Un’interessante interpretazione della Cassazione sul reato di mancato versamento di ritenute previdenziali
di Roberto LucariniIl nostro ordinamento prevede che il datore di lavoro, anche in campo previdenziale, agisca quale sostituto, andando a ritenere, da quanto dovuto al lavoratore, il contributo previdenziale a carico di quest’ultimo, per poi versarlo all’Inps assieme ai contributi a proprio carico. A presidio di tale onere, per il rischio di un mancato versamento di ritenute effettuate, è posta una norma di natura penale quale deterrente per condotte omissive.
Modificata nel 2016, tramite un intervento di generale depenalizzazione (L. 8/2016), tale norma prevede adesso una soglia di non punibilità penale, al di sotto della quale scatta la sanzione di tipo amministrativo, peraltro assai salata. Per ricadere nel fatto delittuoso, quindi, il datore dovrà omettere versamenti di ritenute previdenziali per un valore superiore a 10.000 euro annui.
Vi risparmio, anche per motivi di spazio, tutte le problematiche legate a questo discorso. Ciò che vorrei farvi presente, invece, riguarda la semplice parolina “annui”, che il Legislatore ha posto quale periodo di valutazione al fine di valutare il verificarsi dell’illecito di tipo penale. Il reato anzidetto, infatti, è stato definito quale “reato unitario a consumazione prolungata”; si valutano le varie omissioni annue, e al superamento dei 10.000 euro si manifesta l’illecito penale.
A una prima, ma non approfondita analisi, si potrebbe dire: va beh, se la norma parla di “annui” dovremo valutare le condotte tenute nell’anno. Sì, certo; ma come definireste l’anno? Lo sapete bene, quanto me, che le cose non sono mai semplici; altrimenti dove sarebbe il divertimento!
Il Ministero del lavoro, con nota n. 9099/2016, ha espresso il proprio parere. Per anno deve intendersi l’anno civile, ossia dal 1° gennaio al 31 dicembre. Poi, però, dovendosi arrendere alla pratica, è dovuto andare in profondità indicando, agli ispettori, questa condotta: valutate tutti le omissioni tra il 16 gennaio dell’anno in esame (versamenti del dicembre dell’anno prima) e il 16 dicembre dello stesso anno (valori di competenza del mese di novembre). In pratica 12 mesi, certo, ma valutati nell’anno civile, tenendo conto degli effettivi pagamenti (una sorta di criterio di cassa).
Adesso, con la sentenza n. 39882/2017, la sezione penale della Cassazione sembra pensarla diversamente. Gli Ermellini, infatti, spiegano che si dovrà tenere conto, per valutare l’annualità, dei versamenti che vanno dal gennaio dell’anno in esame, operati il 16 febbraio, a quelli del dicembre dell’anno stesso, effettuati però il 16 gennaio dell’anno successivo. Anche qui, ovviamente, 12 mensilità (nessuno può pensare, nemmeno la Cassazione, che l’anno abbia 13 mesi), ma tenendo conto della competenza degli importi da versare.
Capite bene che, in talune situazioni limite, tale diversa situazione può creare un sottile problema. A chi dar retta?
Gli ispettori, stanti le istruzioni superiori, valuteranno secondo nota ministeriale; noi però sappiamo che la Cassazione non la vede proprio così.
Un rebus in cui è difficile districarsi: speriamo, in attesa di istruzioni (semmai arriveranno) di non trovarci mai in simili pasticci.
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