La complicità tra giornalismo e intelligenza artificiale
di Assunta Corbo - giornalista, autrice e Founder Constructive Network Scarica in PDFL’intelligenza artificiale è tra noi ormai da qualche tempo. Negli ultimi mesi se ne parla in modo sempre più insistente anche nell’ambito del giornalismo. Come in ogni trasformazione che si rispetti c’è l’entusiasmo della novità ma anche l’apprensione per il futuro. La domanda più ricorrente è: dove finirà l’essere umano?
La risposta è molto più semplice del previsto, a mio avviso. L’essere umano, finalmente, farà cose da essere umano. Ci metterà le sfumature, l’empatia, il valore, l’esperienza. Mi verrebbe da dire che potremmo anche aspettarci un mondo in cui la qualità dell’informazione e dei contenuti sarà il terreno su cui si giocherà tutto.
Riflettendo sul tema, però, ho voluto sentire anche l’altra voce. Come è giusto che sia. Ho provato a interrogare ChatGPT chiedendo: “Perché l’intelligenza artificiale fa paura ai giornalisti?”.
Ecco cosa mi ha risposto:
«L’intelligenza artificiale nel giornalismo non deve far paura perché è uno strumento che può aiutare i giornalisti a fare meglio il proprio lavoro e a raggiungere obiettivi che sarebbero difficili da raggiungere senza di essa. L’intelligenza artificiale può aiutare i giornalisti a trovare notizie, analizzare grandi quantità di dati, identificare schemi nascosti e creare contenuti personalizzati per i lettori. Tuttavia, l’intelligenza artificiale non deve sostituire completamente il lavoro dei giornalisti umani. Gli algoritmi possono essere utilizzati per compiti ripetitivi, come la generazione di notizie brevi, ma i giornalisti hanno bisogno di discernimento, creatività e capacità di pensiero critico per raccogliere, analizzare e presentare le notizie in modo accurato e significativo per il pubblico».
Abbiamo chiacchierato ancora un po’ ma questo passaggio mi è parso il più significativo. I giornalisti umani, come li chiama ChatGPT, non potranno mai sparire. A meno che non decidano di smettere di mettere in campo creatività, pensiero critico, capacità di discernimento. A questo aggiungo anche il tema dell’etica e della deontologia che restano campi in cui un professionista può davvero fare la differenza.
Quello a cui stiamo assistendo in questo tempo è certamente un processo di trasformazione di grande impatto ma anche decisivo per molti aspetti. Mentre ci teniamo pronti ai nuovi sviluppi, proviamo a capire come riconoscere un articolo scritto con l’intelligenza artificiale di cui disponiamo oggi.
Ecco qualche elemento a cui prestare attenzione:
- uniformità: gli articoli scritti dall’intelligenza artificiale tendono ad avere uno stesso taglio e una struttura simile e abbastanza ripetitiva.
- Assenza di voce: sono articoli che mancano di personalità e che utilizzano per lo più un linguaggio neutro, senza emozioni.
- Precisione tecnica: si tratta di articoli scritti in modo preciso dal punto di vista tecnico ma che possono totalmente perdere di vista il contesto e altri elementi che solo un essere umano è in grado di mettere insieme.
- Punteggiatura e sintassi perfette: sono articoli da 10 alle scuole superiori, per intenderci. Nessun errore di grammatica e punteggiatura. Potrebbero però mancare di creatività nella scelta delle parole.
- Mancanza di approfondimento: complessità e sfumature non pervenute. Un articolo scritto con l’intelligenza artificiale resta a un livello superficiale e non garantisce l’approfondimento e la cura che può garantire un giornalista in carne e ossa.
Per tirare le somme, e anche un sospiro di sollievo, un articolo scritto con l’intelligenza artificiale si riconosce dalla mancanza di stile, di tono, di empatia. Cose che, al contrario, rendono più coinvolgenti e stimolanti gli articoli scritti da un essere umano. Perfetta per scrivere news fredde, quindi, la nuova tecnologia al momento non è in grado di arrivare alla pancia del lettore con la sua narrazione.