Cassazione: illegittimo l’utilizzo di agenzie investigative per controllare la prestazione lavorativa
di Angela CalviLa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15094/2018, è tornata a pronunciarsi sullo spinoso tema dell’utilizzo delle agenzie investigative per controllare la prestazione lavorativa dei propri dipendenti. Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità, il lavoratore era stato licenziato in seguito all’accertamento, tramite un’agenzia di investigazione, della mancata esecuzione degli obblighi di verifica e controllo presso cantieri esterni all’azienda e della falsa attestazione degli stessi. La Corte Suprema, cassando la sentenza emessa dalla Corte d’Appello, ha affermato che tale licenziamento si configura come illegittimo, essendo fondato su relazioni investigative inutilizzabili, in quanto volte a controllare l’adempimento (o l’inadempimento) dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera. Tale principio, che si pone in linea coi precedenti orientamenti giurisprudenziali, dev’essere inquadrato nella normativa inerente il difficile equilibrio tra il potere di controllo del datore di lavoro e la tutela della libertà e dignità dei lavoratori.
Introduzione: il quadro normativo
Ai sensi dell’articolo 3, L. 300/1970, la vigilanza dell’attività lavorativa è prerogativa esclusiva dei datori di lavoro e dei collaboratori da loro indicati. Solo tali soggetti hanno, pertanto, il potere di controllare che il lavoratore, nell’esecuzione della prestazione lavorativa, usi la diligenza dovuta (articolo 2104, comma 1, cod. civ.) e osservi le disposizioni impartitegli (articolo 2104, comma 2, cod. civ.).
Oltre al datore di lavoro e ai superiori gerarchici, il controllo sull’attività lavorativa può essere, dunque, esercitato anche da altri dipendenti, ma non potrà mai essere occulto: il nominativo delle persone preposte alla vigilanza e le loro specifiche mansioni devono sempre essere preventivamente comunicati ai lavoratori interessati, mentre il controllo effettuato da persone non identificate dal lavoratore come controllori è vietato, in quanto ritenuto lesivo della personalità del lavoratore.
La predetta disposizione statutaria dev’essere, tuttavia, coordinata e integrata dall’articolo 2, St. Lav., relativo al possibile utilizzo di guardie giurate in contesti lavorativi, il quale innanzitutto delimita la loro sfera di intervento (articoli 133 ss., R.D. 773/1931) alla tutela del patrimonio aziendale (comma 1). Tale principio è poi ulteriormente rafforzato nell’articolo 2, comma 2, St. Lav., ove è previsto che le guardie giurate non possano contestare ai lavoratori “azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale”. Infine, il comma 3 dell’articolo 2 vieta espressamente al datore di lavoro di adibire le guardie giurate di cui ai commi precedenti alla vigilanza sull’attività lavorativa e, conseguentemente, prevede espressamente l’impossibilità per quest’ultime di “accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma”.
Lo Statuto dei Lavoratori nulla dice riguardo alle agenzie di investigazione: tale strumento – pur essendo particolarmente delicato, stante il rischio di violazione di principi fondamentali a tutela del lavoratore – è sempre più frequentemente utilizzato dai datori di lavoro per poter verificare eventuali comportamenti illeciti del dipendente, che possano mettere a rischio il patrimonio aziendale, ovvero contrari ai doveri di correttezza e buona fede connessi con l’essere parte di un contratto di lavoro. Tenuto conto dei divieti di controllo a distanza (articolo 4, St. Lav.), l’utilizzo di investigatori privati è in molti casi l’unica strada per poter accertare comportamenti illegittimi del lavoratore in momenti non direttamente lavorativi (ad esempio, comportamenti incompatibili con certificati di malattia, abuso nell’utilizzo di permessi o congedi) ovvero in grado di mettere a rischio il patrimonio aziendale.
La giurisprudenza, con esiti non sempre lineari, ne ha ammesso l’utilizzo, cercando nel contempo di fissarne limiti di utilizzo, legati sia alle finalità del controllo sia all’ambito di utilizzo.
Se, infatti, l’orientamento assolutamente maggioritario ammette la possibilità di verifica mediante investigatori privati di comportamenti di abuso non direttamente afferenti all’effettiva prestazione di lavoro, in momenti staccati da essa, come le assenze per malattia o per la fruizione di congedi o permessi, la questione si complica decisamente nel momento in cui tale forma di controllo riguardi momenti prodromici o connessi con le prestazioni di lavoro effettivamente svolte.
Ad esempio, pur in presenza di una disposizione che vieta il controllo occulto e diretto sulla prestazione da parte di soggetti terzi, la giurisprudenza di legittimità spesso ha ammesso l’utilizzo dell’agenzia investigativa per dimostrare l’eventuale appropriazione di denaro da parte di cassieri, sulla base del presupposto che gli investigatori privati non stavano esercitando alcun potere di vigilanza e controllo, ma verificavano l’eventuale appropriazione di denaro e, quindi, la commissione di un reato che poi determinava, ovviamente, il licenziamento del lavoratore coinvolto[1]. Se, viceversa, il controllo riguarda eventuali inadempimenti, più o meno gravi, e non la commissione di illeciti spesso di carattere penale, la questione diventa molto più delicata, come dimostra la recente sentenza di Cassazione n. 15094/2018 in commento.
Il caso oggetto della decisione
Ebbene, nella sentenza in esame la Corte afferma come i limiti statutari non precludano il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione anche di altri soggetti, diversi dalle guardie giurate, per vigilare sull’attività lavorativa. Tale controllo, tuttavia, non potrà mai riguardare né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, “essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione[2]”.
Il caso riguardava la verifica mediante agenzia investigativa della prestazione di un lavoratore, le cui mansioni consistevano nell’attività esterna di ispezione dei cantieri e dunque si svolgevano prevalentemente al di fuori dei locali aziendali.
Accertata “la mancata esecuzione dei compiti di verifica e controllo” affidati al lavoratore, esso veniva licenziato. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 20 aprile 2016, riformando la sentenza di primo grado, ha considerato legittimo il licenziamento, in quanto motivato da “comportamenti consistiti nell’aver rappresentato alla propria azienda un’attività lavorativa in realtà non svolta”, tanto da determinare “la violazione del dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa, nonché la lesione dell’obbligo di fedeltà e in ultima analisi ledono irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro“.
Gli argomenti della Suprema Corte
Al fine di operare lecitamente, le agenzie non dovranno pertanto sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata esclusivamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, ai sensi dell’articolo 3, St. Lav., ma potranno essere utilizzate solo ove vi sia “l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”.
La Corte chiarisce inoltre che, diversamente da quanto statuito dai giudici di secondo grado, è del tutto irrilevante che l’attività lavorativa sia svolta al di fuori dei locali aziendali, in quanto il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige indipendentemente dalle modalità e dal luogo di esecuzione della vigilanza.
Tale controllo potrà essere pertanto effettuato solo laddove vi sia il sospetto che il lavoratore compia degli atti che configurino una responsabilità che va al di là di quella derivante dalle mere obbligazioni contrattuali, costituendo il presupposto di una responsabilità extracontrattuale, penale ovvero amministrativa. Sospetti circostanziati, ovvero precedenti inadempimenti, fanno sì che le verifiche operate dall’agenzia di investigazione non siano controlli sulla prestazione, come detto, illegittimi, ma una forma di acquisizione probatoria su uno specifico fatto, che spesso costituisce non solo un inadempimento contrattuale, ma integra una fattispecie penalmente rilevante.
È, pertanto, pacifico che il datore di lavoro possa decidere autonomamente se e quando compiere il controllo, anche occulto, tramite un’agenzia investigativa, quando, per esempio, abbia il sospetto che il lavoratore possa commettere dei furti o configurare un’appropriazione indebita nell’esercizio della propria attività lavorativa[3].
Allorché si possa configurare una responsabilità extracontrattuale o penale, sarà dunque legittimo il controllo effettuato sulle attività extralavorative svolte dal lavoratore, quali, per esempio, le condotte commesse in violazione del divieto di concorrenza (Cassazione n. 12810/2017) ovvero nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex articolo 33, L. 104/1992 (Cassazione n. 4984/2014).
Se gli illeciti aventi rilevanza penale sono stati sempre pacificamente sottratti ai limiti statutari previsti dagli articoli 2 e 3, St. Lav., è solo in riferimento a fasi non lavorative – come l’indebita percezione dei permessi previsti dalla L. 104/1992 – che la giurisprudenza si è spinta ad affermare la legittimità dei controlli di soggetti terzi anche per gli illeciti di carattere civile di tipo extracontrattuale (dunque non riconducibili al mero inadempimento contrattuale, ma non aventi una rilevanza penale).
L’indebito utilizzo dei permessi ex L. 104/1992 (ovvero lo svolgimento di attività non compatibile con la malattia certificata durante l’assenza da essa motivata), a parere della Corte, redacalconfigurerebbe “una condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto al permesso si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui lesione va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto sul medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico“[4].
Chiarito, dunque, il principio per cui le agenzie investigative non possono essere utilizzate per controllare le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, è doveroso sottolineare come, in un contesto lavorativo caratterizzato da una mobilità territoriale sempre più marcata, le problematiche inerenti a tale principio diventino sempre più complesse e il confine tra l’attività lavorativa in senso stretto e le condotte che vanno al di là del mero inadempimento contrattuale sempre più labile.
È interessante notare, infatti, come il controllo delle agenzie di investigazione sul mancato svolgimento dell’attività lavorativa, laddove la prestazione avrebbe dovuto svolgersi al di fuori della sede di lavoro, sia stato oggetto di differenti interpretazioni. Nella sentenza in esame, la Suprema Corte ha dichiarato illegittima l’attività investigativa, nonostante avesse ad oggetto la mancata effettuazione dei sopralluoghi nei cantieri, in quanto tale omissione, seppur grave, a suo parere costituisce una responsabilità meramente contrattuale del lavoratore.
Viceversa, pur partendo dal medesimo principio, la recente sentenza n. 8373/2018 della Corte ha dichiarato la legittimità dell’attività di vigilanza di soggetti terzi che non consista in un controllo diretto sulle modalità di adempimento dell’obbligazione lavorativa, intese in senso stretto, e ha escluso pertanto l’applicazione dei limiti statutari ove si tratti di vigilare sul mancato svolgimento della prestazione lavorativa.
Conclusioni
Dal quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato si comprende come il confine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, e tra “attività lavorativa” in senso stretto e in senso lato, appaia labile e soggetto a interpretazioni discrezionali, a seconda delle fattispecie concrete.
La linea di demarcazione tra controlli occulti leciti e illeciti appare spesso incerta, in quanto si contrappongono, da un lato, l’esigenza di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore – riconducibile ad un principio ispiratore generale di divieto di controlli occulti – e, dall’altro, la consapevolezza che spesso i controlli occulti di soggetti terzi siano l’unico mezzo che effettivamente consente al datore di lavoro di verificare gli illeciti commessi dal lavoratore.
Certo è che, ove si decida di impiegare un’agenzia di investigazione e di procedere disciplinarmente sulla base delle acquisizioni probatorie di queste, bisognerà porre molta attenzione alle modalità e all’oggetto dell’indagine in concreto, consapevoli che anche l’assoluto inadempimento della prestazione lavorativa, laddove non realizzi un illecito per i motivi stessi dell’assenza, difficilmente potrà essere ricondotta al di fuori di una responsabilità meramente contrattuale.
Mancando, infatti, una disciplina volta alla regolamentazione e alla delimitazione dell’impiego delle agenzie investigative, quest’ultime dovranno essere utilizzate come uno strumento di controllo occasionale e non sistematico, un’extrema ratio ove il datore di lavoro non abbia altri mezzi di indagine efficaci per esercitare effettivamente il suo fondamentale potere di controllo e prevenzione della commissione di illeciti da parte del proprio dipendente.
[1] Cass. n. 10761/1997, Cass. n. 829/1992, Cass. n. 8049/1991, Cass. n. 7455/1991, Cass. n. 5599/1990, Cass. n. 2813/1989, Cass. n. 4271/1985, Cass. n. 2697/1984, Cass. n. 20429/1983
[2] Distinzione non sempre semplice nella realtà; basti pensare al caso del cassiere/commesso: per poter accertare la commissione di un atto illecito l’agenzia investigativa, comunque, non può che verificare l’adempimento delle mansioni contrattuali.
[3] Sul punto, si segnala, tra le tante, la Cass. n. 18821/2008, la quale ha statuito la legittimità delle indagini investigative per il caso di mancata registrazione della vendita e appropriazione delle somme incassate da parte dell’addetto alla cassa di un esercizio commerciale.
[4] Cass. n. 4984/2014.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Contratti collettivi e tabelle“.
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