12 Settembre 2018

Indennità per ferie non godute: natura e corretta imputazione temporale del costo

di Salvatore Luca Lucarelli

Due recenti ordinanze di Cassazione si esprimono in ordine alla natura dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute nonché relativamente alla corretta imputazione temporale del costo delle ferie non godute, orientandosi nel solco già tracciato da precedenti sentenze e che confermano un consolidato atteggiamento giurisprudenziale.

 

L’istituto delle ferie: cenni

L’ordinamento riconosce al lavoratore il diritto alla sospensione della prestazione lavorativa attraverso il godimento di un periodo di riposo finalizzato anche alla reintegrazione delle proprie energie psico-fisiche.

La natura delle finalità del diritto alla fruizione del periodo di ferie è stata perentoriamente affermata anche dalla Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 543/1990, ha sostenuto che “non vi è dubbio che la disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 36 Cost. garantisce la soddisfazione di primarie esigenze del lavoratore, dalla reintegrazione delle sue energie psico-fisiche allo svolgimento di attività ricreative e culturali, che una società evoluta apprezza come meritevoli di considerazione”.

La rilevanza di tale istituto emerge infatti anche dall’accoglimento che la Carta Costituzionale riserva all’istituto delle ferie e che prevede, al terzo comma dell’articolo 36, che “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

Il codice civile asseconda il dettato costituzionale, stabilendo, all’articolo 2109, rubricato “Periodo di riposo” che il lavoratore: “Ha anche diritto, dopo un anno d’ininterrotto servizio, ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. L’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell’articolo 2118”.

La norma riportata ha reso necessari diversi interventi della Corte Costituzionale, in particolare con la sentenza n. 66/1963, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 limitatamente all’inciso “dopo un anno d’ininterrotto servizio“, con la sentenza n. 189/1980, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo in parola nella parte in cui non prevede il diritto a ferie retribuite anche per il lavoratore assunto in prova in caso di recesso del contratto durante il periodo di prova medesimo e con la sentenza n. 616/1987, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso.

Ribadendo le previsioni del codice civile, l’articolo 10, D.Lgs. 66/2003, così come modificato dall’articolo 1, D.Lgs. 213/2004, precisa taluni aspetti in ordine alla modalità di fruizione delle ferie, prevedendo che “il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina (…), va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro”.

In tempi recenti, l’articolo 24, D.Lgs. 151/2015, ha previsto la possibilità per i lavoratori di cedere a titolo gratuito le proprie ferie ai colleghi bisognosi di assentarsi per gravi motivi familiari.

In tale contesto, emerge la rilevanza del divieto di monetizzazione introdotto con il D.Lgs. 66/2003, al fine di assicurare la corretta fruizione delle ferie in linea con la finalità di tutela del benessere del lavoratore, che può essere pregiudicato dallo svolgimento continuativo della prestazione lavorativa. Tale divieto è accompagnato da ipotesi tassative, in cui risulta invece possibile monetizzare le ferie residue e non godute, in particolare nei casi di ferie maturate nei contratti a tempo determinato di durata inferiore all’anno, ferie residue al momento della cessazione del rapporto di lavoro che avvenga in corso dell’anno, ferie previste dalla contrattazione collettiva eccedenti il periodo minimo di 4 settimane previsto dalla legge e nel caso di lavoratore inviato all’estero, qualora vi sia l’impossibilità oggettiva della fruizione delle ferie giustificata dal breve tempo che intercorre tra la decisione di inviare il lavoratore all’estero e la sua partenza, che non consente una programmazione delle ferie stesse in relazione alle esigenze produttive e/o organizzative dell’impresa.

 

Natura dell’indennità sostitutiva: l’ordinanza di Cassazione n. 13473/2018

Nell’ambito di una controversia sorta tra un datore di lavoro privato e l’Inps, e che ha visto l’Istituto previdenziale agire con decreto ingiuntivo per l’intimazione di pagamento di somme a titolo di omesso versamento di contributi relativamente alle indennità sostitutive di ferie non godute, la Corte di Cassazione ritiene di dare continuità all’orientamento già espresso in precedenti pronunce, come la n. 1757/2016 ad opera della Sezione Lavoro, secondo la quale “l’indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura mista, sia risarcitoria che retributiva, sicché mentre ai fini della verifica della prescrizione va ritenuto prevalente il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo, cui va assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale, la natura retributiva, quale corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, assume invece rilievo quando ne va valutata l’incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessorio o dell’assoggettamento a contribuzione”.

La Corte, posto che tra i motivi del ricorso avanzato dalla società datrice vi era anche la pretesa esclusione dalla contribuzione dell’indennità sostitutiva, ritiene utile ribadire che “l’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma della L. n. 153 del 1969, art. 12, sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c., a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio (…) non escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione”.

Pertanto, rilevate le incertezze dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla natura dell’indennità sostitutiva delle ferie, con oscillazione degli orientamenti della Cassazione da natura prevalentemente risarcitoria, e quindi non retributiva e soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, a natura di corrispettività con le prestazioni lavorative, con assoggettamento quindi a contribuzione previdenziale ex articolo 12, L. 153/1969 e alla garanzia prestata dall’articolo 2126 cod. civ. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore, il risultato del cammino giurisprudenziale cristallizzato nella sentenza in parola rileva che l’indennità sostitutiva delle ferie non godute costituisce un’attribuzione patrimoniale riconosciuta al lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non è ricompresa nel tassativo elenco delle erogazioni escluse da contribuzione. La natura retributiva guarda, dunque, alla prestazione contrattualmente non dovuta, perché illecitamente prestata contra legem ex articolo 2126 cod. civ., che al comma 2 riconosce invece il diritto alla retribuzione.

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 13473/2018, ribadisce quindi che l’indennità sostitutiva delle ferie costituisce non solo erogazione di natura risarcitoria, ma anche il corrispettivo dell’attività resa in un periodo che avrebbe dovuto essere destinato al riposo, ritenendo quindi che tale indennità abbia carattere retributivo e goda della garanzia prestata dall’articolo 2126 cod. civ. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore, con conseguente assoggettabilità alla contribuzione previdenziale a norma dell’articolo 12, L. 153/1969.

 

L’imputazione temporale del costo: l’ordinanza di Cassazione n. 15457/2018

La Corte di Cassazione si esprime in ordine alla corretta imputazione temporale del costo dell’indennità sostitutiva delle ferie a seguito del ricorso proposto dell’Agenzia delle entrate avverso sentenza della CTR Lombardia, di reiezione dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato un avviso di accertamento.

In particolare, l’Agenzia delle entrate ricorre con 3 motivi, denunciando, con il primo, la violazione dell’articolo 75, comma 1, Tuir. Posto quindi il divieto previsto da quest’ultimo articolo (oggi articolo 109) nella formulazione applicabile ratione temporis, l’Ente impositore sostiene che la sentenza impugnata abbia erroneamente ritenuto che il costo rappresentato dalla corresponsione ai dipendenti dei ratei per ferie non godute potesse essere dedotto nell’anno di effettiva erogazione, benché lo stesso si riferisse, in parte, a ratei relativi a ferie maturate in un anno diverso.

La Cassazione ritiene tale motivo fondato, proprio in forza della previsione tributaria per la quale i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali specifiche norme non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, fatta eccezione per quelli di cui non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, che concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.

La Corte, con l’ordinanza n. 15457/2018, chiarisce, tra l’altro rifacendosi a proprio orientamento espresso nella sentenza n. 24474/2006, che “le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito implicano, dunque, che gli elementi reddituali derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio non già con riferimento alla data di pagamento o dell’incasso materiale del corrispettivo, ma nel momento in cui esso perviene a completa maturazione, con il solo limite della certezza di costi o ricavi non ancora determinabili”.

Pertanto risulta pacifico, nelle argomentazioni della Corte, che il costo delle ferie non godute debba essere riferito all’esercizio di competenza, in quanto maturato in quell’esercizio, senza che rilevi la fruizione da parte del contribuente delle ferie in un periodo diverso, trattandosi di un costo certo e determinabile sulla base di elementi emersi dalla chiusura dell’esercizio, indipendentemente dall’eventuale godimento delle ferie stesse nell’esercizio.

 

L’istituto delle ferie tra garanzia costituzionale e aspetti operativi

Il dibattito giurisprudenziale sorto intorno all’istituto delle ferie, e declinato nei vari aspetti di quest’ultimo, manifesta la necessità di un approccio cauto e consapevole nella gestione sia contrattuale con il lavoratore che amministrativa e fiscale rispetto a pretese degli Enti.

Pur in presenza di riferimenti di legge e principi che possono essere ritenuti manifesti e consolidati, la Corte di Cassazione ritorna a ribadire determinati aspetti, che, invero, in un discorso generale sull’istituto delle ferie, non si limitano a quelli relativi alle 2 ordinanze trattate, ma riguardano altri aspetti altrettanto delicati, come, a puro scopo esemplificativo, gli obblighi contributivi sulle ferie non godute, le possibilità conferite alla contrattazione collettiva di determinare le modalità di fruizione, incluso un possibile procrastinamento della stessa, e l’apparato sanzionatorio che accompagna le norme a tutela del corretto esercizio del diritto da parte del lavoratore nonché quelle relative agli obblighi contributivi.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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