Se gli influencer diventano agenti di commercio
di Evangelista Basile Scarica in PDFIl Tribunale di Roma è intervenuto su una tematica molto attuale e priva di precedenti giurisprudenziali: l’inquadramento contrattuale e quindi contributivo degli influencer.
In dottrina si era già posto il problema su come gestire la questione e la soluzione più accreditata sembrava essere quella della riconduzione della fattispecie ai lavoratori dello spettacolo e, dunque, all’iscrizione ENPALS.
A corroborare la tesi era anche la prassi. Con circolare INPS n. 155 del 20 ottobre 2021 l’Istituto richiamava la giurisprudenza in ordine al concetto di spettacolo mutabile nel tempo riconducendovi anche le attività di tipo promozionale.
Con la sentenza n. 2615 dello scorso 4 marzo 2024, il Tribunale di Roma ha invece ritenuto legittima la riscossione dei contributi operata dalla Fondazione Enasarco in seguito a un accertamento ispettivo. Nel caso di specie, l’attività degli influencer era quella di promuovere i prodotti dell’azienda sui propri profili social, attraverso l’attribuzione di un codice promozionale personalizzato, attraverso cui l’azienda venditrice era in grado di calcolare un compenso per ogni singola vendita andata a buon fine recante il medesimo codice.
Secondo il Tribunale, l’introduzione di nuovi mezzi e tecniche di vendita ha rivoluzionato il modo in cui i consumatori interagiscono con i prodotti o i servizi. Web e social network, altro non sono che un nuovo e ulteriore strumento di promozione e, pertanto, gli influencer – in presenza di indizi idonei a dimostrare gli elementi della stabilità e della continuità di cui agli articoli 1742 cod. civ. e ss. – possono essere qualificati come agenti di commercio.
Ad esempio, secondo il Tribunale, la presenza di una zona determinata di operatività – prevista come noto dall’articolo 1742 per il contratto di agenzia – coincide in questo caso con la community di followers dell’influencer.
In questo contesto, secondo il Tribunale è irrilevante il modo attraverso il quale l’influencer induca i propri follower all’acquisto, non essendo necessario che si rivolga individualmente a ciascuno di essi presentando le caratteristiche del prodotto, il prezzo, sollecitandone l’acquisto, posto che nel mondo web la promozione di prodotti viene assicurata attraverso la pubblicazione sui vari social da parte dell’influencer di contenuti destinati alla platea dei follower.
Il Tribunale ha quindi richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (in particolare, Cass. Sez. lav. n. 20453 del 2 agosto 2018), secondo cui la prestazione dell’agente può comunque consistere in atti di contenuto vario e non predeterminato, che tendono tutti alla promozione della conclusione di contratti per conto del preponente (e dunque anche il compito di propaganda). Si tratta di scenari in cui l’attività dell’agente non richiede, quindi, necessariamente la ricerca del cliente ed è sempre riconducibile alla prestazione dedotta nel contratto di agenzia anche quando il cliente non sia stato direttamente ricercato dall’agente, purché sussista nesso di causalità tra l’opera promozionale svolta dall’agente nei confronti del cliente e la conclusione dell’affare cui si riferisce la richiesta di provvigione.