18 Novembre 2015

Il patto di prova nei contratti a termine

di Dimitri Cerioli

 

La liberalizzazione del contratto a termine, iniziata con la L. n.92/12 e proseguita nel corso degli anni fino al D.Lgs. n.81/15, ha eliminato l’obbligo di apporre causali al contratto individuale. Questo ha portato a un incremento dell’utilizzo di questa tipologia contrattuale. I dati relativi alle comunicazioni obbligatorie forniti dal Ministero del Lavoro confermano che più della metà degli avvii al lavoro sono con contratto a tempo determinato.

Il periodo di prova è compatibile con il rapporto di lavoro a tempo determinato. Questo principio ha trovato conferma nella giurisprudenza maggioritaria, poiché la durata certa di un contratto di lavoro non inficia la ratio sottesa all’applicazione del patto di prova: per il datore di lavoro verificare l’attitudine e le capacità del prestatore d’opera, per il lavoratore di verificare la convenienza del rapporto di lavoro instaurato. L’apposizione del periodo di prova al contratto di lavoro permette al datore di lavoro e al lavoratore di sciogliere il vincolo contrattuale senza necessità di preavviso o motivazione, sottraendo il rapporto di lavoro alla disciplina dei licenziamenti individuali per un periodo prestabilito. Nel contratto a termine, però, il patto di prova deve essere stipulato con alcune cautele.

 

Principi generali relativi all’apposizione del patto di prova

Il periodo di prova per essere considerato legittimo deve:

  • essere stipulato in forma scritta in data antecedente o contestuale alla costituzione del rapporto di lavoro;

  • avere durata compresa entro il periodo massimo stabilito dalla legge o dal contratto collettivo in relazione alla categoria e al livello di inquadramento;

  • essere svolto in maniera effettiva, pertanto entrambe le parti devono consentire l’una all’altra il corretto espletamento. Questo comporta che la durata della prova debba essere adeguata e che le mansioni oggetto della prova siano indicate in modo specifico nel contratto individuale.

Questi principi generali si applicano anche al periodo di prova instaurato all’interno di un contratto a termine, ma in aggiunta sono da tenere in considerazione questi aspetti:

  1. la possibilità di reiterazione del patto di prova in caso di rinnovi contrattuali;

  2. la durata del periodo di prova in relazione alla durata complessiva del contratto di lavoro.

 

La reiterazione del periodo di prova

La sentenza n.5016 dell’11 marzo 2004 e la sentenza n.8579 del 5 maggio 2004 della Corte di Cassazione hanno affermato che il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse dei contraenti a sperimentare la reciproca convenienza del contratto, sicché deve ritenersi illegittimamente apposto un patto che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione, quando questa è già avvenuta con esito positivo nelle specifiche mansioni, avendo in precedenza il lavoratore prestato per un congruo tempo la propria opera presso il datore di lavoro.

La questione della reiterazione del periodo di prova può presentarsi non solo a seguito di successioni di contratti a termine, ma soprattutto in caso di assunzione a tempo indeterminato a seguito di precedente rapporto a termine.

La Cassazione civile, Sezione lavoro, 3 luglio 2015, n.13672, richiamando un precedente indirizzo, in base al quale “è ammissibile il patto di prova in contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti […] potendo intervenire nel tempo molteplici fattori, attinenti non solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o a problemi di salute”, ha ritenuto legittimo il patto di prova nel contratto a tempo indeterminato, che aveva determinato la risoluzione del rapporto di lavoro, successivo a precedenti rapporti a termine, in quanto “prevedeva, rispetto ai precedenti, un decisivo elemento di novità rappresentato dal fatto che la sede di lavoro assegnata non si trovava nel Lazio, regione di residenza della lavoratrice, riguardo alla quale era stata circoscritta la sua disponibilità ad essere assunta, bensì in Veneto, con conseguente radicale cambiamento di vita da parte della medesima, costretta a trasferirsi in località distante centinaia di chilometri dal proprio luogo di residenza, per cui era legittimo per la società postale verificare la convenienza del contratto alla luce del comportamento complessivo della C”.

In caso di perfetta identità di mansioni, la giurisprudenza (Cass. civ., Sez. lavoro, sent. n.10440/12) esclude la legittimità del patto di prova, in quanto verrebbe meno la sua funzione essenziale sopra richiamata.

Un’ulteriore casistica di successione di contratti di lavoro è quella relativa al subentro di una nuova azienda nel contratto di appalto. Qui, pur essendo in presenza di un nuovo contratto di lavoro, potrebbe rendersi illegittimamente apposto un patto di prova in considerazione del fatto che le mansioni che il lavoratore andrebbe a svolgere per la ditta acquirente sono le medesime svolte presso la ditta cedente. Questo principio è ribadito dalla giurisprudenza, ma secondo quanto previsto dalla Corte di Cassazione con sentenza n.17371/15 il principio, nei casi di successione di appalti, vale soltanto se il contratto collettivo esclude la possibilità di apporre nuovamente il patto di prova.

In tema di successione di contratti di lavoro la contrattazione collettiva nazionale spesso interviene con disposizioni specifiche e spesso limita la possibilità di pattuire un periodo di prova con un lavoratore già assunto in precedenza. Questo principio trova conferma in molti contratti:

  • nel Ccnl Calzaturieri, art.27: “Non è assoggettabile al periodo di prova il lavoratore assunto nuovamente dalla medesima impresa e per le medesime mansioni qualora egli abbia prestato la propria attività con contratto di lavoro subordinato per un periodo complessivo di almeno 9 mesi nell’arco dei 2 anni antecedenti la data della nuova assunzione”;

  • nel Ccnl Turismo, art.107: “Il personale che entro il termine di due anni viene riassunto, con la stessa qualifica, presso la stessa azienda ove abbia già prestato servizio, superando il periodo di prova, sarà in ogni caso dispensato dall’effettuazione di un nuovo periodo di prova”;

  • nel Ccnl Cemento aziende industriali, art.27: “Sono esclusi dal periodo di prova i lavoratori assunti con più contratti a tempo determinato nelle stesse mansioni nonché i lavoratori che, nelle stesse mansioni svolte con contratto a tempo determinato, passano a contratto a tempo indeterminato”;

  • nel Ccnl Autotrasporto Merci e Logistica, art.5, “Saranno esenti dal periodo di prova i lavoratori che lo abbiano già superato presso la stessa azienda e per le stesse mansioni nei dodici mesi precedenti”;

  • nel Ccnl Terziario, distribuzione e servizi , art.64: “In caso di successione di contratti a tempo determinato con il medesimo lavoratore per le stesse mansioni, non si applica la disciplina del periodo di prova di cui all’art. 106”.

Più articolata è la disciplina contenuta nel Ccnl Metalmeccanica industria, dove all’art.2 della sezione quarta si prevede che: “Nel caso di assunzione entro 12 mesi dalla scadenza dell’ultimo contratto, ovvero di trasformazione a tempo indeterminato, di lavoratori che abbiano prestato presso la stessa azienda attività lavorativa per lo svolgimento delle medesime mansioni sia in esecuzione di uno o più rapporti a termine che di uno o più contratti di somministrazione di manodopera, per un periodo complessivamente superiore al periodo di prova stabilito per il rispettivo livello di inquadramento, non può essere previsto il periodo di prova. Nel caso di periodi più brevi la durata della prova è ridotta nella stessa misura”.

Riassumendo, si può sostenere che, ove sia disposta dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro una regola, la stessa diventa vincolante, valutando le variabili imposte.

Queste potrebbero far riferimento a una:

  • limitazione o esclusione della clausola di apposizione del patto di prova in caso di svolgimento delle medesime mansioni senza alcun limite temporale;

  • limitazione o esclusione della clausola di apposizione del patto di prova in caso di svolgimento delle medesime mansioni con limite temporale riferito alla durata del contratto o dei contratti precedentemente svolti;

  • limitazione o esclusione della clausola di apposizione del patto di prova in caso di svolgimento delle medesime mansioni, con limite temporale riferito all’arco di tempo trascorso dalla cessazione del contratto di lavoro precedente.

 

Il riproporzionamento della durata del periodo di prova nel contratto a termine

La durata massima della prova è pari a 6 mesi, come previsto dall’art.2096 cod.civ. e dall’art.10, L. n.604/66. Tale limite è però ridotto dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro con riferimento alla categoria e al livello di inquadramento.

Un patto di prova di durata coincidente con quella del contratto a tempo determinato presenta profili di illegittimità, in quanto non è finalizzato a consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza.

Una regola per stabilire la durata del periodo di prova nel contratto a termine, però, non è prevista dalla legge e la giurisprudenza non ha mai dato indicazioni operative per sopperire a tale mancanza. In alcuni casi è la contrattazione collettiva nazionale a colmare questo vuoto e tre sono le metodologie utilizzate:

  1. prevedere una durata inferiore del patto di prova per contratti a tempo determinato di una certa durata;

  2. prevedere una durata inferiore da calcolarsi in modo proporzionale rispetto a quella prevista per i contratti a tempo indeterminato;

  3. prevedere una durata inferiore fissa a prescindere dalla durata del contratto a termine.

1. La prima soluzione è la più diffusa e se ne riscontrano esempi nell’art.27 Ccnl Calzaturieri industria e nell’art.25 del Ccnl Giocattoli industria, ove si stabilisce che: “Per le assunzioni a termine di durata fino a sei mesi, la durata del periodo di prova di cui sopra è ridotta della metà”.

Lo stesso principio è adottato nell’art.27 Ccnl Cemento industria, ove però si introduce anche una soglia di durata minima: “I periodi di prova di cui all’art. 21 sono confermati per i rapporti con contratto a tempo determinato di durata pari o superiore a 6 mesi. Per contratti di durata inferiore i periodi ivi previsti sono ridotti del 50% con una durata, in ogni caso, non inferiore ad un mese”.

Nel contratto Enti culturali e ricreativi – Federculture, all’art.19, si utilizza lo stesso parametro di durata contrattuale dei sei mesi, ma il periodo previsto è stabilito in misura fissa: “Il lavoratore assunto a tempo determinato può essere sottoposto ad un periodo di prova, come previsto al successivo art. 21, ma in ogni caso tale periodo non può essere superiore a 2 settimane per i rapporti di durata fino a 6 mesi e di 4 settimane per quelli di durata superiore”.

Nel contratto Gas-Acqua, all’art.11, è stato individuato un periodo di durata contrattuale inferiore per differenziare le casistiche, infatti è previsto che: “I lavoratori assunti con contratto a tempo determinato superiore a 3 mesi possono essere sottoposti ad un periodo di prova proporzionato alla durata del rapporto e comunque non superiore ad un mese”.

2. In altri contratti collettivi viene meno il riferimento a una durata minima contrattuale per l’apposizione del termine, prevedendo una proporzionalità che è indipendente dalla durata dal contratto individuale:

  • nell’art.11, Ccnl Igiene ambientale – aziende private: “La durata dell’eventuale periodo di prova non può superare 1/6 dei giorni calendariali della durata del contratto di lavoro a tempo determinato e comunque non può superare l’equivalente periodo previsto per le assunzioni a tempo indeterminato”;

  • nell’art.7, Ccnl Oreficeria industria: “Il periodo di prova di cui alle specifiche normative della Disciplina speciale, Parte prima e Parte terza, non potrà avere una durata superiore al 40% della durata del contratto a tempo determinato, fermi restando i limiti massimi previsti nelle suddette normative”;

  • nel Ccnl Pompe Funebri, all’art.101: “La durata dell’eventuale periodo di prova è pari a 1/3 della durata prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato e sarà considerato assolto in caso di trasformazione a tempo indeterminato”.

3. La terza tipologia di soluzione adottata è quella di una durata massima fissa e prestabilita, diversa da quella prevista per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato: è il caso del Ccnl Agricoltura operai, ove si prevede che: “L’operaio assunto con rapporto di lavoro a tempo determinato superiore a trenta giorni è soggetto a un periodo di prova di 2 giorni lavorativi”, e del Ccnl Telecomunicazioni – servizi di telefonia, in cui si stabilisce che: “Ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato può essere richiesto un periodo di prova non superiore a venti giorni”.

In conclusione è significativo anche analizzare quanto previsto dal Ccnl per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro. In caso di assunzione di lavoratori con contratto a termine il “periodo di prova è determinato in 1 giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dall’inizio della missione. In ogni caso il periodo di prova non può essere inferiore a 1 giorno e superiore a 11 per missioni fino a 6 mesi nonché a 13 per quelle superiori a 6 mesi ed inferiori a 12 e 30 giorni di calendario nel caso di missioni che prevedano un contratto di assunzione pari o superiore a 12 mesi. Resta inteso che per le missioni di durata inferiore a 15 giorni può essere stabilito un solo giorno di prova. Le frazioni inferiori a 15 giorni si arrotondano all’unità superiore”.

 

Conclusioni

Resta problematica la determinazione della fattibilità dell’apposizione del periodo di prova e della durata nel caso in cui il Ccnl non preveda una disciplina specifica. Ad avviso di chi scrive, senza poter motivare questa scelta, se non sulla base del principio di buona fede e correttezza, si ritiene comunque opportuno ridurre e proporzionare la durata del periodo di prova in rapporto alla durata complessiva del rapporto di lavoro inizialmente prevista, utilizzando uno dei metodi illustrati sopra.

Le stesse considerazioni possono essere fatte in relazione alla possibilità di reiterare il periodo di prova in caso di rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore. In questo caso si applicherà il principio giurisprudenziale di tutela dell’interesse dei contraenti a sperimentare la reciproca convenienza del contratto, con un’attenzione particolare alla funzionalità del periodo di prova con riferimento alla qualifica, alle mansioni e alla durata sia del rapporto di lavoro che del periodo di prova stesso.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Contratti collettivi e tabelle”.