L’imponibile contributivo dei lavoratori all’estero in Paesi non convenzionati
di Cristian ValsiglioLa Corte di Cassazione, con sentenza 6 settembre 2016, n. 17646, afferma che i contributi previdenziali dovuti in relazione alla posizione di un dipendente per l’attività lavorativa svolta in distacco presso una società consociata negli Stati Uniti d’America devono essere calcolati con riferimento alla retribuzione effettivamente corrisposta, anziché alle retribuzioni convenzionali stabilite annualmente con D.M. ai sensi dell’articolo 4, comma 1, D.L. 317/1987, convertito nella L. 398/1987.
La decisione della Corte di Cassazione arriva a sorpresa contrapponendosi alle decisioni di merito del Tribunale di Pinerolo e della Corte di Appello di Torino che vedevano soccombente l’Inps.
Il nodo principale della decisione si fonda sul concetto di deroga al principio di armonizzazione, stabilito dall’articolo 6, D.Lgs. 314/1997, ove è stabilito che ciò che è imponibile fiscale è anche imponibile contributivo, fatte salve esplicite esclusioni.
Mentre le Corti di merito avevano fondato il proprio giudizio sul concetto di inderogabilità del principio di armonizzazione, concludendo che ove applicabile il comma 8-bis, articolo 51 Tuir a livello fiscale esso fosse applicabile anche a livello contributivo; la Corte di Cassazione, contrariamente, afferma che la predetta disposizione debba essere considerata solo di valenza fiscale almeno per i seguenti aspetti:
- punto di riferimento della norma è la residenza fiscale, elemento essenziale nella definizione della tassazione di riferimento, mentre è irrilevante sotto l’aspetto contribuivo;
- la disposizione operante ai fini previdenziali determinerebbe un’ingiustificata compressione delle entrate pubbliche, a detrimento anche della posizione previdenziale del lavoratore;
- l’impianto normativo non mette in discussione la valenza contributiva-previdenziale dei DM che stabiliscono le retribuzioni convenzionali.
Inoltre la Cassazione rileva che il principio di armonizzazione può essere applicato, a mente della legge delega (L. 662/1996), solo “ove possibile”, non determinando una natura autonomamente recettizia del rinvio alle richiamate disposizioni del Tuir a fini previdenziali, occorrendo di fatto esaminare la compatibilità con il sistema previdenziale delle modifiche di volta in volta introdotte ai fini fiscali.
Dunque, quali conseguenze?
Per coloro i quali facevano affidamento sulle decisioni di merito e sulle interpretazioni della dottrina maggioritaria, la decisione della Cassazione determina un aumento dei costi dei lavoratori c.d. expatriates in virtù dell’applicazione delle aliquote contributive sulla base imponibile effettiva in luogo della minor retribuzione convenzionale.
Seppur vero che “una rondine non fa primavera”, e dunque sarebbe opportuno un consolidamento di tale orientamento giurisprudenziale, si deve ritenere che le giustificazioni addotte dalla Corte di Cassazione siano particolarmente solide pur lasciando l’interprete, fedelmente ancorato alla lettera delle leggi, svuotato nel significato delle parole a favore della ratio previdenzialmente orientata, che spesso ha guidato anche la Corte Costituzionale in alcune delicate decisioni.
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