27 Aprile 2016

Il lavoro accessorio per prestazioni verso terzi e altre casistiche pratiche

di Claudio BollerRossella Schiavone

 

Voucher per servizi in appalto-subappalto

Più volte Inps e Ministero del Lavoro hanno sostenuto che il lavoro accessorio potesse essere utilizzato unicamente in caso di prestazioni rese direttamente dal committente all’utilizzatore, escludendone espressamente un utilizzo per prestazioni di lavoro a favore di terzi.

Tesi che però all’epoca non aveva alcun sostegno normativo, ed infatti nei Tribunali già si stava compiendo un’opera di demolizione degli assunti sostenuti dai due enti, sottolineando che “non vi sono, nella normativa vigente, indicazioni che confinino la liceità del lavoro accessorio nell’ambito della utilizzazione diretta dei lavoratori da parte dell’utilizzatore con esclusione dei rapporti di appalto o di somministrazione”.

Il Legislatore, senza invero una profonda analisi della problematica, ha ritenuto ora di introdurre nel nuovo impianto normativo del lavoro accessorio una parte della tesi sostenuta dall’Inps: “È vietato il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi, fatte salve le specifiche ipotesi individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche politiche sociali, sentite le parti sociali, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (D.Lgs. n.81/15, art.48, co.6).

Viene lasciata aperta la possibilità, da parte del Ministero del Lavoro, di individuare specifiche casistiche che vadano in deroga al divieto di legge, ma al momento in cui si scrive non risulta ancora emanato tale decreto.

La questione non è di poco conto. Se si accetta come ammissibile l’utilizzo del lavoro accessorio solamente in relazione a prestazioni rivolte direttamente a favore dell’utilizzatore della prestazione stessa, attualmente, e in attesa del decreto ministeriale, sono molti i casi border-line che si ritiene consigliabile non utilizzare o, comunque, valutare attentamente.

 Innanzitutto, considerato che la norma fa esplicito riferimento agli appalti, si deve per forza di cose ritenere che anche in caso di subappalto vi sia un diretto divieto normativo all’utilizzo dei voucher. Viene da sé che anche in caso di gruppi d’imprese o di consorzi, rispetto alle stazioni appaltanti, vige il divieto all’utilizzo del lavoro accessorio.

La normativa, invece, non specifica se in caso di somministrazione possa coesistere una situazione di lavoro accessorio.

Considerato quanto già espresso dal Ministero del Lavoro nella circolare n.4/13, ben prima dell’entrata in vigore della nuova formulazione della legge, e cioè che anche in caso di somministrazione, alla stregua dell’appalto, sia vietato l’utilizzo del lavoro accessorio, parrebbe doversi supporre che la linea rimanga la stessa, almeno fino a quando i togati non si pronunceranno in senso difforme.

E, in senso difforme, il Tribunale di Milano già si era espresso come sopra ricordato, anche se sulla base della normativa ante Jobs Act; ma considerato che, anche nella nuova veste, la legge non esclude in modo esplicito e a priori la somministrazione, a ben vedere ci si aspetta che lì dove il Ministero vieta, i giudici permetteranno.

Ma esistono anche altre situazioni, si tratta ad esempio di servizi di giardinaggio, pulizia o catering, dove l’utilizzo della prestazione lavorativa è rivolto comunque verso terze persone. Attualmente si è costretti ad affermare che, almeno prudenzialmente, è conveniente per i datori di lavoro evitare l’utilizzo del lavoro accessorio se non per attività rese a se stessi.

Si deve cioè sicuramente ammettere che un’azienda utilizzi voucher per pagare l’attività di manutenzione del giardino di sua proprietà, ma non è ammissibile per ora, e secondo le linee seguite dal Ministero, utilizzare il voucher per una prestazione di manutenzione del giardino di un cliente, nemmeno privato.

Però il ragionamento che sta alla base non sarebbe pienamente coerente con la norma o, comunque, mostra il fianco a situazioni che necessitano urgentemente di maggiori chiarimenti da parte del Ministero, in quanto, da una pedissequa lettura, si evincerebbe che la prestazione di lavoro accessorio possa essere posta nell’interesse del committente, a prescindere da chi sia l’utilizzatore della prestazione, quindi in senso diametralmente opposto da quanto sostenuto fino ad oggi dal Ministero, lasciando esclusi solo i casi di appalto.

Se, infatti, un giardiniere non può utilizzare un lavoratore a voucher per tagliare l’erba di un cliente, perché allora dovrebbe essere ammessa la possibilità di utilizzare la prestazione accessoria per un negozio nella vendita di abbigliamento al pubblico o per un bar nel somministrare bevande ai clienti o per un’associazione infermieristica nell’assistenza ai malati o per un Caf nella redazione dei modelli 730?

In cosa consisterebbe la concreta differenza?

Le situazioni sopra proposte dovrebbero essere considerate non diverse dal caso delle onoranze funebri, quando, nel trasporto della salma, vengano utilizzati lavoratori a voucher. L’orientamento in sede ispettiva, almeno nella maggioranza dei casi, è al momento quello di considerare il servizio come un appalto e, quindi, vietato ex lege.

Certo, si può sostenere che la definizione di appalto di servizi o di contratto d’opera esclude alcune attività rispetto ad altre: ma quale sarebbe il metro utilizzato dagli ispettori?

Con tale tesi, infatti, non si comprenderebbe la differenza giuridica tra il servizio del portatore della salma e il servizio del cameriere che serve il caffè (fatte salve tutte le simpatiche barzellette che potrebbero nascere in merito).

Allora, per coerenza, si dovrebbe affermare che tutte le attività verso terzi sono illecite, nessuna esclusa, a prescindere dal tipo di attività, concentrandosi unicamente, quale esclusivo parametro spartiacque, su chi sia l’utilizzatore finale che, in via diretta ed esclusiva, dovrebbe essere il committente stesso; con un’interpretazione che andrebbe però molto oltre la definizione di appalto di servizi o contratto d’opera.

Così ragionando, andrebbe eliminata la possibilità di utilizzo dei voucher proprio in quei settori che più li utilizzano, in quanto si tratta di servizi rivolti a terzi, ancorché privati (vedasi turismo-pubblici esercizi).

Oppure, e molto più logicamente, ci si deve attenere a una rigorosa interpretazione letterale della locuzione “appalto di opere o servizi” usata dal Legislatore, ammettendo la possibilità di utilizzo del lavoro accessorio, anche verso terzi, a prescindere che siano aziende o privati, in tutti i casi, nessuno escluso, in cui non sia rinvenibile un appalto in senso stretto.

 

Voucher con minorenni

In via generale, la normativa attuale permette l’instaurazione di rapporti di lavoro con minorenni; più precisamente, l’età minima per l’ammissione al lavoro, qualsiasi lavoro, è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e, comunque, non può essere inferiore ai 15 anni compiuti.

Ma a tale limite si deve aggiungere quello introdotto infine dalla L. n.296/06, che ha previsto l’innalzamento a 10 anni dell’obbligo di istruzione scolastica finalizzata al conseguimento di un titolo di scuola media superiore o di una qualifica professionale almeno triennale.

L’art.4, L. n.977/67, autorizza l’impiego dei minori, eventualmente anche under 14, su autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro, in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché si tratti di attività che non pregiudicano la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale.

A tal proposito, si richiama l’interpello n.7/15, con il quale il Ministero ha precisato che l’attività di “animatore” svolta da un minorenne, cioè il prendersi cura degli ospiti nelle strutture ricettive organizzando attività sportive, giochi, balli di gruppo e attività rivolte ai bambini nei mini club, non rientra nelle attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o dello spettacolo che richiedano specifica autorizzazione da parte della DTL.

Fatta questa premessa, non si rilevano ulteriori preclusioni specifiche in merito alla possibilità per un minore di instaurare una prestazione di lavoro accessorio, considerando comunque che qualsiasi attività di lavoro con minorenni deve necessariamente essere caratterizzato da significative tutele tese al benessere psico-fisico del minore e a consentire il regolare svolgimento dei percorsi di istruzione e formazione; devono pertanto essere escluse le attività che possano essere nocive o insalubri o pericolose, e devono essere rispettati tutti i limiti già previsti per i minorenni in qualsiasi altra tipologia lavorativa (ad esempio divieto di lavoro notturno).

Oltre a questi limiti, però, si deve aggiungere quanto previsto dall’art.2 cod.civ.: “La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa. Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro”.

Si è sempre molto discusso in dottrina in merito all’esatto momento in cui il minore assume la capacità lavorativa, la tesi prevalente è quella che ritiene che le azioni precedenti all’attività lavorativa vera e propria non siano ancora considerabili come ricomprese nella speciale capacità di agire assunta dal minore.

Pertanto, si deve consigliare, a tutela del datore di lavoro, di richiedere ai genitori, o a chi esercita la patria potestà del minore, un’autorizzazione scritta che permetta al minorenne di instaurare una prestazione lavorativa a voucher, autorizzazione che potrebbe essere inserita in calce al contratto.

È ovvio che, se il minorenne già gode dell’emancipazione lavorativa per altri motivi, non sarà necessaria alcuna autorizzazione da parte dei genitori.

Un’ultima particolare attenzione va riposta nel Documento di valutazione dei rischi, che dovrà essere aggiornato a fronte della prestazione lavorativa del minorenne, con particolare riguardo al fatto che il lavoratore ha uno sviluppo psico-fisico ancora incompleto ed è privo di esperienza e di consapevolezza nei riguardi dei rischi lavorativi sia esistenti che possibili.

Nel DVR si dovrà, inoltre, valutare se vi possano essere particolari rischi in ordine a:

  • attrezzature e sistemazione del luogo e del posto di lavoro;
  • natura, grado e durata di esposizione agli agenti chimici, biologici e fisici;
  • movimentazione manuale dei carichi;
  • sistemazione, scelta, utilizzazione e manipolazione delle attrezzature di lavoro, specificatamente di agenti, macchine, apparecchi e strumenti;
  • pianificazione dei processi di lavoro e dello svolgimento del lavoro e della loro interazione sull’organizzazione generale del lavoro;
  • situazione della formazione e dell’informazione dei minori.

Il minore andrà formato e informato in modo specifico, inoltre copia delle informazioni andranno fornite anche ai titolari della potestà genitoriale.

Attenzione quindi agli adempimenti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro prima di instaurare una prestazione a voucher con minorenni, conviene assolutamente predisporre una relazione da tenere agli atti (meglio se con data certa), con la partecipazione del datore di lavoro, del responsabile per la prevenzione, del medico competente ed, eventualmente, del proprio consulente del lavoro.

 

Casellario penale e voucher per attività con minori

Una questione abbastanza spinosa riguarda l’obbligatorietà o meno di richiedere il certificato penale del casellario giudiziario in caso si utilizzino lavoratori a voucher per prestazioni che implichino contatti diretti e regolari con i minori.

A decorrere dal 6 aprile 2014, infatti, è entrata in vigore la normativa relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che, in attuazione e a recepimento della direttiva 2011/93/UE, stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di informarsi, al momento dell’assunzione del lavoratore e in caso la mansione comporti contatti con minori, di eventuali condanne a carico del lavoratore stesso, iscritte nel casellario giudiziale o delle eventuali misure interdittive esistenti per reati sessuali a danno di minori.

La verifica si riferisce all’esistenza di condanne per alcuni reati previsti dal codice penale, che, se presenti, inibirebbero la possibilità di svolgimento della prestazione lavorativa:

  • 600-bis (prostituzione minorile);
  • 600-ter (pornografia minorile);
  • 600-quater (detenzione di materiale pornografico);
  • 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile);
  • 609-undecies (adescamento di minorenni).

Pertanto, per tutti i lavoratori che vengono presi in forza dalla data di entrata in vigore della normativa, che svolgono un’attività che implica contatti “diretti e regolari” con minori, si dovrà procedere alla richiesta del certificato c.d. antipedofilia, anche in considerazione della rilevante sanzione amministrativa pecuniaria che va da un minimo di € 10.000,00 a un massimo di € 15.000,00 a carico del datore di lavoro.

È stato, inoltre, precisato che il certificato in questione va richiesto anche per i collaboratori a progetto, gli associati in partecipazione, gli autonomi a partita Iva.

Ci si chiede quindi, se, in caso di utilizzo del lavoro accessorio per lo svolgimento di mansioni che hanno a che fare direttamente con bambini e/o adolescenti, vige l’obbligo per il datore di lavoro di richiedere preventivamente la situazione penale presente nel casellario giudiziale.

Primariamente, anche in questo caso, si è costretti a denunciare la superficialità con cui è stata trattata la materia dal Legislatore, creando un adempimento che presenta, da qualsiasi punto lo si affronti, una fumosità e un’imprecisione quasi imbarazzanti.

Stanti le elevate sanzioni previste, giocoforza, è a priori conveniente suggerire che, nel dubbio, il certificato è bene sempre richiederlo.

Analizzando in modo letterale la norma, lì dove prevede l’obbligatorietà in caso di “attività che comportino contatti diretti e regolari con minori”, si sarebbe potuto sostenere, almeno nella precedente formulazione legislativa sul lavoro accessorio e cioè, con riferimento agli articoli ora abrogati del D.Lgs. n.276/03, che la caratteristica dell’occasionalità, prevista espressamente dalla legge, male si addiceva alla richiesta di regolare contatto con minori e, pertanto, conseguentemente si poteva affermare che non vi fosse necessità di richiesta del casellario penale.

Il D.Lgs. n.81/15 ha eliminato dalla nuova definizione di lavoro accessorio il termine “occasionale”, quindi il ragionamento posto precedentemente non può essere più sostenuto.

Si potrebbe valutare che la limitazione economica prevista per l’utilizzo di voucher, sia elemento sufficiente per ritenere de facto che la prestazione sia comunque a carattere occasionale; ma, a ben vedere, soffermandosi sul significato del termine “regolare”, così come presente su un qualsiasi vocabolario, anche una prestazione occasionale potrebbe rivestire i caratteri della regolarità, se la prestazione venga svolta in modo “costante e funzionale” nei confronti di minorenni, a prescindere dalla durata complessiva della prestazione stessa.

Si deve, quindi, giungere alla conclusione che, prescindendo dalla convenienza economica affermata a priori, un lavoratore a prestazione accessoria che svolga di fatto una mansione specifica per la quale sarà, per tutta la sua durata (anche eventualmente per poche ore), costantemente e regolarmente rivolta a persone minorenni, faccia scattare l’obbligatorietà in capo all’azienda di richiedere il certificato penale del casellario giudiziale, creando così un ulteriore obbligo burocratico/economico a carico del datore di lavoro.

 

Stabilizzazione da voucher a rapporto di lavoro subordinato

Può succedere che il lavoratore, inizialmente assunto per prestazioni di lavoro accessorio, risulti una risorsa che vale la pena integrare nell’organico in pianta stabile.

Non si vede alcuna preclusione alla possibilità di instaurare un rapporto a termine, nei limiti e secondo quanto disciplinato dalla normativa vigente.

Il lavoratore non potrebbe sostenere che, nel computo dei trentasei mesi massimi di durata dei contratti a tempo determinato, e tenuto conto anche di un’eventuale successione di contratti, si debba considerare anche il periodo svolto a voucher. Ciò in quanto il lavoro accessorio, per quanto trattasi di prestazione lavoro, come si ha già avuto modo di spiegare, non rientra nella tipologia dei contratti subordinati.

Qualche serio dubbio, invece, può essere posto in merito a un eventuale periodo di prova contrattualizzato successivamente alle prestazioni a voucher, o a un eventuale contratto di apprendistato.

In caso di patto di prova, ai sensi dell’art.2096 cod.civ., lavoratore e datore di lavoro possono prevedere un periodo valido a valutare, per il lavoratore, l’interesse e la convenienza al posto di lavoro e, per l’azienda, gli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore e la convenienza economica, in via più generale il comportamento e la personalità complessiva e nello specifico in relazione all’adempimento della prestazione. Valutazione che, però, fatte salve eventuali mansioni o attività diverse, è già stata opportunamente effettuata dalle parti durante l’uso della prestazione accessoria.

Pertanto, in linea di massima, è sconsigliabile apporre un periodo di prova al contratto di lavoro subordinato stipulato con un lavoratore che, precedentemente, abbia già svolto la stessa mansione e attività con i voucher.

Simile ragionamento può essere fatto anche in caso di contratto di apprendistato.

Supposto che lo stesso lavoratore sia stato precedentemente assunto per svolgere identiche attività, che poi, in seno all’apprendistato, diverrebbero l’oggetto del percorso formativo, risulta difficile sostenere che ora, all’improvviso, non sia più in grado di svolgerle, necessitando quindi di un apprendimento specifico.

È piuttosto consigliabile valutare l’opportunità di predisporre un contratto di apprendistato che coinvolga in via principale mansioni diverse e più qualificate di quelle già svolte con contratto di lavoro accessorio, prevedendo un percorso di crescita che vada oltre alle precedenti mansioni.

Non si vedono, invece, preclusioni in caso di assunzione con riferimento a contratti che prevedano specifiche agevolazioni, quale, ad esempio, lo sgravio contributivo biennale previsto dalla Legge di Stabilità 2016.

Si ricorda, infatti, che i limiti previsti sono:

  1. assunzione di lavoratori che, nei sei mesi precedenti, siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro;
  2. assunzione di lavoratori per i quali il beneficio sia già stato usufruito (compreso anche l’eventuale beneficio triennale) in relazione a precedente assunzione a tempo indeterminato;
  3. assunzione di lavoratori per i quali i datori di lavoro, ivi considerando società controllate o collegate ai sensi dell’art.2359 cod.civ. o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, abbiano comunque già in essere un contratto a tempo indeterminato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della presente legge.

Con riferimento al terzo punto, infatti, il lavoro accessorio non può essere annoverato come contratto a tempo indeterminato, anche se svolto nei tre mesi antecedenti.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.