dal prossimo 2 giugno.

In sintesi: chi ha un contratto a tempo indeterminato e matura il diritto al pensionamento entro fine anno 2018, potrà chiedere, che non vuol dire ottenere, di lavorare in part-time con orario ridotto tra il 40 e il 60 % dell’orario normale.

Qualcuno potrà domandarsi: come fa tale soggetto, riducendo in questo modo il suo orario di lavoro, ad arrivare a fine mese con lo stipendio parimenti decurtato?

E qui arriva l’ideona del nostro Legislatore. Nessun problema; lui avrà lo stipendio adeguato al part-time, ma riscuoterà, dall’azienda, anche un importo pari ai contributi che il suo datore di lavoro ha risparmiato sulla parte di lavoro non prestata. Il tutto con contribuzione figurativa a carico pubblico, dato che detto lavoratore “semi rottamato” vedrà accreditarsi, sulla sua posizione contributiva, il versamento intero. Ma c’è di più; tale importo sarà esentasse.

Tralascio, per bontà, gli aspetti burocratici, mai mancanti nel nostro Paese, ossia:

  • iniziale certificazione Inps;
  • passaggio con deposito e approvazione (anche per silenzio assenso) della DTL;
  • finale approvazione Inps.

Il tutto limitato a uno stanziamento pubblico pari, per il 2016, a 60 milioni di euro.

Però mi chiedo: dato che il Legislatore ha scritto, chiaramente, che tale operazione non è un diritto soggettivo del lavoratore, ma sarà posta in essere in accordo col datore; che cosa ci guadagna, quindi, il datore di lavoro?

A grandi linee si direbbe ben poco. Avrà il lavoratore a part-time, il quale tuttavia gli costerà di più di un ordinario tempo parziale, dato che dovrà sborsare comunque la quota contributiva sulla parte non lavorata. Forse, mi viene in mente, potrà essere valido nel caso in cui si voglia davvero rottamare un vecchio addetto, magari perché oramai demotivato o stanco.

Altrimenti cui prodest?