22 Ottobre 2015

In un mondo (del lavoro) difficile, la parola magica è solidarietà

di Riccardo Girotto

 

L’enorme e preoccupante ricorso agli ammortizzatori sociali degli ultimi 7-8 anni ha raschiato profondamente le casse dell’Inps.

Strumenti creati in epoche ben distanti da quelle in cui li abbiamo utilizzati sono parsi inadatti e incompleti, tanto da costringere la prassi, spesso in modo scoordinato, a colmare le lacune lasciate dalla fonte primaria.

A tal proposito l’intervento del D.Lgs. n.148/15 mira al riordino della frazionata disciplina, senza perdere il focus sulle scarse disponibilità dell’Istituto previdenziale di Stato, tracciando contemporaneamente due binari paralleli dove far viaggiare l’assistenza alla crisi:

  1. il primo binario marca un deterrente all’utilizzo degli ammortizzatori, attraverso l’incremento smisurato del costo azienda. In caso di fruizione, il contributo aggiuntivo sarà infatti pari al 9% il primo anno di utilizzo e crescerà progressivamente fino al 15% al terzo anno, peraltro calcolato sulla retribuzione persa e non sull’integrazione ottenuta;

  2. il secondo binario pontifica il contratto di solidarietà attraverso il suo inserimento nelle causali della Cigs, oltre ad obbligare l’azienda a giustificare l’eventuale applicazione di un ammortizzatore diverso.

Questo secondo punto non va sottovalutato. Gli ammortizzatori costeranno molto e, inoltre, scegliendo, in via principale, i contratti di solidarietà si otterrà una forte limitazione ai piani di riduzione del personale.

Tutto bene quindi, casse piene e posti di lavoro salvi; se non fosse che queste azioni in realtà potrebbero innescare un effetto assai diverso, di totale avversione verso un sistema costoso e vincolato, fino a costringere l’azienda ad optare per le forme di recesso senza passare per il periodo di assistenza.

Sarebbe come se il sistema sanitario limitasse i finanziamenti alle visite specialistiche per offrire ossigeno alle proprie casse, offrendo in cambio un forte impulso all’assistenza del medico di base. Logico aspettarsi un aumento delle patologie gravi (… invece come andrà a finire questa storia???).

Il contratto di solidarietà, insomma, sta simpatico al Legislatore e noi sappiamo bene come stia simpatico anche al sindacato, che spesso spinge per questa soluzione: il cerchio tuttavia non si chiude perché a questo Legislatore il sindacato non sta molto simpatico (o meglio non questo sindacato).

Da tutto quanto detto, ne deriva che questo assist al contratto di solidarietà, istituto di per sé conservativo del rapporto, in realtà rischia di diventare un autogol, perché l’impresa, spaventata da oneri, vincoli e tempi, troverà, ahimè, maggiore conforto in soluzioni espulsive che di solidale hanno ben poco.

Come interverremo quindi nelle situazioni di crisi? A questa domanda dovremmo rispondere con un ulteriore quesito che scenda più nello specifico: quanto grave è questa crisi?

Riconoscere la crisi è semplice, misurarla è estremamente difficile (su questo aspetto magari torneremo un’altra volta), ma ora diventa necessario per comprendere quale sarà l’ammortizzatore da applicare, perché dove l’esigenza d’intervento sarà lieve la solidarietà esprimerà il suo massimo effetto, dove invece la difficoltà sarà più intensa l’esodo risulterà inevitabile.

Infine arriviamo noi consulenti. Lo scenario descritto si riflette impietosamente sulla nostra professione, ove il nuovo appeal del recesso come soluzione regina solletica aspetti che di solidale hanno ben poco.

Armiamoci: l’ondata di licenziamenti all’orizzonte renderà vano il nostro lavorare meno e utopico il nostro lavorare tutti.